scritto da Rosa Montoro - 19 Febbraio 2025 08:10

LIBRI & LIBRI Il giovane Enrico

È una ricostruzione piacevole e coinvolgente degli anni che seguirono la fine del fascismo, del governo Badoglio, collocato a Salerno il 22 aprile 1944, cui aderì il Comitato di Liberazione Nazionale, PCI compreso

Fa sempre bene guardare al passato per chiarirsi le idee sul presente, oggi più di ieri lo dico con convinzione. L’incoscienza e la leggerezza con cui si ripetono idee che hanno il solo obiettivo di dividere, di separare i buoni dai cattivi, pensando che a loro non toccherà mai la parte degli esclusi. E allora soffermarsi su figure storiche come Enrico Berlinguer diventa indispensabile. Riflettere senza la retorica del sacrificio, dell’eroismo, ma cercando di capire perché andò verso la scelta di adesione a un partito che non gli garantiva nessun successo personale.

Il giovane Enrico di Andrea De Simone e Tonino Scala – ed. Infiniti Mondi gennaio 2025 ricostruisce il momento di questa scelta. Definirlo un romanzo sacrificherebbe La ricerca storica che gli autori hanno fatto e di cui si riporta un’ampia biografia a conclusione del libro.

È una ricostruzione piacevole e coinvolgente degli anni che seguirono la fine del fascismo, del governo Badoglio, collocato a Salerno il 22 aprile 1944, cui aderì il Comitato di Liberazione Nazionale, PCI compreso. La narrazione ha l’impostazione di un documentario che spazia dalla microstoria di questo ragazzo giovanissimo, appena ventenne, alla macrostoria di un passaggio significativo della nostra nazione: la sconfitta e l’uscita drammatica dalla seconda guerra mondiale. Sconfitta sì, l’abbiamo dimenticato. Invece gli americani non l’hanno dimenticato (lo ricorda Donald Trump in modo grezzo e brutale) considerandoci colonia nel bene e nel male e preoccupandosi da sempre di una possibile unità politica europea che darebbe forza a questo continente.

Ma torniamo al nostro libro, al momento in cui gli equilibri mondiali si componevano nella forma che abbiamo conosciuto come generazione e che oggi si sta completamente frantumando.

In questo libro Il giovane Enrico è seguito nel suo percorso di scelta, durante la fase in cui darà la sua adesione al partito comunista. Enrico è giovanissimo, figlio di persone istruite, una famiglia aristocratica, un non violento, dotto ma non in senso nozionistico, infatti, non è di grandissimi successi scolastici.

Questo ragazzo, come Matteotti, compie la scelta di girarsi verso gli ultimi e restituire qualcosa a chi è socialmente meno fortunato, il popolo. Oggi sentiamo continuamente utilizzare questo termine, come una bestemmia, facendo riferimento a delle melme insignificanti, oscene, manipolabili ai fini elettorali e gli strumenti di manipolazione si fanno sempre più sofisticati, senza che nessuno si faccia domande sugli interessi privati di alcune affermazioni, come quelle di Elon Musk.

Il popolo del giovane Enrico ha, invece, un’identità precisa e delle rivendicazioni chiare di giustizia sociale, il popolo di Enrico è fatto di contadini, operai, braccianti, cittadini impoveriti che ormai hanno chiaro da che parte stare e come rivendicare il diritto ad avere una vita dignitosa per se e per i propri figli.

Insomma il giovane Enrico, al contrario del pifferaio autoreferenziale (ne vediamo tanti in questo periodo), si mette a disposizione del suo popolo, mette a disposizione tutti gli strumenti che socialmente ha avuto la fortuna di ottenere, compresa la vita, che rischia nel momento in cui è incarcerato. È lui a seguire il suo popolo e non viceversa. È lui a seguire gli obiettivi rivendicativi senza sentirsi sacrificato nemmeno nei momenti più duri in cui è chiuso in carcere. La sua origine aristocratica non gli tarpa le ali. Esce dalla prigione con le idee ancora più chiare e pensa a quelli che ha lasciato lì dentro di cui sentiva solo le grida. Quelli che non hanno avuto la fortuna di avere un padre che potesse difenderli, perché avvocato conosciuto e stimato.

… il governo si è stabilito a Salerno e la guerra, come la vita, continua. Ma ora sente di aver trovato la sua strada, di saper da che parte stare: quella dei contadini degli operai di chi vive in una povertà quotidiana, anche senza le sbarre di una prigione. (IL GIOVANE ENRICO di Andrea De Simone e Tonino Scala – ed. Infiniti Mondi gennaio 2025 p. 77)

Che cosa sarebbe stato di loro, di quegli uomini che gli avevano lasciato in testa quelle grida straziante?

Si fidano di lui non per Fede ma per la sua coerenza e moralità in un periodo in cui l’individualismo è bandito e un politico si vergogna anche a mettersi un cappotto nuovo, come Alcide De Gasperi che ne indossò uno prestato per il suo viaggio negli Stati Uniti, nel 1947. Sì ci ripetiamo, e dobbiamo non stancarci di farlo in un periodo di esibizioni continue senza sostanza. Così com’è necessario ricordare, che ci volle una guerra terribile per riaprire le menti verso valori di umanità e tolleranza. Il giovane Enrico fa la sua scelta ed è chiaro che non è una rinuncia, ma un obiettivo collettivo. Quegli uomini sentono la certezza che stanno spendendo la loro vita per una cosa giusta e il successo individuale non è nemmeno considerato.

Enrico abbandonare gli studi per dedicarsi completamente al partito e al popolo che vi aderisce.

Caro papà Ho deciso di abbandonare gli studi so bene quanto posso deluderti, considerando le tue aspettative su di me e il percorso di avvocato che aveva immaginato per il mio futuro… Mi hai trasmesso l’importanza della giustizia e mi hai mostrato con il tuo esempio come si lotta per essa. È proprio per difendere quella giustizia che intendo dedicarmi interamente alla vita politica. (op.cit. p. 80)

Dobbiamo ritrovare questi valori, ma soprattutto non considerare pazzo chi in tutti questi anni ha continuato a non avere dubbi, non considerare ripetitivi e retorici questi discorsi. Ripetitiva e pericolosa è la violenza che si sta imponendo sulle nostre teste, crudele e disumana. Persino Papa Francesco è considerato pazzo per le sue numerose sollecitazioni all’attenzione verso chi ha bisogno. Mentre sta solo cercando di dirci che non si sopravvive in un mondo di sopraffazione, nessun si salva da solo.

Per finire, voglio raccontarvi una parabola che il mio nonno francescano raccontava a mia madre e lei a noi.

La mamma di San Pietro finisce il Purgatorio. Per arrivare al Paradiso è necessario risalire una scala ripida e lunga fino alla cima dove lo attende suo figlio. Decide di affrettare la corsa e s’impone tra la folla continuando a ripetere “sono la mamma di Santo lasciatemi passare”. Ma quando arriva in cima il figlio, che aveva assistito alla scena, le stacca le mani dalla scala e la scaraventa giù all’inferno, dicendole che L’egoismo è un peccato che non può essere perdonato.

Rosa Montoro è nata a Sarno e vive a Cava de’ Tirreni, laureata in Sociologia lavora in un ente pubblico, è sposata e ha due figlie. Ha ricevuto vari premi per la poesia, nel 2017 ha pubblicato "La voce di mia madre", una raccolta di poesie inserita nel catalogo online “Il mio libro” – Gruppo editoriale Espresso. Per la narrativa è stata premiata nel 1997 per il racconto "Il cielo di Luigino" pubblicato nel testo collettaneo “Nuovi narratori campani” dell’editore Guida di Napoli. Lo stesso editore ha pubblicato nel 2000 il romanzo breve "Il silenzio della terra" premiato nel 2001 al Concorso Europeo di narrativa “Storie di Donne” FENAL circoli europei liberi, secondo premio. Infine, "Il Circolo degli illusi", edito da Oedipus - 2018.

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