Rosa è una bambina di sette anni, si preoccupa e parla spesso del nonno, chiede di andare a trovarlo e si informa sulla sua salute. Da qualche giorno, Rosa non parla più del nonno: cosa è successo? Come dire a Rosa che il nonno è morto? I genitori devono dirglielo oppure no?
La reazione di Rosa mostra come i bambini, spesso, intuiscono da indizi, da parole ascoltate e da cose viste che è accaduto qualcosa in famiglia: in questo caso, Rosa sa già che il nonno è morto, ma ha bisogno dell’aiuto dei genitori per trovare le giuste parole da usare per esprimere tutte le emozioni legate al tema della morte. Tuttavia, i genitori sono indecisi e, forse, non hanno il coraggio di affrontare questo tema con la propria bambina.
Di certo, i genitori non hanno tutti i torti. Nell’organizzazione sociale contemporanea, la morte è diventata una tematica sempre più relegata alle corsie d’ospedali, alla spettacolarizzazione mediatica e all’elaborazione individuale del lutto, mentre nelle società più antiche tutta la cultura e l’esperienza di vita quotidiana preparavano ad affrontare il dolore della morte e lo facevano percepire come un evento naturale.
L’emarginazione moderna della morte ha aumentato la difficoltà di parlarne e ha portato a dei veri e propri comportamenti di evitamento nelle famiglie. Volendofare un esempio (banale, ma efficace), acquistare un nuovo pesciolino rosso al proprio bambino senza che lui si accorga della morte di quello precedente è un modo per nascondere del tutto l’esistenza inevitabile di avvenimenti, sentimenti e pensieri negativi.
È proprio da quest’evitamento dell’idea di morte che i genitori dovrebbero partire per riuscire a trovare il coraggio di parlarne con i figli, di piangere insieme a loro e di stare dentro il dolore con loro, dandogli una voce e un significato condiviso da tutta la famiglia.
Un metodo utile per facilitare l’elaborazione del lutto, della sofferenza o di una brutta notizia è scrivere con il bambino la sua storia con immagini, disegni, fotografie, piccole descrizioni e ricordi della persona scomparsa. Alla fine, si può anche rilegare tutto in un piccolo libricino e farne tante copie che il bambino potrà regalare o mostrare a chi vuole.
L’altro limite che spesso blocca i genitori nell’affrontare questo tema è riassumibile nelle domande: “Se poi nostro figlio/a ci chiede se anche noi moriremo? Cosa dirgli se ci chiede se anche lui morirà?”. Al di là del fatto che le riposte dipendono maggiormente dalla specifica relazione che ognuno ha con i propri figli, il messaggio su cui si dovrebbe fondare ogni comunicazione è che la paura, la tristezza, l’ansia, l’angoscia e la morte fanno parte dei problemi della vita umana, proprio come quando Gioia, nel film d’animazione Inside Out, comprende l’importanza di Tristezza.
Nascondere tutto questo ai bambini, tenerlo sotto il livello cosciente corrisponde a vederlo ritornare con più forza ed in maniera più dannosa nei momenti critici dello sviluppo, per questo è importante che i genitori accettino anche un aiuto psicoterapeutico per comprendere qual è il modo che ritengono più appropriato per parlare al proprio figlio/a della tema della morte o di altre tematiche specifiche.
Dal lato opposto, affrontare il lutto con il bambino vuol dire che quando la morte si presenterà inevitabilmente non sarà una cosa del tutto spaventosa, ma qualcosa che il bambino già conosce in parte, che può affrontare e condividere con gli altri.
In conclusione, è necessario che i genitori siano capaci di accettare i rischi e le controindicazioni implicite nell’educazione dei propri figli, ovvero allontanarsi dai pensieri irrazionali (“Devo assolutamente proteggere mio figlio da ogni rischio”, “Prima di tutto nessun rischio”) e cercare di vivere senza la paura smodata dei rischi e dei pericoli che il bambino deve affrontare nel suo percorso di crescita.
BIBILOGRAFIA
Celi, F. (2018), La psicoterapia in età evolutiva, Hogrefe Editore, Firenze.