COMUNALI 2020 Luigi Gravagnuolo: “Serve un progetto civico unificante per la città”
“Sarebbero realmente alternativi una giunta ed un sindaco che si dicano iscritti ad un solo partito, chiamato ‘Cava de’ Tirreni’”.
Sindaco di Cava de’ Tirreni dal 2006 al gennaio del 2010, Luigi Gravagnuolo è oggi, fuori dalla mischia per sua scelta, un acuto osservatore della vita politica cittadina e nazionale. Una voce da ascoltare in questo viaggio di Ulisse, con lo scopo di dare un contributo di idee, cultura ed esperienza alla politica cittadina in vista delle prossime comunali.
Tenendo presente alcune linee guida, come il pragmatismo, la necessità del buon governo e della buona politica, da dove si deve partire per costruire una proposta politica alternativa all’attuale governo municipale o comunque integrativa e migliorativa, quantomeno aggiornata di quella che potrebbe e dovrebbe formulare l’attuale maggioranza dopo questi anni di esperienza maturata alla guida della città?
Le alternative non si costruiscono a tavolino. Quando ci sono bisogni non soddisfatti, interessi che non si sentono tutelati, domande sociali inevase, stati d’animo collettivi non percepiti o male interpretati da chi governa, giocoforza questi cercano una proposta politica alternativa e, se non la trovano nell’offerta politica esistente, se la inventano ex novo. È successo così nel ’94 con Berlusconi e nel ’13 con i 5Stelle. Altre volte, invece, è una parte del ceto politico già su piazza che, volendo scalzare chi governa, va a ‘cercare’ i bisogni insoddisfatti nel tentativo di farli emergere e farli diventare base di consenso per la costruzione dell’alternativa. Ciò vale anche per le città e per la nostra Cava in particolare. Bisogna perciò capire se gli interessi sociali insoddisfatti in città sono così rilevanti da costituire una solida base per un’alternativa, eventualmente offerta dalla politica esistente, ovvero per trovarsela da soli. Io da un po’ sto in disparte e non so dirti con certezza se l’evidente assenza finora di una alternativa all’attuale amministrazione dipenda dalla impalpabilità dei bisogni inevasi, o da quella del ceto politico di opposizione, ovvero da entrambe.
Rinnovamento, cambiamento, discontinuità e poi, da ultimo, anche la svolta buona dopo essere passati per rottura e rottamazione, sono parole ormai abusate ed logore, forse perfino fuorvianti se non prive di senso. Allora, una nuova proposta politica come la possiamo connotare?
Sono tutti slogan indicatori del desiderio di un raggruppamento politico di scalzarne un altro: cambiamento, cioè manda a casa loro e prendi noi; discontinuità, ovvero butta giù la classe politica che ti governa; rottamazione, etc… Per quanto riguarda la nostra città, ho l’impressione che i Cavesi non pongano speranze in un cambio di maggioranza a palazzo di città, restando all’interno del perimetro delle formazioni politiche che, alternandosi, la governano da un quarto di secolo facendo riferimento ora a questo ora a quel leader nazionale o territoriale. Piuttosto Cava, come la gran parte delle città piccole e medie d’Italia, si avvantaggerebbe e potrebbe riprendere a sperare se potesse disporre di un’amministrazione svincolata dalle logiche e dalle esigenze dei partiti nazionali e dei loro leader territoriali. Ecco, e parlo per me, io riterrei realmente alternativi una giunta ed un sindaco che si dicano iscritti ad un solo partito, chiamato ‘Cava de’ Tirreni’. Connoterei quindi tale proposta politica semplicemente come civica, di servizio per la nostra comunità.
Partiamo dalla scelta degli uomini. Quali sono i requisiti ideali per essere candidato a sindaco? E come si arriva alla scelta di un candidato sindaco?
A partire dall’iniziativa di persone rappresentative della nostra comunità, nelle sue articolazioni culturali, sociali e territoriali (centro e frazioni), che si confrontano sull’analisi delle esigenze della città e su quanto occorra per farvi fronte; quindi che sottopongano queste loro elaborazioni al vaglio degli stakeholder e della gente semplice disponibile al confronto. Definito e condiviso il fabbisogno amministrativo e le sue possibili soluzioni, non dovrebbe essere difficile individuare la persona che, per competenze, spirito di servizio, onestà e capacità di leadership, sia quella giusta alla quale sottoporre l’analisi e le proposte e chiedere di scendere in campo. Magari costui o costei potrebbe essere una delle stesse personalità che prendono l’iniziativa di avviare il percorso. Così come, teoricamente, potrebbe essere anche lo stesso attuale sindaco, se fosse ritenuto in grado di portare avanti il programma e fosse disponibile ad autonomizzarsi dalle logiche di partito. Per amore di onestà, temo tuttavia che lui, essendo ancora giovane e carico dell’umana aspirazione a salire qualche gradino nel suo cursus honorum politico, abbia giocoforza bisogno di inquadrarsi in un partito e di entrare nel relativo gioco delle correnti.
E per i candidati a consigliere comunale? C’è qualche controindicazione, in altre parole qualche ragione ostativa all’ingresso in lista di un candidato?
È una problematica complessa, forse la più spinosa. Una volta, quando esistevano i partiti, quelli veri, le classi dirigenti venivano formate e selezionate in quegli ambiti e le candidature venivano di conseguenza. Oggi esse vengono definite sulla base del numero dei voti potenziali di cui ciascun candidato è portatore. Puoi essere un cretino, o uno impasticciato col malaffare, se porti voti vai bene. D’altra parte è anche comprensibile, i valori sono ormai scomparsi e alle elezioni ci si presenta pur sempre con l’obiettivo di conquistare il consenso della maggioranza degli elettori. Non è facile tenere fuori dalle liste chi ha i voti e magari mettervi dentro i buoni, gli intelligenti, i colti e i puri, ma privi di legami con l’elettorato. Diciamo che il candidato consigliere ideale dovrebbe essere preparato, pulito ed insieme riconosciuto da un numero significativo di elettori. Resta poi da vedere chi ne valuta la preparazione, la pulizia morale ed il radicamento sociale. Se non si vuole arrivare alla presentazione dei curricula – soluzione che tentano di praticare i cinque stelle – si potrebbe magari pensare ad una commissione di garanti, purché composta da persone equilibrate e con senso politico, non da pedanti.
Partiti, movimenti civici, associazioni politiche: come si mettono insieme in un progetto politico? Formando una lista unitaria o più liste, distinte tra partiti e civici?
Se la proposta è civica, i partiti, qualora la ritenessero valida, farebbero bene a sostenerla consentendo ai loro uomini e alle loro donne migliori di mettersi a disposizione della città, senza sottolineature identitarie di parte. Un’alleanza tra civismo e partiti, evidenziata per il tramite di liste di partito confluenti insieme a liste propriamente civiche su un’unica candidatura a sindaco mi sembrerebbe un pasticcio. Ed una minaccia.
Molte liste in competizione portano più partecipazione e voti o solo confusione, polverizzazione e soprattutto abbassamento del livello qualitativo del personale politico?
Comportano rischi di infiltrazione e confusione. Ovviamente sull’altro piatto della bilancia ci sono i voti, che in democrazia non sono una cosina marginale.
E la Giunta, quali dovrebbero essere i criteri di selezione degli assessori e quali i requisiti che devono possedere?
Gli assessori ideali dovrebbero essere in totale sintonia umana, culturale ed operativa col sindaco ed ovviamente preparati, onesti e laboriosi; soprattutto dovrebbero essere funzionali agli obiettivi. Cerco di spiegarmi con un esempio: se obiettivo rilevante della proposta amministrativa fosse il governo efficiente della macchina comunale, l’assessore al personale dovrebbe essere una persona con specifica competenza nel settore, nonché leale verso il Sindaco e motivata politicamente al perseguimento dell’obiettivo.
I componenti della Giunta vanno indicati prima delle elezioni?
È un’arma a doppio taglio. Per un verso, dichiarando prima i nomi della giunta, si fa un’operazione di trasparenza nei confronti degli elettori. Per un altro si demotivano i candidati delle liste. Le ambizioni e le aspirazioni personali sono parte integrante della politica e, direi, della vita sociale; una politica che non tenga conto dell’animo umano finisce per essere astratta. Senza trascurare che, chiudendo il cerchio della giunta prima del voto, si privano gli elettori della chance di indicare le persone da cui vorrebbero essere amministrate. Comunicare ex ante agli elettori due-tre nomi, rinviando il completamento della giunta all’esito del voto, in relazione al consenso ottenuto dai candidati, potrebbe essere la giusta mediazione tra trasparenza, riconoscimento dell’impegno personale profuso da ciascun candidato e rispetto delle indicazioni degli elettori.
Il buon governo spesso viene messo in discussione dalla mancanza di chiarezza nella definizione dei ruoli, dei poteri e dei rapporti che devono intercorrere tra sindaco, assessori e consiglieri. Insomma, gli equilibri sono molto difficili da raggiungere e tenere tra le varie componenti della maggioranza. Qual è il modo migliore per ovviare a questa oggettiva difficoltà?
Sul piano formale e sostanziale i ruoli sono già ben delimitati dalle norme: gli indirizzi politici e le scelte strategiche vengono fatte dal Consiglio Comunale, mentre la Giunta, coordinata e guidata dal Sindaco, esegue quanto indicato dal C.C. Questo sulla carta. Nei fatti nella stragrande maggioranza dei casi sono il sindaco e la giunta che ‘danno la linea’ ai consiglieri e ciò alla lunga determina frustrazioni in quest’ultimi. Tuttavia la gran parte dei dissidi interni alle maggioranze, come alle minoranze, non deriva neanche da queste dinamiche, bensì più banalmente dallo scontro tra ambizioni personali. È da mettere nel conto che ciascun assessore o consigliere ricerchi la propria visibilità pubblica, anche a scapito dei propri colleghi e, a volte, dello stesso sindaco. Ciò determina spesso invidie, gelosie, tensioni che si ammantano di presunte divergenze di contenuti. Un buon sindaco, unendo dialogo a fermezza disciplinante, deve saper governare queste tensioni. Da questo punto di vista l’esperienza di vita di chi guida l’amministrazione e le sue qualità nel team building, per dirla tecnicamente, sono ineludibili.
Veniamo al programma. Innanzi tutto, come si procede alla sua stesura? E quali i punti, diciamo almeno cinque, più qualificanti a suo avviso?
Il programma, lo dicevo poc’anzi, nasce dall’individuazione dei bisogni della città e dalla loro definizione gerarchica: noi che ci candidiamo a governare la nostra comunità, di quali bisogni sociali siamo espressione? Quindi, quali problemi affronteremo prioritariamente, quali invece rinvieremo, etc… È evidente che la gerarchia delle priorità sarà facilitata dal possesso di una visione d’insieme sulla città del futuro. Tra dieci anni, come crediamo che debba essere diventata la nostra città? Di conseguenza cosa dobbiamo fare nei primi cinque anni; e nel primo, nel secondo anno, etc…? Rispondendo a queste domande il programma è già bello che fatto. Permettimi invece di eludere la domanda sui cinque punti qualificanti; toccherà indicarli a chi avanzerà una proposta politico amministrativa per Cava. Io mi limito a richiamare un’idea di città che a suo tempo ho denominato Cava Città-Parco culturale, che, beninteso, non è Cava-contenitore di convegni ed eventi culturali; o meglio non è solo questo. È, appunto una visione di città, ecosostenibile, smart, solidale, con servizi di qualità ‘europea’, con elevato decoro urbano, etc… Su ciò mi sono più volte soffermato e non ci torno qui. Permettimi solo di dirti che sono molto contento che oggi questa visione pare sia diventata un patrimonio progettuale conosciuto ed anche ampliamente condiviso nella classe dirigente cavese. Ecco, proprio perché largamente condiviso, si potrebbe partire di qui per la costruzione di un progetto civico unificante per la città; non divisivo com’è nel caso delle proposte a supporto di progetti politici elaborati da gruppi potere o aspiranti tali.
Su alcune questioni, come ad esempio l’abusivismo edilizio, l’organizzazione comunale, la gestione dei rifiuti, la lotta agli sprechi e la revisione della spesa, la sicurezza e la mobilità urbana, è necessario un linguaggio di verità. Quali le parole giuste?
Capisco cosa vuoi dire, la parola giusta è rispetto degli altri. Prendo ad esempio la prima questione, l’abusivismo, sul cui filo scoperto, com’è noto, a suo tempo misi il dito e presi la corrente. Io sono manifestamente molto legato al principio della legalità, che non significa indifferenza ai problemi sociali determinati da leggi a volte ingiuste o inadeguate. È il caso delle norme attuali in materia di abusivismo edilizio. Solo che le leggi sbagliate vanno cambiate e si lotta per cambiarle, non si dice a se stessi: ‘questa legge è ingiusta, quindi io non la rispetto e faccio quello che ritengo più giusto per me stesso’. Se non altro perché quello che tu ritieni giusto per te stesso potrebbe risultare invece ingiusto alla maggioranza dei cittadini e, se tu decidi che, quando una legge non ti piace, te ne freghi e non la rispetti, oltre a commettere un reato, offendi i sentimenti e le decisioni della maggioranza delle persone con le quali convivi. Parliamo ovviamente in un contesto democratico, in cui le leggi sono stabilite da organismi elettivi espressione della maggioranza dei cittadini. Insomma, legalità e democrazia si tengono insieme in un nesso indissolubile, senza del quale la società si squaglia e prendono il sopravvento i più forti, i più prepotenti, i più violenti. E finisce la democrazia.
Uno slogan per la campagna elettorale nel quale i cavesi potrebbero riconoscersi?
Per questo mi devi pagare.
E con una simpatica risata si conclude questa intervista all’insegna della vivacità politica e culturale.