Si deve ad un gentiluomo milanese di 88 anni, Piero Bassetti, il progetto più meridionalista che abbiamo avuto la ventura di ascoltare negli ultimi anni di dileguamento quasi omertoso di ogni voce dal dibattito pubblico sul Mezzogiorno.
L’analisi di Bassetti, già proto-presidente della regione Lombardia e patron delle Camere di Commercio italiane, non è diversa da quelle dello Svimez, dell’Istat e dei temerari meridionalisti che si affannano a ricordare che l’Italia non ha futuro se non riparte il Sud.
L’approccio di Bassetti può apparire antico: l’unica ipotesi salvifica, per l’economista lombardo, è una sorta di nuovo piano Marshall per il Mezzogiorno. Un nuovo massiccio intervento economico, così come quello che gli americani garantirono all’Italia tutta dopo la distruzione della seconda guerra mondiale, finalizzato a ricostruire il tessuto connettivo industriale, sociale, strutturale del territorio.
Attingendo, però, non dal cesto delle risorse statali, che non ci sono più, ma facendo ricorso ai tanti “italici” di provenienza meridionale, sparsi per il mondo. Si tratta, secondo Bassetti, di mettere in campo una gigantesca operazione di fundraising che punti a richiamare all’investimento produttivo nel Sud i milioni di meridionali sparsi per il mondo, costruendo un network privato immenso e virtuoso.
Bassetti parla di “Italici”, non necessariamente di “Italiani”: siamo alla quinta e passa generazione e la nazionalità originaria di chi lasciò l’Italia per andare a cercare il suo destino nel mondo si è svaporata. Ma è restata la condivisione delle origini, forse delle culture, probabilmente anche dei valori. E’ Francis Ford Coppola che ritrova a Bernalda le sue radici, ma potrebbero essere i De Blasio, sindaco di New York, o Nancy Pelosi, la prima donna statunitense a raggiungere il più alto grado di rappresentanza nel parlamento federale.
Come non concordare con questa tesi vibrante e aperta al mondo globale? Il punto, però, è che nessun fundraising può mandare esente l’intervento pubblico dalle sue responsabilità e dalle sue omissioni. Almeno su quattro fondamentali condizioni che discendono direttamente dalla Costituzione e che si pongono come pregiudiziali per tutto il resto.
La prima: il diritto di ogni cittadino a veder garantito l’ordine pubblico. La lotta alla criminalità impone certo un cambio di passo culturale, ma non può essere compiuta senza l’intervento dello Stato, che deve garantire la funzionalità del sistema giudiziario e il ridimensionamento della burocrazia. La seconda: il diritto ad un trasporto pubblico civile. Tanto per comprendere di che parliamo giova ricordare che nella sola Lombardia operano più treni pendolari che in tutta l’Italia meridionale. La verità è che il diritto alla circolazione è fondamentale nella gerarchia dei diritti della persona, e a Sud è negato. La terza: il diritto alla salute, che poi è una declinazione del diritto alla vita. La quarta: il diritto all’istruzione.
Per ognuno di questi fondamentali diritti che lo Stato ha il dovere di garantire, non si può pensare ad una alternativa “privata” senza stravolgere l’essenza di uno Stato democratico.
Queste quattro condizioni, dunque, rappresentano il “minimo sindacale” per il Sud in affanno. Lo Stato faccia il suo dovere. Al piano Marshall ci pensiamo noi.