Pure se i commentatori politici e vari “influencer” sono abbastanza dubbiosi sulla possibilità che il nuovo governo intervenga a breve e decisamente con uno stop alla erogazione del “reddito di cittadinanza”, sembra che ormai i tempi siano maturi e la scadenza di questo “beneficio” sia sempre più vicina.
Due considerazioni prima di addentrarci nel discorso dell’abolizione del sussidio.
La prima riguarda gli “influencer”, i quali sono personaggi che soprattutto in rete sono in grado di “influenzare” la pubblica opinione: qualcuno sarcasticamente afferma, sempre in rete, che gli “influencer” esistono perché c’è una massa di “deficienter” che li segue, e che, non avendo idee proprie, dipende dalle loro labbra, e questo è un fatto.
Ma talvolta assumono la qualifica di “influencer” anche personaggi di grande cultura e di spessore umano e politico, che guardano la realtà dei fatti e le conseguenze che un’azione potrebbe avere sulla immagine e sulla credibilità di chi adotta, o dovrebbe adottare, un determinato provvedimento.
Nel caso specifico del reddito di cittadinanza, qualcuno asserisce che i tempi per farlo non sono maturi e comunque non potrebbero essere brevi, basandosi sulla constatazione che questo sussidio, introdotto nel 2018 dal primo governo Conte, quello giallo-verde basato su Lega e M5S, è duro da scalfire perché con lo stesso campano non solo quelli che effettivamente non hanno altra fonte di sussistenza, ma anche una larga fetta di percipienti che risultano nullatenenti e nullafacenti, che ufficialmente vivono solo con tale sussidio, ma poi lavorano in nero gabbando la società e il bilancio dello Stato.
E giacché è sempre in vita il M5S, ora guidato da Giuseppe Conte, il quale, essendo uno dei padri del RDC, ha già anticipato che farà le barricate se qualcuno accenna ad abolirlo, e che è certa la perdita di consensi elettorali per chi intende abolirlo o anche ridurlo, sembrano aver ragione i commentatori che pensano che nessuno si azzarderà a toccarlo, Meloni meno che mai, sia per tutti i guai che le gravano sulla schiena in questo momento estremamente delicato per il suo governo, tra liti europee, strampalate proposte di legge (vedi il provvedimento anti-rav), e compagine di governo che negli ultimi giorni sembra un’armata Brancaleone imbarcata su un veliero alla deriva nel corso di una grande tempesta; quasi quotidianamente nella coalizione che sostiene il governo vengono fuori orientamenti non proprio pacifici, specialmente da parte della Lega, con il vice-premier Salvini che alza quotidianamente le sue pretese, pure se non è da meno FI che, attraverso l’altro Vice-Premier Tajani, non fa mancare il suo peso.
Comunque chi vivrà, vedrà, e noi ci accingiamo ad esaminare la questione dell’abolizione del famigerato reddito sulla base di dichiarazioni di politici e note di stampa che quasi quotidianamente ne parlano.
Con la premessa che a noi, come a una bella fetta di elettori, l’abolizione di questo inutile e costoso sussidio non può non far piacere: ovviamente è da mantenere solo per coloro che effettivamente ne hanno bisogno.
Ma è necessario tornare alle origini, vale a dire a quelle che furono le motivazioni e la regolamentazione originaria, cioè la erogazione del sussidio fino a quando il percipiente non avrà trovato lavoro.
Ed è proprio questo è il principale problema, perché oggi più di ieri trovare lavoro non è facile, la crisi economica avviata con la pandemia e seguita dalla guerra russo-ucraina non accenna ad alleggerirsi, l’inflazione galoppa, anche i redditi certi e fissi sono in affanno, insomma la situazione generale è abbastanza scura e il lavoro scarseggia.
Dal canto suo Giorgia Meloni non può tirarsi indietro in quanto uno dei punti del suo programma è proprio l’abolizione del RDC, e i tempi sembrano maturi per farlo.
Proprio oggi autorevoli commentatori asseriscono che entro sei mesi la Meloni lo sopprimerà, secondo un meccanismo in base al quale se il percettore rifiuterà il primo lavoro che gli verrà offerto, perderà il sussidio.
Il provvedimento verrebbe inserito nella manovra economica con la quale il Governo dovrebbe recuperare circa 30.miliardi tra minori spese, e quindi tagli, e maggiori entrate, ma non si capisce da cosa.
E c’è un altro aspetto importante: offrire un lavoro sta a significare avere la possibilità di farlo, cioè che un lavoro ci sia. E’ ovvio che ad un manovale edile non può essere offerto un lavoro da perito informatico, e se lo si facesse potrebbero scattare opposizioni che potrebbero avere pure risvolti giudiziari, il che aggiungerebbe al danno la beffa.
A meno che, com’è sembrato aver capito tra le righe di qualche commento, il governo della Meloni non intenderà scaricare totalmente sulle spalle dei percettori del RDC l’onore di trovarsi una occupazione, ma questo sarebbe per gli elettori dell’attuale governo una beffa che non potrebbero sopportare: se la Premier lo facesse rischierebbe parecchio in termini di consenso.
Insomma un bel rompicapo per Giorgia Meloni, che a tal proposito ha da ringraziare solo l’ex, ed attuale, M5S, precisamente Giuseppe Conte, che ancora regge il partico-movimento, e ancora di più l’ex Luigi Di Maio, quello che dal balcone di Palazzo Chigi nel settembre 2018 uscì raggiante, proclamando di aver abolito la povertà.
In compenso Di Maio dimostrò di aver abolito la sua povertà, assicurandosi un posto di primo piano durante i governi che da allora si sono succeduti, dai tre di Conte a quello di Draghi, dal quale è uscito dopo essersi dimesso dal partito dei grillini, dopo aver maturato pensione e prebende per gli anni di governo, e ora ha ricevuto anche un incarico da non trascurare, cioè di inviato speciale della UE nel Golfo Persico per i prezzi del gas e del petrolio, incarico conferitogli dall’Alto Rappresentante per la Politica Estera Ue Josep Borrell, ma dietro il quale si intravede il sostegno di Mario Draghi al quale Di Maio è sempre stato fedele: compenso annuo di 70.mila euro, per il quale parecchi grillini, a partire da Giuseppe Conte, masticano amaro.
Ma non possiamo fare a meno di commentare l’atteggiamento, sempre disinvolto, del Vice-Premier Salvini, il quale oggi fa fuoco e fiamme perché il RDC venga abolito, oggi e non domani: ma quando fu introdotto non era uno di quelli che non solo l’approvarono, ma che gioirono insieme a Di Maio per l’abolizione della povertà?
In definitiva oggi non vorremmo essere nei panni della Meloni, anche se ci vienda dire: hai voluto la bicicletta, e ora pedala!20