scritto da Pino Pisicchio - 06 Febbraio 2016 13:19

Primarie di Villa Arzilla

La democrazia di un Paese dove l’età non è un merito e neanche una colpa

E’ appena partito il variopinto caravanserraglio delle primarie americane, con il profluvio di gadgets, squilli di tromba nazionalistici e, appunto, americanate che tanto piacciono ai media e a buona parte di politici italiani con qualche debito di rapporto con il corpo elettorale. Tanto da volerle importare paro paro  qui da noi.

Le primarie sono, in fondo, una parte e neanche così  “laterale” dello show business, dello spettacolo totale che occorre allestire negli Usa per raccogliere un’attenzione popolare che altrimenti non si dirigerebbe verso la politica.  Ciò che balza agli occhi, al netto di ogni osservazione che pure troverebbe luogo, ad esempio  sui gracili profili programmatici dei candidati che sembrano promuovere, più che progetti di governo, la loro corporeità, è l’età dei competitori.

Sul fronte destro il “giovane” Jeb Bush ha “solo” 63 anni, mentre Donald Trump, supera con smalto rubizzo i 69. Sul fronte democratico la Clinton ha toccato i 68 anni e il suo più temibile sfidante, quel  “socialista” di Bernie Sanders che tanto piacerebbe ai giovani elettori, ha varcato la veneranda soglia di 74 anni.

Se non fosse per i due giovani (veri) del fronte repubblicano, i 45enni Marco Rubio e Ted Cruz, avvocati di belle ma non così realistiche  speranze, la corsa alla nomination sui due fronti sembrerebbe più simile ad un sinodo cardinalizio della Chiesa prima della riforma, che oggi, però,  mette in pensione i più vetusti traghettandoli nel ruolo di emeriti.

Una simpatica cartolina dall’America, dunque, che, vista  da un’Italietta che si è appuntata con orgoglio sul petto le più alte decorazioni per meriti rottamatori e che vanterebbe uno dei parlamenti più giovani del mondo, sembrerebbe quasi una provocazione. O un salto en arrière,  un ritorno al futuro da film della Prima Repubblica.

Eppure le diverse attenzioni che i due paesi sembrano rivolgere alla loro classe politica di vertice non sembrano dettate da spinte demografiche, anzi, sembrerebbero addirittura prospettive rovesciate quelle italiane e americane: basti pensare che in Italia il 42% della popolazione ha superato i 50 anni di età, mentre gli americani sotto ai diciannove anni sono un quarto della popolazione e gli ultrasessantacinquenni solo il 13 % (in Italia in quella fascia si trova il 22%).

Che dire,allora? Niente. Che forse esistono paesi dove l’età non è un merito e neanche una colpa. E dove si immagina che, forse, le competenze necessarie per un ruolo di governo così impegnativo debbano mettere insieme il necessario talento, che Weber chiamava vocazione e che non ha età, con l’energia, che sicuramente si addice ad un giovane, e con l’esperienza, che è propria di chi ha vissuto un poco di più.

Shekerare con forza e poi servire. Freddo. Di questo è fatto l’uomo di Stato.

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