Libertà di stampa non vuol dire licenza di spiare e sputtanare
Far girare la penna nelle piaghe è nel bagaglio culturale e professionale del mestiere del giornalista, ma nell’ambito di regole di convivenza civile e democratica
La libertà di stampa è un diritto garantito dalla Costituzione ed è un dovere del giornalista esercitarlo, a fondamento della nostra democrazia, “nel rispetto della personalità altrui” e della verità sostanziale dei fatti.
A puntualizzarlo è stato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del ricevimento al Quirinale dei vertici della CASAGIT (cassa di assistenza sanitaria dei giornalisti).
Un tono che sa di reprimenda laddove vengono meno “lealtà e indipendenza dell’informazione, valori fondanti ed ispiratori della legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti”. Sul punto c’è da dire che la loro inosservanza sansionabile sul piano deontologico, spesso viene configurata come necessaria trasgressione per disvelare i misfatti dei palazzi dei potenti ed a volte è anche punibile dal vigente codice penale.
Far girare la penna nelle piaghe è nel bagaglio culturale e professionale del mestiere del giornalista, ma nell’ambito di regole di convivenza civile e democratica. In questa cornice vanno inscritte le vicende fuorvianti di “dossieraggio”, fonti riservate di approvvigionamento di notizie per il cosiddetto giornalismo di inchiesta, neutrale o politicamente ingaggiato.
L’ultima delle quali riguarda la raccolta di dati sensibili su personaggi noti di diversa estrazione, abusivamente, posta in essere da un Ufficiale della GdF. Le relative risultanze sono finite sotto forma di scoop sulle pagine di un quotidiano, il Domani, politicamente orientato, e nello specifico quelle concernenti un Ministro, Guido Crosetto, figura di spicco del Governo Meloni. Dalla sua denunzia è scattata una inchiesta giudiziaria che ha assunto per oggetto “un mercato clandestino delle notizie” (copyright del Procuratore della DNA, Giovanni Melillo), nel quale “ci sono aspetti che possono riguardare la sicurezza nazionale”, secondo il Procuratore Capo di Perugia, Raffaele Cantone.
La quantità di persone spiate nei loro patrimoni e nei conti in banca fa dire ad entrambi i magistrati inquirenti che l’Ufficiale della GdF, Pasquale Striano, in servizio presso la Direzione Nazionale Antimafia, non avrebbe agito da solo e di sua esclusiva iniziativa. Il che lascia all’immaginazione dei “giallisti” di pensare all’opera di spioni associati, in divisa o con la toga, e se c’è il “mercato” ad una lobby del ricatto politico o patrimoniale.
Salvo insabbiamento nelle nebbie di commissioni speciali di inchiesta, saranno i magistrati inquirenti e quelli giudicanti a sviscerare ed a configurare ruoli e responsabilità in questo ennesimo “affaire” di incestuose relazioni tra l’insondabile mondo dei servizi di sicurezza dello Stato e la faccia politicante dei media. Difronte a notizie pervenute in redazione per via riservata, è comprensibile il travaglio di discernimento del giornalista nel darle in quanto utili all’opinione pubblica o di valutarne la tossicità previo accertamento della fonte.
Esclusa la sleale casistica dell’uso di materiale informativo appositamente commissionato, in questi contesti si rivelano l’onestà intellettuale del giornalista verso i fruitori del suo lavoro e la libertà da condizionamenti esterni alla sua coscienza. Se ce l’ha, si tratta di una esercitazione quotidiana che non c’entra nulla con le “querelle” su “bavagli” o presunti tali, perché la libertà di stampa sancita nell’Articolo 21 della Costituzione non contempla la licenza di spiare per sputtanare.