scritto da Nino Maiorino - 28 Febbraio 2019 12:36

Le paranze dei bambini

C’è chi dice che film come “La paranza dei bambini”, tratto da uno degli ultimi romanzi di Roberto Saviano, da pochi giorni nelle sale cinematografiche, sia un danno per molti aspetti: il messaggio che dà della città di Napoli, il messaggio che dà dei giovani e ai giovani per la realizzazione facile e immediata di sogni di potere, prestigio, consumismo, il messaggio di una quasi giustificazione e condivisione delle violenze perpetrate dai “bambini” delle paranze per la loro giovane età, ecc. ecc.

Io non sarei così “tranchant” nel giudicare e condannare opere cinematografiche che, indipendentemente dal valore artistico più o meno valido e condivisibile, costituiscono comunque la testimonianza di un periodo sociale e storico.

Il film racconta la storia di un gruppo di quindicenni del Rione Sanità di Napoli, affamati di potere e soldi facili, che si fa largo sulla scena criminale della città. Nell’incoscienza della loro età, vivono tra il bene e il male, pensando che il crimine possa essere la loro unica possibilità di vita: e probabilmente non hanno tutti i torti.

Esso si inserisce in questo periodo che definire complicatissimo è un eufemismo: prima perché la presa di coscienza della complicazione è già il sintomo di approccio alla individuazione della soluzione di un problema, che ancora nessuno si sente di avviare; e poi perché, per le purtroppo famose “stese” che quotidianamente si verificano a Napoli, al momento non si può fare altro che prenderne atto, fermarsi ad esaminare e approfondire il problema sia dal lato sociale che legale e, con la collaborazione di esperti -criminologhi, sociologhi, educatori, e anche imprenditori- preferibilmente partenopei, oltre che delle Istituzioni rappresentate preferibilmente da meridionali, cercare di individuare strategie tendenti a circoscriverlo anche per evitare che esso, come tutte le male piante, attecchisca sempre di più e contamini anche altre zone.

Non possiamo illuderci, infatti, che esso rimanga circoscritto solo all’ambiente partenopeo in quanto nessuno può garantire che non possa estendersi altrove: ed è proprio questo uno dei pericoli del dilagante fenomeno, e pochi mesi fa, proprio qui a Cava, e poi a Nocera Inferiore e a Sarno, abbiamo avuto qualche avvisaglia da parte di un solitario pistolero il quale, per fortuna, ha fatto danni limitati perché nessuno è finito al cimitero e la ragazza cavese colpita davanti al bar in Piazza Abbro se l’è cavata senza eccessivi danni, a parte la circostanza che non è stato possibile rimuovere la pallottola che la colpì per evitare danni seri, e pertanto con la stessa dovrà convivere. Qualcuno dirà che il caso specifico ha poca attinenza con le “stese”, ma nessuno può garantire che non alimenti un sentimento di emulazione e da lì ad un fenomeno delinquenziale vero e proprio il passo può essere breve.

Tornando al film di Giovannesi e Saviano c’è da dire che un’opera cinematografica non è solo un fatto imprenditoriale e commerciale, ma anche un fatto artistico e storico ed in tale ottica va inquadrata: non mi stanco di citare, tra i tanti esempi, il memorabile film di Federico Fellini dal titolo “La dolce vita” il quale, all’epoca, sembrava solo una fortunata iniziativa cinematografica che aveva dato all’Italia e ai produttori prestigio e guadagni, ma poi si è rivelata una pietra miliare della decima musa, quale è stata definita la cinematografia.

Indipendentemente dalle caratteristiche tecniche e scenografiche e dalle scelte fatte dal regista Giovannesi in merito alla individuazione dei protagonisti, tutti giovanissimi arruolati dalle strade napoletane e portati sul set (sono solo due, infatti, gli attori di carriera, il primo è Renato Carpentieri che ha interpretato il ruolo di un boss della camorra che dà fiducia alla “paranza” che ad esso si è rivolta per essere introdotta nel mondo della malavita di strada napoletana, e fornisce loro anche le armi con le quali i “bambini” si fanno largo nell’affollato mondo della criminalità di strada, l’altro il poco conosciuto Gennaro Giordano), il film rappresenta una pietra miliare nell’attestazione delle deformazioni dell’ambiente partenopeo, e fa seguito all’altro noto film pure tratto dal romanzo di Saviano dal titolo “Gomorra”, il quale diede al pubblico la cognizione e il dimensionamento del fenomeno camorristico in Campania, e non solo dal punto di vista della organizzazione dello stesso e della esatta terminologia con la quale è individuato (il termine “sistema”, che ne indica il modus operandi, è stato reso noto a tutti proprio grazie al romanzo e al film).

Rispetto al libro, molto più crudo e violento, il film “La paranza dei bambini” ingentilisce i personaggi, li rende quasi “angelici” pure nelle loro quotidiane violenze, li descrive più umani, con quei volti quasi fanciulleschi che si fa fatica a collegare alle azioni spietate di sparatorie e omicidi che eseguono; evidentemente il regista e gli sceneggiatori hanno voluto non traumatizzare eccessivamente gli spettatori, come sarebbe avvenuto riportando i crudi fatti raccontanti nel romanzo, che certamente sarebbero stati oggetto di censura; ma l’operazione di scrematura non ha reso bene né il contesto urbano, né il carattere spietato dei personaggi, e questo, a mio avviso, è una contraddizione che sconcerta e porta fuori strada.

Tornando al titolo di queste mie considerazioni, la scena finale del film è illuminante; tutti i componenti della “paranza”, abbondantemente armati e ben piantati sui loro motorini, che si avviano a sostenere la spedizione punitiva contro un’altra paranza è una specie di atto finale che porterà o alla sua supremazia, o alla sua disfatta.

In entrambi i casi è una spedizione che, comunque si concluderà, relegherà i protagonisti in un mondo senza futuro: quello dell’aldilà, oppure quello della criminalità, nel quale sarà quasi impossibile sopravvivere e dal quale sarà difficile poter uscire, proprio un mondo senza futuro.

Rimane comunque una considerazione finale da fare, vale a dire la distinzione tra il film e la produzione di successivi filmati prodotti per serie televisive; pensiamo ai vari filmati televisivi della serie “Gomorra”, i quali hanno invaso i canali televisivi imperversando sul mercato e invadendo case e famiglie, con le varie conseguenze derivanti dall’assuefazione di ragazzi e adolescenti, bersagliati dalla violenza tramite i canali televisivi. Infatti, mentre la sala cinematografica presuppone una volontà e decisione specifica di assistere allo spettacolo, la tv invade le case in maniera indiscriminata e spesso incontrollata; il cinema è una scelta che il singolo compie, la tv è una sopraffazione che ti invade la tua sfera personale, spesso senza che tu possa averne la percezione.

Talché, nel mentre non sono mai da condannare le opere cinematografiche come “Gomorra” e “La paranza dei bambini”, sono assolutamente da evitare le serie televisive che ad esse fanno seguito, visibili sui canali televisivi in chiaro, che diventano solo un fatto commerciale e nulla più: un discorso a parte può farsi se queste serie vengono programmate solo sui canali a pagamento, cosa che salverebbe capre e cavoli.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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