scritto da Nino Maiorino - 04 Gennaio 2018 10:19

La guerra dei sacchetti biodegradabili

Il 3 gennaio 2018 la rete si è scatenata in una polemica contro Renzi e il Governo Gentiloni in merito all’adozione di sacchetti biodegradabili per l’acquisto di frutta e verdura sfuse che, fino al 31 dicembre 2017, il consumatore inseriva in sottili buste di plastica, non biodegradabili, fornite “gratuitamente” dai venditori, in particolare dalla grande distribuzione giacché i pochi negozietti al dettaglio rimasti in attività hanno sempre preferito utilizzare buste di carta o di plastica pesante non biodegradabile.

Tantissimi hanno iniziato la giornata ricevendo sui “social” un messaggio molto risentito che addebitava al Governo la responsabilità di aver varato nel mese di agosto 2017, quasi alla chetichella, una legge che impedisce, dall’inizio del 2018, l’utilizzo dei vecchi sacchetti e impone ai rivenditori, dalle grandi catene ai piccoli fruttivendoli, l’uso esclusivo di nuovi sacchetti biodegradabili, non riutilizzabili, con costo (peraltro irrisorio) a carico del consumatore il quale non ha la possibilità di utilizzare propri contenitori; e nel giro di qualche ora la protesta si è autoalimentata e, dal venticello di rossiniana memoria, ben presto è divenuta un colpo, anzi un nutrito numero di colpi di cannone.

La cosa è stata talmente ampliata che persino grandi testate giornalistiche hanno riportato il messaggio diramato tramite WhatsApp, talune corredandolo con articoli di approfondimento.

Tutto nasce dalla direttiva europea 2015/720 che impone agli Stati membri di adottare, dal 2018, sacchetti biodegradabili a salvaguardia dell’ambiente per arginare il fenomeno dell’inquinamento dovuto a contenitori di plastica non biodegradabili i quali, notoriamente, rimangono “vivi” per decenni provocando danni ambientali incalcolabili: si pensi, ad esempio, a contenitori di plastica (buste e quant’altro) buttati in mare o ammucchiati in discariche non appropriate; sacrosanta, quindi, la preoccupazione dell’UE e la direttiva emanata.

Ma noi italiani, probabilmente scottati anche da tante precedenti vessazioni (si pensi, ad esempio, alla problematica innescata negli anni passati per la distribuzione dell’acqua ed alle polemiche sorte intorno all’affidamento del servizio a società pubbliche che hanno esautorato gli Enti locali da ogni controllo), oramai siamo diventati molto diffidenti, e andiamo sempre a cercare il “cui prodest”, e anche in questa vicenda non siamo stati da meno per cui, indipendentemente dalla fondatezza della direttiva europea, è stato ipotizzato che il tutto, e alla chetichella, è stato fatto per avvantaggiare una società molto vicina a Renzi e al PD la quale ha il solo torto di essere una delle maggiori produttrici di contenitori biodegradabili d’Europa e certamente la prima in Italia.

La Novamont S.p.A, infatti, è una azienda chimica italiana, attiva nel settore delle bioplastiche, con un fatturato di 154,4 milioni di euro e 273 addetti, con sede a Novara e stabilimento a Terni, unico produttore italiano di materia prima bioplastica. Dal 2012 a Piana di Monte Verna, in provincia di Caserta, è presente con il Centro Ricerche Biotecnologie Industriali. Fondata nel 1989 come emanazione della ex Montedison, si è sempre occupata di sperimentare contenitori composti con materie provenienti dall’agricoltura.

La sua “mission” è lo sviluppo di bioplastiche e biochemicals attraverso l’integrazione di chimica e agricoltura, con attivazione di bio-raffinerie integrate nel territorio e fornendo soluzioni applicative a basso impatto ambientale che garantiscano lungo tutto il loro ciclo di vita un uso efficiente delle risorse con vantaggi sociali, economici ed ambientali di sistema. Stiamo parlando, tanto per intenderci, della Società che creò per la Walt Disney l’Orologio biodegradabile di Topolino!

Quindi una delle più importanti società europee del settore che, purtroppo, ha un solo difetto, vale a dire avere come amministratore delegato Catia Bastioli, una signora molto vicina a Renzi e al PD, tant’è che ha partecipato quale relatrice ad una delle kermesse renziane della Leopolda. Pertanto, pure essendo la maggiore realtà europea (è fornitrice della Basf tedesca) nel campo della ricerca e della produzione di materia biodegradabili, il peccato originale della Leopolda ha fatto, scatenare l’inferno mediatico.

E’ chiaro, a questo punto, che la rivolta del web è basata su una bufala, come è una “fake news”, riconosciuta persino da Legambiente, la questione del monopolio di Novamont: “una fantasia di chi non conosce il mercato delle bioplastiche”, sottolinea Legambiente. In Italia si possono acquistare bioplastiche da diverse aziende della chimica verde mondiale e nel mondo ci sono almeno una decina di aziende chimiche che producono polimeri compostabili con cui si producono sacchetti e altro.

Questa vicenda, quindi, ha tutto il sapore di avvio di una campagna feroce di guerra contro il PD e il governo, che, comunque, non è immune da responsabilità, basate sulle palesi incongruenze della legge che ha recepito la direttiva europea, ennesimo esempio di inefficienza politico-burocratica che si traduce in un solo assunto, vale a dire (e mi scuso se mi ripeto) che in Italia le leggi, volutamente o involontariamente, non si fanno con criterio e che dovremmo prendere lezioni da come si legifera in altri paesi che, pure avendo gli stessi obblighi imposti dalla Comunità europea, riescono meglio di noi a contemperare le varie esigenze ed evitare di inasprire ulteriormente gli animi.

Si veda, ad esempio, come ha risolto lo stesso problema la Svizzera, dove la Coop da novembre 2017 offre sacchetti per frutta e verdura riutilizzabili, le cosiddette Multi-Bag, realizzate in cellulosa certificata FSC, sistema di certificazione forestale riconosciuto a livello internazionale. “Questi sacchetti rappresentano l’alternativa ecologica per tutti i consumatori che, quando acquistano frutta e verdura, vogliono rinunciare al sacchetto di plastica monouso,” spiega l’azienda; i sacchetti soddisfano numerosi criteri in quanto sono riutilizzabili, sono realizzati con materiali sostenibili, sono lavabili in lavatrice, le etichette che i venditori affiggono si possono staccare.

Elementare Watson, direbbe Sherlock Holmes: a tal proposito sembra che tale frase non l’abbia mai pronunciata il grande investigatore inglese il quale, se fosse ancora in vita, probabilmente riuscirebbe a chiarire qualche “mistero” sui sacchetti biodegradabili e sulla eccessivamente vincolante legge italiana che li ha introdotti.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

Una risposta a “La guerra dei sacchetti biodegradabili”

  1. 04.01.2018 – By Nino Maiorino – Qualche piccolo ulteriore dettaglio: 1)anche le Farmacie sono tenute a utilizzare buste biodegradabili se imbustano i medicinali; 2)il prezzo dei sacchetti biodegradabili varia da 2 a 7 centesimi, vale a dire da 1,0 a 3,5 euro per 50 buste. Tutto sommato non mi sembra una enormità se, a fronte di tale onere, si arginerà l’inquinamento; ma il problema è proprio questo: vedremo i risultati tra qualche anno.

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