scritto da Nino Maiorino - 25 Aprile 2015 10:29

La “democratura” di Matteo Renzi

Molto ha colpito la riflessione di Eugenio Scalfari sulla Repubblica di domenica 8 marzo scorso che commentava la parola “democratura” usata qualche giorno prima da Lucio Caracciolo, a proposito del sistema di governo che il nostro Premier Matteo Renzi ha instaurato.

Il termine “democratura”  non è nuovo, essendo stato usato altre volte, ma certamente non di frequente, e, in altre occasioni, è stato sostituito da termini simili; esso nasce dalla fusione di democrazia e dittatura e sta a indicare qualcosa che non è più democrazia, ma non è nemmeno (ancora ?) dittatura.

Caracciolo evoca il termine per il governo di Putin che guida la Russia con il consenso del popolo (e da qui demos), comandando però da solo.

Giovanni Sartori, nel suo datato e celebre saggio “Democrazia cosa è”, recentemente ripubblicato, ha sostenuto, fra l’altro, che “un sistema politico non può durare senza il sostegno di una effettiva legittimazione popolare”, facendo una dotta evocazione dell’inizio della Rivoluzione francese, fatta da quello stesso popolo che poi, il 28 luglio del 1794, si liberò di Robespierre e dei suoi seguaci.

Orbene, se la legittimazione di un sistema politico e di un potere, proviene dal popolo, ancor più è legittimato il potere di un sistema nel quale è il popolo ad eleggere i suoi rappresentanti e, di conseguenza, i suoi governanti: sarà una democrazia più o meno perfetta, più o meno radicata, ma se il popolo, specialmente con il voto, elegge i suoi rappresentanti e questi eleggono il governo, non v’è maggiore legittimazione.

E se, addirittura, il maggiore responsabile del governo, nel nostro caso il Presidente del Consiglio, è scelto dal popolo, anche se indirettamente attraverso i parlamentari, com’è avvenuto da noi anche nel caso di Renzi, non si comprende quale ulteriore e maggiore legittimazione Renzi dovrebbe richiedere per poter governare.

Il discorso, ovviamente, vale anche per l’ex Premier Berlusconi, il quale ha sempre, e giustamente, sostenuto la legittimazione popolare, nel suo caso più ampia di quella dello stesso Renzi; ma in quel caso il problema non stava tanto nel riconoscimento della legittimazione popolare, ma piuttosto nell’intendimento di Berlusconi di utilizzare il potere per risolvere in primis i suoi problemi personali e aziendali. Egli intendeva quella legittimazione come una sorta di “potere divino” che tutto gli consentiva, persino le nefandezze peggiori, e anche il dispregio dei sani principi e il mancato rispetto della Carta costituzionale che venne ferita in tante circostanze e finanche con il non rispetto dell’art. 54: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…”.

Tornando a Matteo Renzi, oggi in tanti si scandalizzano non tanto della sua mancata elezione popolare, giacché il  suo successo derivò  dalle primarie del suo partito a fine 2013 e dalle elezioni europee del 2014, ma del fatto che, pure non essendo stato eletto, sia diventato Premier: ma la Costituzione non prevede che il Presidente del Consiglio venga scelto tra i parlamentari eletti, ma, invece, che, una volta designato dal Capo dello Stato e una volta formato il Governo, si presenti al Parlamento per avere la fiducia.

Pretestuosa, pertanto, è l’accusa di mancata legittimazione popolare di Renzi, accusa che gli viene mossa dalle opposizioni (e lo si comprende, tutto fa brodo) ma anche dalla sua stessa “maggioranza”, o, almeno, dalla “minoranza della sua maggioranza”.

E questo principalmente perché Renzi sta dimostrando un attivismo e un piglio che ha “spiazzato” tutti, le opposizioni e parte della stessa maggioranza ma specialmente tutti coloro abituati alla vecchia politica, al pantano delle cose sempre annunciate e mai compiute, ai numerosi muri di gomma contro i quali rimbalzavano all’infinito i tanti problemi sul tappeto per anni; e ha dimostrato anche la capacità di giocare bene le carte che ha in mano, e di mutare atteggiamento a seconda delle circostanze, mettendo in campo anche maggioranze alternative pur di realizzare il programma di modernizzazione e cambiamento che ha in testa.

L’ultima accusa che viene mossa a Renzi è di aver allontanato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dieci parlamentari del suo stesso partito i quali, più delle stesse opposizioni, lo stanno ostacolando nell’approvazione, ora nella Camera dei Deputati, del disegno di legge elettorale, già approvato dal Senato.

Non è inutile ricordare che di modificare la legge elettorale si parla da oltre un decennio, e che diventa ogni giorno più indispensabile farlo specialmente dopo la pronuncia del dicembre 2013 da parte della Consulta, della incostituzionalità della  Legge Calderoli, il famoso “porcellum” .

Oggi siamo nella situazione che, per effetto di quel pronunciamento di incostituzionalità, se oggi dovessimo votare, andremmo ad eleggere il nuovo Parlamento lo faremmo con una legge monca, cioè solo con quelle parti ancora vigenti, sopravvissute alla bocciatura della Corte Costituzionale.

Non è nemmeno inutile ricordare che, quando Renzi espose il suo programma, sul quale ottenne la fiducia del Parlamento, disse chiaramente le cose che intendeva fare, e tra queste appunto la nuova legge elettorale.

Ed è anche utile ricordare che l’attuale legge, che il 27 aprile verrà  presentata alla Camera dei Deputati per (si spera) la definitiva approvazione, per oltre un anno è stata ampiamente discussa, dibattuta, emendata, sia dai partiti della maggioranza di governo, sia da quelli della opposizione, e che tutti hanno contribuito a modificarla, tant’è che la versione già approvata dal Senato, è appunto quella che oggi Renzi chiede di votare alla Camera senza ulteriori modifiche per non allungare ulteriormente i tempi.

Né è inutile ricordare che, fino alla elezione dell’attuale Capo dello Stato, a questa legge aveva dato il suo contributo lo stesso Berlusconi in virtù di una intesa con Renzi, definita come il “famigerato patto del Nazareno” ,  il quale venne meno solo dopo che Renzi, giocando bene le sue carte, fece eleggere Sergio Mattarella senza il preventivo beneplacito di Berlusconi che, per vendicarsi, l’ha poi disconosciuta: ma oramai Berlusconi è noto per i suoi voltafaccia e i suoi tradimenti, questo è stato l’ultimo.

E la stessa “minoranza della maggioranza” ha contribuito all’attuale testo che però oggi contesta ed ha minacciato di impallinare prima in Commissione, poi in aula.

Orbene, di fronte a questo scenario, posto che Renzi intende (giustamente) non perdere altro tempo su questa legge, e considerato l’irrigidimento della sua “minoranza della maggioranza” , cosa avrebbe dovuto fare?

E visto che il regolamento della Camera glielo consente, ha “allontanato” dalla Commissione i dieci “Ribelli” (Bersani, Cuperlo, Bindi, Giorgis, Lattuca, D’Attorre, Pollastrini, Fabbri, Meloni, Agostini).

Non si vede quale sia lo scandalo: chi sta in un gruppo, una formazione, un partito, è comunque legato ad una disciplina di gruppo, deve avere senso di appartenenza; non si può stare in una squadra e giocare contro; questo sistema, seguito per decenni, è uno dei motivi per i  quali il nostro Paese si trova nelle attuali condizioni, è uno dei motivi per i quali si è realizzato lentamente poco e male.

In conclusione, Renzi dice: fin che si parla, si discute, ci si confronta, ben vengano tutti i contributi, le proposte, le idee.

Ma ciò fatto, nel momento della decisione finale non è più consentito porre ostacoli, mettere tutto in discussione, tornare punto e a capo, in un interminabile tira e molla.

E chi è stanco di quel deleterio sistema della vecchia politica non può non apprezzare la decisione di Renzi, proprio in virtù di quella legittimazione che più volte gli è venuta dal popolo sovrano.

E se questa è “democratura”, che però porta risultati, allora ben venga anche questa forma di democrazia, magari non perfetta, magari irritante, che però rimuove i blocchi e conclude qualcosa.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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