Il governo Meloni nella giornata di ieri ha ricevuto, come era ampiamente previsto, la fiducia della Camera dei deputati.
L’onestà intellettuale m’impone una premessa.
Confesso che in queste ultime settimane è cresciuta a dismisura la mia personale simpatia umana per Giorgia Meloni. E lo dico da democristiano impenitente.
Bene, inutile negare, il mio debole per una giovane (ha pochi anni più di mia figlia) e una donna così volitiva, determinata, coraggiosa. Una ragazza (mi permetto di dirlo in ragione della mia età) che viene dal nulla, da una famiglia qualsiasi, che da bambina ha conosciuto se non la povertà la ristrettezza economica, le difficoltà quotidiane in cui si dibattono la stragrande maggioranza delle famiglie italiane. Una donna che ha saputo farsi strada con caparbietà e senza paura in un mondo politico dominato dagli uomini. Un politico che ha saputo in pochi anni, forte della sua coerenza e delle sue convinzioni, diventare presidente del Consiglio dei Ministri, in assoluto la prima donna in Italia ad avere questa responsabilità. Per tutto questo, Giorgia Meloni può essere solo ammirata, al di là di qualsiasi opinione politica.
Detto ciò, ho ascoltato, ma soprattutto letto e attentamente ponderato il suo discorso alla Camera dei deputati. C’è un passaggio su tutti che mi ha colpito. E’ quello in cui afferma che a «dispetto di quello che strumentalmente si è sostenuto, non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici; per nessun regime, fascismo compreso». E ancora: «esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre».
Il premier ha poi continuato affermando che «i totalitarismi del Novecento hanno dilaniato l’intera Europa, non solo l’Italia, per più di mezzo secolo, in una successione di orrori che ha investito gran parte degli Stati europei e l’orrore e i crimini, da chiunque vengano compiuti, non meritano giustificazioni di sorta e non si compensano con altri orrori e altri crimini».
Ero quello che volevo sentire. La presa di distanza dal fascismo. Dai suoi errori, primo fra tutti la vergogna delle legge razziali. Dalla sua violenza antidemocratica, dall’uccisione di Giacomo Matteotti ai fratelli Rosselli.
Le parole sono come pietre. Quelle della Meloni sul fascismo rappresentano uno spartiacque. Segnano una strada di non ritorno per il suo partito ma soprattutto per quei suoi elettori tuttora nostalgici del mito mussoliniano.
Forse, queste parole rappresentano davvero l’inizio di una rappacificazione nazionale sui valori fondanti della Repubblica a quasi ottant’anni dalla fine del fascismo. Sarebbe ora!
Per il resto che dire. La Meloni ha rassicurato, come si suol dire, le cancellerie internazionali. Ha ribadito la vocazione atlantista e finanche europeista del suo governo.
E il complimento più significativo lo ha avuto dal leader pentastellato Conti che l’ha accusata di essere in continuità con il governo Draghi. Speriamo che in questo la Meloni non ci deluda.
In conclusione, il governo di Giorgia Meloni resta un governo di destra. Per l’esattezza di destra sociale. Conservatore, patriottico e identitario. Potrà legittimamente non piacere, ovviamente. Tuttavia, che la sinistra ci creda o meno, non ci sarà un ritorno del fascismo a distanza di un secolo dalla marcia su Roma.
Solo per questo, è già un buon inizio.
Per il resto vedremo e valuteremo giorno per giorno.