Cava, per i terremotati serve speditezza, solidarietà concreta e meno chiacchiere
Il numero delle vittime del terremoto dell’altra notte ad Amatrice e dintorni sale di ora in ora. Il bilancio nel momento in cui scriviamo queste righe è già fin troppo pesante: 247 morti. Ed è purtroppo destinato a salire.
L’elenco dei terremoti che hanno flagellato il nostro Paese nell’ultimo mezzo secolo è molto lungo oltre che spaventosamente triste. Ero appena un adolescente quando ci fu quello nel poverissimo e arretrato Belice, in Sicilia, nel 1968. Poi quello terribile del Friuli, nel 1976. Poi toccò a noi campani, il 23 novembre 1980, quello che fu il sisma tra i più devastanti di sempre e il più luttuoso con quasi 3.000 morti.
Poi tanti altri ancora, tra cui quelli in Umbria nel ’97, nel 2002 in Molise con i 27 bambini morti nel crollo della scuola elementare di San Giuliano in Puglia. Poi quello de L’Aquila del 2009 e dell’Emilia nel 2012.
Un triste rosario di morte e distruzioni, di dolore e sofferenze, ma anche di promesse mancate e di ruberie nella ricostruzione.
Questa è, per sommi capi, la storia negli ultimi decenni del terremoto nel Bel Paese, dove scontiamo ritardi e inefficienze nonostante la consapevolezza di vivere in un territorio tanto bello quanto spaventosamente a rischio sismico. Fatto sta che in Italia, il Paese europeo dove la terra trema di più, il 70% delle costruzioni non è antisismico. Non c’è, infatti, nessuna norma che obbliga a mettere in sicurezza le case già esistenti e che, in pratica, sono la stragrande maggioranza del nostro patrimonio edilizio. E questo vale anche per gli edifici pubblici. Non è un mistero che almeno la metà delle scuole italiane non sono in regola.
Ad ogni modo, per le polemiche e le discussioni sulla sicurezza e la prevenzione c’è tempo. Ora, invece, serve altro. Occorre dare soccorso e sostenere in modo concreto gli sventurati di oggi. Insomma, meno chiacchiere e più concretezza.
Tocca a ciascuno di noi. Tocca alla Protezione civile coordinare e dirigere. Tocca ai Comuni nei rispettive territori raccogliere le energie, gli sforzi e la grande solidarietà che esprime un popolo come il nostro, forse anche disordinato e disorganizzato, ma soprattutto spontaneo e generoso più di qualsiasi altro al mondo.
E ci auguriamo che anche nella nostra città, a Cava de’ Tirreni, l’Amministrazione comunale si dia una mossa, dandosi da fare con maggiore concretezza e speditezza come già hanno fatto altri enti comunali, a cominciare da quello di Battipaglia.
Non basta, come ha fatto ieri il sindaco Servalli, dare una generica e più che ovvia disponibilità degli uomini e dei mezzi della Protezione civile comunale, esprimendo una solidarietà scontata oltre che dal sapore assai autoreferenziale. Meglio sarebbe stato fin da subito mettere in moto, sul nostro territorio, la macchina dei soccorsi, coordinando il volontariato e sollecitando la sensibilità e la generosità dei cittadini metelliani. Non a caso, i primi a muoversi, in piena autonomia e molto probabilmente fuori da ogni necessario coordinamento, i giovani di Spazio Pueblo che hanno promosso una raccolta di beni di prima necessità, mentre un noto imprenditore locale di traslochi ha messo a disposizione gratuitamente i propri mezzi. E c’è da immaginare che nelle prossime ore saranno in tanti a mettere a disposizione uomini, mezzi e qualsiasi altro genere di risorse.
In tutta onestà, che sul profilo del sindaco Servalli sia stato postato poi l’invito alla “cittadinanza di astenersi, per il momento, nell’organizzare o donare generi di necessità per evitare che gesti di solidarietà risultino inutili e non produttivi”, sembra essere del tutto fuori luogo.
Aggiungere poi che “sarà cura della Protezione Civile Comunale, qualora ce ne fosse bisogno, indicare modalità e tempi per le donazioni” è il massimo. Anzi, quel “qualora ce ne fosse bisogno” è una chicca davvero superba. A Roma, tanto per capirci, sono stati subito attivati ben 16 punti di raccolta di beni di prima necessità dalle 15 municipalità che costituiscono il comune capitolino. Nella nostra città, invece, gli amministratori comunali si fanno battere sul tempo da quattro ragazzini e si vedono costretti a giocare sulla difensiva!
In conclusione, il sindaco Servalli e i suoi mai come adesso hanno il destro per smettere i panni da politici impiegatizi e salottieri, prendendo in mano, in quanto rappresentanti del popolo, la situazione e non lasciarla governare, come è ormai prassi ordinaria e sempre più consolidata, a dirigenti e funzionari comunali.
Non è questo il tempo e l’occasione né per amministratori posapiano né per il grigiore burocratico, al contrario, sono questi i frangenti in cui si vedono lo spessore umano e la sensibilità politica di chi sa agire anche con il cuore e i sentimenti e non solo con la calcolatrice elettorale.