scritto da Eugenio Ciancimino - 11 Luglio 2019 09:25

Autonomia differenziata: le geremiadi dei riformisti del 2001

L’autonomia differenziata, depurata dalle scorie delle botteghe partitiche, merita più ponderazione e meno cori delle curve Sud e Nord. Riguarda la configurazione di un nuovo assetto istituzionale che può rispondere bene o male alle istanze di ridistribuzione di competenze tra i diversi livelli di responsabilità dello Stato e dei poteri locali.

Al di là delle dotazioni di risorse che possono rivelarsi discriminanti a fronte di uguali bisogni, mette a nudo le incapacità pregresse dello Stato rispetto al divario fra diverse aree del Paese e rimette in gioco le qualità di governo dei ceti dirigenti locali.

Non è una materia nuova ed estranea al dibattito politico dell’Italia repubblicana che ha consumato 49 anni di regionalismo con risultati insufficienti o disastrosi, a seconda che i relativi bilanci si riferiscano alle aree geografiche del Nord, del Centro e del Sud. Si tratta di consuntivi in termini di sviluppo economico e sociale e non di discriminazioni di antropologia politica e/o territoriale.

Centralismo ed autonomismo sono stati temi di confronto sin dalla Costituente del 1946 fra forze di diverse ispirazioni culturali. La relativa dialettica si è materializzata nel Titolo V della Costituzione del 1948 con il quale sono state istituite 20 Regioni “in enti autonomi” con specifiche competenze legislative e funzioni amministrative; riconosciuti Statuti speciali per 5 di esse; disposti per legge contributi per la “valorizzazione del Mezzogiorno”.

Questo impianto è stato modificato con la riforma del 2001, restringendo la riserva delle competenze dello Stato; introducendo il principio di “ulteriori forme e condizioni di autonomia”; abolendo la voce “Mezzogiorno” come specifica area di intervento straordinario. Senza la narrazione di questi precedenti non si capirebbe l’origine della richiesta di autonomia rinforzata resa possibile dal disposto dell’articolo 116  della Costituzione riformata, né consentirebbe di inquadrare le geremiadi dei “nonsipuotisti” di turno che paventano una possibile penalizzazione del Mezzogiorno.

Al momento, il dato di fatto registrato censisce 9 richieste di accesso alla rimodulazione delle competenze  su 15 Regioni ordinarie. Fra le richiedenti c’è la Campania, il cui Governatore, diversamente dagli omologhi di Lazio, Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise e Basilicata, ha manifestato di volere competere sul piano dell’efficienza, a parità di risorse, e delle capacità progettuali.

Il panorama che ne viene fuori lascia perplessi sulla sincerità delle contestazioni argomentate sull’intangibilità della Costituzione, sulla difesa dell’unità nazionale e sulla riproposizione della “questione meridionale”. Non è infondato il dubbio sulla loro strumentalità, trattandosi di osservazioni che trovano risposte nei contenuti della riforma del 2001 approvati con un referendum popolare. Nel relativo articolato traggono origine le autonomie differenziate o rinforzare, che dir sui voglia, ed il Mezzogiorno perde il rango di tutela costituzionale.

Resta aperta l’ipotesi di una possibile secessione paventata anche in passato, ma in maniera più folkloristica che attuale. Sussistono diseguaglianze che rischiano di acuirsi: ma questo è un problema che investe omissioni dello Stato e delle forze politiche che ne hanno alimentato il centralismo non senza responsabilità dei ceti dirigenti locali che ne hanno condiviso ideologie piuttosto che rivendicare autonomie di pensiero e di azioni alternative alle omologazioni della partitocrazia.

Detto questo, non è poi tanto fuori luogo immaginare un cambio di campo dei riformisti del 2001, ieri accomodanti con la Lega federalista, confinata al Nord, oggi antagonisti con la Lega dispiegata come forza politica nazionale. Per un pugno di voti, si può anche cambiare rotta.

Il che non costituisce reato. Si può dire che non c’è  “voto di scambio”, ma “scambio di voto”.

Una risposta a “Autonomia differenziata: le geremiadi dei riformisti del 2001”

  1. vi ricordo che il Veneto con la legge regionale n. 16 del 2014 aveva proposto un referendum consultivo per L’INDIPENDENZA del Veneto . Zaia poi si è dovuto accontentare del referendum sull’autonomia non perchè la Giunta regionale veneta ci ha ripensato ma perchè la Corte Costituzionale ha bloccato la suddetta legge regionale . Qui vi è il link della Regione Veneto con il testo della suddetta legge https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioLegge.aspx?id=276454

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