scritto da Nino Maiorino - 30 Aprile 2017 09:12

Alitalia tra sprechi e privilegi

Se ancora ci fosse bisogno di un simbolo che rendesse bene la realtà del nostro paese, questo potrebbe essere la vicenda Alitalia della quale in questi ultimi giorni sono piene le cronache: un “subisso” che ci sta “subissando” di notizie, commenti, analisi e prospettive future.

Una vicenda iniziata più di un trentennio addietro e che ancora si trascina dopo oltre un quarto di secolo, a pro di che cosa non si capisce.

Alitalia, la “compagnia di bandiera” come qualcuno ancora si ostina a chiamarla, è un’azienda decotta, fuori mercato, molto sovradimensionata in quanto a costi, personale e management, largamente sottodimensionata in quanto a passeggeri e tratte, che da decenni è in perdita -oggi perde la “modica cifra” di 80.mila euro l’ora, 2.milioni di euro al giorno, 730.milioni di euro in un anno- nonostante i numerosi super-manager che hanno provata ad amministrarla e risanarla, tutti ovviamente lautamente pagati, pure se non hanno cavato un ragno dal buco.

Responsabili di questo sfascio sono tre entità ben definite: i politici e i partiti, i manager che ci hanno messo mano, e i dipendenti e sindacati.

I primi responsabili del disastro dell’Alitalia sono stati i politici, che l’hanno utilizzata e sfruttata per motivi elettorali e talvolta anche personali: nella Prima Repubblica, Dc e Psi l’hanno abusata con nomine lottizzate e assunzioni clientelari; poi è venuta la Seconda Repubblica, e anche Berlusconi ha avuto il suo ruolo quando, nel 2008 fece saltare la fusione con Air France-Klm; e con la Terza Repubblica non è cambiato nulla, con l’aggravante che, nel mentre si faceva un gran parlare di salvataggio della famosa compagnia di bandiera, le compagnie low cost monopolizzavano tratte nazionali e internazionali. L’unico da assolvere è Romano Prodi che già nel 2007 aveva capito l’inutilità di sostenere Alitalia, tant’è che dichiarò: “Mai più un euro per Alitalia”. Purtroppo le cose andarono diversamente e si continuò a pompare miliardi.

Poi, a sfasciare l’Alitalia ci si sono messi anche vari manager succedutisi negli anni, tutti bravi a predisporre tanti piani di risanamento e rilancio, regolarmente cestinati, e ad intascare bonus astronomici; negli ultimi decenni sono cambiati tre super-manager all’anno, cinque solo negli ultimi cinque anni; e qualcuno di essi, indagato, processato e condannato, parte dei bonus l’ha pure restituita; resta il fatto che tutti sono stati un fallimento.

Né sono stati estranei il personale e i sindacati, ed è veramente incredibile l’epilogo al quale questa vicenda sembra avviarsi, determinato dal referendum con il quale i dipendenti hanno clamorosamente sconfessato proprio i loro rappresentanti sindacali.

Il voto negativo espresso sul cosiddetto pre-accordo stipulato tra proprietà e sindacati con l’intervento del Governo (col quale si quantificavano 1300 esuberi, 900 dipendenti in cassa integrazione, una riduzione degli emolumenti dei dipendenti dell’ 8 per cento, la riduzione dei riposi annuali da 120 a 108 giornate, approvando il quale gli azionisti e le banche avevano assicurato la concessione di ulteriori 2.miliardi di capitali per tenere in piedi il “carrozzone” ed avviare un ennesimo tentativo di risanamento) ha fatto clamorosamente fallire le aspettative che, in definitiva, facevano comodo proprio ai dipendenti i quali, invece, hanno votato no.

Ed è veramente incredibile questo “no”, che ha messo la parola fine (almeno si spera) ad un’agonia che si protrae da troppo tempo: qualcuno avrebbe dovuto staccare la spina, e i dipendenti, sconfessando anche i loro rappresentanti sindacali, l’anno fatto: sperando di ottenere cosa, non è tanto chiaro; probabilmente che ci fosse un piano B nel cassetto, probabilmente che ancora qualcuno si impegnasse per un ulteriore salvataggio.

Alitalia è costata al contribuente non 7/8 miliardi, come gli organi di stampa dicono, ma molto di più, giacché questa cifra è solo il totale dei capitali che negli ultimi sono stati sperperati dai vari Governi nazionali per tenere in piedi il carrozzone; ma questo calcolo non tiene conto dei costi “indiretti” gravanti sulle finanze nazionali, derivanti dai vari, e talvolta incredibili, benefici di cui dipendenti godono se messi in cassa integrazione guadagni, fatta “ad hoc” per i privilegiati dell’Alitalia; qualcuno ha calcolato tali costi indiretti in circa 4 miliardi che, sommati agli 8 miliardi di capitali “graziosamente” donati dallo Stato, totalizzano che Alitalia finora è costata al contribuente circa 12.miliardi di euro, l’importo di una “manovrina”, che, gravando sulle tasche dei contribuenti, è costata circa 500 euro a famiglia: è come se un componente di ogni famiglia italiana avesse comprato un biglietto per un volo, non utilizzato (calcolo del Codacons)!

E, per tornare alle responsabilità, non possiamo non tener conto anche di scelte dissennate alle quali i dipendenti, tramite le organizzazioni sindacali, non sono estranei, giacché i privilegi, talvolta incredibili, dei quali essi godevano (e ancora oggi godono) sono frutto di accordi regolarmente sottoscritti.

Qualche esempio: il pilota che per raggiungere il posto di lavoro, gode dell’auto aziendale compreso l’autista e di alberghi a 5 stelle quando è “costretto” a pernottare fuori sede, e in più con diarie da capogiro; il pilota che ha diritto ad un riposo compensativo di 36 ore dopo 24 ore di lavoro: quindi lavora una giornata e si riposa una giornata e mezza; riposi annuali di 120 giorni (3 mesi su 12!); 150 cassintegrati da 10 mila euro al mese e pensionati da 8 mila.

E se andrà male, i dipendenti dell’Alitalia potranno comunque contare su ammortizzatori sociali fatti a loro misura, giacché la protezione dei dipendenti dell’Alitalia, grazie al “fondo del trasporto aereo del 2004”, che garantisce un sistema molto più favorevole rispetto a quelli delle altre aziende, consente, tra l’altro, assegni mensili pari all’80% dello stipendio per i cassintegrati: ci sono casi in cui si superano abbondantemente i 10 mila euro al mese e, in casi estremi, ci si avvicina anche ai 30 mila euro mensili.

Ora Alitalia si avvia “a pieno titolo” verso procedura di amministrazione straordinaria stabilita dalla legge Marzano, a al commissariamento. Ma anche per questo sorgono perplessità, espresse chiaramente da due esperti intervistati sabato 29 aprile da Oscar Giannino su Radio 24, il Prof. Riccardo Gallo, professore alla Sapienza, che ha svolto anche compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari e aziendali, e Massimo Mucchetti, laureato in filosofia all’Università Statale di Milano, giornalista professionista e Senatore del PD.

Il prof. Gallo prevede che anche con il commissariamento ci sarà comunque bisogno di soldi per la gestione corrente. Comunque tutto si giocherà sulla scelta del Commissario giacché un commissario che fa l’imprenditore non liquiderà Alitalia, ma tenterà di riavviarla; ma se il commissario sarà un professionista puro, porterà alla liquidazione di Alitalia e non ci penseremo più. E’ importante quindi vedere chi verrà nominato Commissario.

Non è di diverso avviso Massimo Mucchetti: Alitalia non è più in grado di stare da sola; tutti i nuovi soci, come l’attuale Etihad Airways, la compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, ma anche i cosiddetti “capitani coraggiosi” del passato, hanno messo soldi e li hanno persi. Le prove di appello non sono più ammissibili. Non si può essere a favore del rilancio giacché presupporrebbe rimettere altri capitali che andrebbero irrimediabilmente bruciati.

I prossimi avvenimenti ci diranno in quale verso si intenderà andare, anche se, a nostro avviso, Alitalia, quale impresa privata, nelle condizioni in cui versa, non ha altra strada che portare i libri in Tribunale, cosa che il Commissario non potrà non fare.

Ma giacché questo Paese è la patria di incredibili privilegi collegati ad enormi sprechi, non si può certi che il futuro ci libererà dal cancro Alitalia.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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