Oggi celebriamo la Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo e con essa la fine della seconda guerra mondiale.
E’, a mio sommesso parere, la più importante e significativa delle nostre feste civili. Se oggi siamo, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, un paese democratico e libero lo dobbiamo a quell’evento, che pose fine ad una sanguinosa guerra fratricida. Se oggi godiamo di una Costituzione fra le più avanzate e, in particolare nei principi fondamentali e nella parte prima sui diritti e doveri dei cittadini, in assoluto tra le migliori al mondo, lo dobbiamo all’epilogo di quegli anni tragici. Una vittoria della libertà e della democrazia resa possibile dal contributo di vite della lotta partigiana della Resistenza e dell’avanzata delle truppe alleate anglo-americane.
In altri termini, la Liberazione, proprio perché rappresenta il dna storico-politico e civile comune a tutti gli italiani del dopoguerra, non può che essere una festa condivisa.
Eppure, così non è. Ancora oggi, dopo settantacinque anni, divide invece di unire. E’ una tristezza vedere come questo evento che ha battezzato la nascita di una nuova Italia sia ancora oggi un’occasione di scontro, di accuse, di recriminazioni, di doppiezza e zone d’ombra.
Dopo tanti anni, non siamo ancora riusciti a metabolizzare quei lutti. Dopo tanti anni, ancora non riusciamo ad affermare un clima di riconciliazione. Dopo tanti anni non riusciamo ancora a consegnare alla storia gli odi, le violenze, i morti, le vendette di un’Italia stravolta dalla guerra, dalla fame, dalle infamie naziste, dall’ostinazione di un regime ormai sconfitto e in decomposizione qual era il fascismo del Duce.
Sarebbe ora, insomma, che la festa della Liberazione non fosse più l’ennesimo pretesto per le forze politiche di destra e di sinistra per dividersi e scontrarsi.
Sarebbe ora, per la sinistra, di non tingere più di rosso una festa, che deve appartenere a tutti gli italiani, con orazioni spesse retoriche e stucchevoli buone più per costruire fossati e innalzare steccati piuttosto che costruire ponti.
Sarebbe ora, per la destra, di uscire dall’ambiguità e chiudere una volta per tutte con le ipocrite posizioni politiche sul fascismo, che ormai appartiene alla nostra storia e non può e non deve avere cittadinanza nel presente e nel futuro della nostra nazione. Sarebbe ora per la destra di vivere la sua identità politica e sociale in una dimensione europea e moderna, affondando le sue radici nella migliore tradizione del conservatorismo liberale e illuminato.
Insomma, la democrazia, pur nel rispetto delle diverse sensibilità politiche e culturali, è un valore assoluto. Non esiste una democrazia di destra ed una di sinistra. Così come le libertà civili e politiche sancite dalla nostra Costituzione appartengono e sono godute da tutti, a prescindere dal credo politico.
In conclusione, facciamo tutti un passo indietro nel rimarcare differenze e primati. Facciamo tutti un passo avanti verso la riconciliazione e una memoria condivisa.
Diamo una buona volta, a cominciare dalla nostra classe politica, una prova di maturità. Sarebbe ora. Poi, possiamo dividerci se essere euroscettici o europeisti, se sovranisti o internazionalisti.
Intanto, da patrioti, festeggiamo mettendo il drappo tricolore ai nostri balconi, perché la Liberazione è la festa di tutti gli italiani, che credono nei valori della Costituzione repubblicana e nella qualità della convivenza civile da cui discende.