Cava, un sistema produttivo locale buono per il Regno del Bahrein o per Nocera?
Appena due giorni fa, un giovane imprenditore cavese, forse anche in vena di polemica con l’attuale Amministrazione, mi chiedeva, in modo un tantino stizzito, se fossi tra quelli che menavano vanto del fatto che la nostra città si fosse classificata prima nel concorso CITIES CHALLENGE.
In tutta onestà, gli risposi che non ero tra quelli che avevano brindato per il semplice fatto che, per mia negligenza, non avevo capito granché di cosa si trattasse. Da quello che avevo letto, soprattutto dal sito degli organizzatori, avevo inteso che consisteva in una sfida fra alcuni comuni italiani che partecipavano ad una competizione che “premia la capacità imprenditoriale di una città e del suo ecosistema”. Per essere più precisi, è sempre il sito della società organizzativa che parla, “l’obiettivo della sfida è quello di stimolare le città ad orientarsi verso l’imprenditorialità, favorendo la creazione ed attuazione di azioni capaci di creare valore per la città, ad esempio: generare nuove idee imprenditoriali, innovare le esistenti, attrarre persone e capitali dall’esterno”.
Insomma, una buona cosa, assai interessante. E all’amico imprenditore feci notare che essere arrivati prima, tutto sommato, per quel che avevo capito e potevo valutare da perfetto ignorante in materia, per la nostra città era comunque un riconoscimento e un dato di fatto.
Per commento mi beccai una sonora risata di scherno e disapprovazione. Beh, confesso che mi sentii come il povero e un po’ minchione Mimì Augello quando con infastidita riprovazione il commissario Montalbano lo apostrofa con il mitico «Vuoi babbiare?»
E giù una mitragliata di domande: “Dove sta nella nostra città la capacità di generare nuove idee imprenditoriali? O di innovare le esistenti? E soprattutto di attrarre persone e capitali dall’esterno? Ma vogliamo scherzare? E chi abbiamo battuto? Realtà come Trieste, Cinesello Balsamo, Sesto San Giovanni e addirittura Prato, Ferrara e Reggio Emilia? Davvero abbiamo tutte queste start-up? Ma il metro in tasca ce l’abbiamo o no? E ora siamo andati pure in Bahrein a farci una vacanza o a mostrare qualcosa di davvero innovativo e di valido?”.
Troppe domande alle quali, confesso, non riuscii a dare delle risposte. Sì, è vero, tutto questo fervore imprenditoriale in città non si vede, ma forse sfugge a chi, come me, sull’argomento non ha l’occhio vigile ed allenato. Certo, diciamoci la verità, dopo che per anni abbiamo visto solo chiudere, trasferire altrove o ridimensionarsi tante realtà produttive, dalla Di Mauro alla Manifattura Tabacchi, dalla D’Amico alla Grafica Metelliana, ammetto che riesce difficile credere che tutto d’un tratto la nostra città sia diventata un esempio di fulgida virtù da un punto di vista imprenditoriale.
Ad ogni modo, alla fine cercai di salvarmi in calcio d’angolo: comunque ci siamo classificati primi, obiettai, qualcosa di buono di sicuro avremo messo in campo. Poi, se è fuffa si vedrà.
La mia argomentazione, dettata più dal buon senso che dalla conoscenza dei fatti, non convinse il mio interlocutore, in materia di sicuro più ferrato, il quale mi incalzò con altre domande: “Ma mi dici qual è il nostro sistema produttivo? Anzi, ce l’abbiamo un sistema produttivo?”.
E ancora: “Ma secondo te ci sono le condizioni generali per lo sviluppo di un’area industriale che al momento è abbandonata a se stessa? Non c’è una illuminazione adeguata, non ci sono marciapiedi, le strade sono mal messe, non esiste una cartellonistica stradale, ma soprattutto non c’è allacciamento alla rete del gas. Insomma, non ci sono i presupposti di fondo per lo sviluppo dell’area industriale. E poi gli stessi imprenditori, al di là delle capacità di qualcuno davvero bravo, si perdono nel chiedere di trasferire nella zona industriale le attività commerciali. La verità è che quella del commercio è la nostra vera vocazione e manca quasi del tutto la capacità di fare impresa industriale, che significa saper creare, inventare, misurarsi con gli altri e produrre ricchezza. E vogliamo parlare dell’ASI, che è buono a prendere ma non da nulla in termini di programmazione e pianificazione? In conclusione, capisco l’entusiasmo di qualcuno, ma non ci sono semi da far attecchire in un terreno arido come il nostro. Ecco perché le aziende vanno via da Cava, scelgono dove c’è possibilità di sviluppo e non dove è forte il rischio di restare impantanati”.
Era troppo per me, intendo per le mie conoscenze. Buttai ancora una volta la palla in calcio d’angolo: dopo Pasqua, annunciai, il nostro giornale ha appuntamento con il sindaco Servalli per un’intervista, vorrà dire che glielo chiederò, come dice Catarella, “pirsunalmente di pirsuna“.
La messa in stato di accusa, però, continuò. L’imprenditore mi tirò fuori un’altra domanda: “Ma lo sai che siamo fuori anche dalla Zes?”. Oddio, e va bene che siamo nei giorni della Passione di Cristo, ma questo è un supplizio! E cos’è questa Zes?!
E’ la Zona economica speciale, mi spiegò prontamente e con evidente biasimo l’amico imprenditore, in pratica, un’area dove le attività produttive si avvalgono di agevolazioni fiscali e deroghe normative, con l’obiettivo di attrarre investimenti esteri o extra-regionali e per accelerare sviluppo e crescita imprenditoriale.
Le aree regionali interessate, spiegò ancora il mio interlocutore, sono i Porti di Napoli, Salerno e Castellammare di Stabia e le relative aree retroportuali, e comprendono tra l’altro gli aeroporti di Napoli e di Salerno; ma anche gli agglomerati industriali di Salerno, Fisciano-Mercato San Severino, Battipaglia, nonché le aree industriali e logistiche fra cui quelle di Nocera, Sarno e Castel San Giorgio.
Chi è che decide la delimitazione delle aree Zes, chiesi timidamente? La Regione Campania, fu la risposta. Allora, ribattei convinto, che deve fare la nostra Amministrazione comunale se la nostra realtà economica non è stata inserita? Insomma, di ciò, che colpa hanno Servalli e soci?
A questa domanda mi buscai una reazione accalorata come se fossi tra quelli responsabili di questa esclusione. “Ma come -osservò l’amico imprenditore- veniamo scavalcati persino da Castel San Giorgio, con tutto il rispetto per Castel San Giorgio, e se non siamo noi un’area retroportuale lo è più Sarno? E De Luca, il governatore, non è dello stesso colore politico della maggioranza che governa Cava? E possibile che non contiamo nulla, meno ancora che nel passato?”.
Che dire? Potrebbe essere, provai ad argomentare, che a Servalli la cosa sia sfuggita o semplicemente il nostro territorio non è stato ritenuto idoneo, insomma, ci sarà stata pure una motivazione tecnica. In ogni caso, fu la mia incerta e sbrigativa spiegazione, ormai così è stato deciso ed inutile arrovellarsi. Insomma, come si dice, cosa fatta capo ha.
E no! Replicò l’amico imprenditore che ormai vedevo come un inquisitore, quasi una laica reincarnazione di Torquemada: “Altro che cosa fatta capo ha! Si può ancora fare, si può chiedere di essere inseriti, bisognerebbe che Servalli e i suoi invece di propinarci aria fritta e bazzecole sfuse, si desse da fare con De Luca e in Regione, e cominciasse ad alzare la voce e a farsi valere”.
“Di questo passo -concluse sempre più inviperito- vorrà dire che anche la mia azienda con i suoi venti dipendenti dovrà trasferirsi armi e bagagli a Nocera o a Mercato San Severino. Altro che Regno del Bahrein!”.
Messaggio ricevuto. Non ci resta che trasferire tutto al sindaco Servalli appena lo intervisteremo…
A proposito, auguri di una serena Pasqua. A prescindere dalla Zes e dal Regno del Bahrein.