Le rampe della Tengana: la testimonianza dell’ex sindaco Luigi Gravagnuolo che fa luce su un altro pezzo di storia della tormentata vicenda del sottovia veicolare
Sottovia veicolare e rampe della Tengana, ne so qualcosa. Voglio perciò testimoniare in merito alla vicenda, anche perché la bufala dell’abuso perpetrato per mia responsabilità pare essere diventata ormai un luogo comune a Cava.
Tralascio, per evidenti ragioni di spazio, la vicenda pregressa al mio sindacato: da quando il sindaco Eugenio Abbro concepì la copertura del trincerone ferroviario, alle dolorose vicende giudiziarie, alla perdita del finanziamento, poi recuperato dal sindaco Alfredo Messina – il suo più grande successo amministrativo – all’inaugurazione del cantiere, avvenuta nella primavera del 2006, in piena campagna elettorale per le amministrative.
A quella cerimonia di inaugurazione del cantiere, con il commissario prefettizio dott. Antonio Reppucci, c’eravamo io e Messina, entrambi candidati a sindaco in competizione tra noi. Per quanto mi riguarda, stavo lì a testimoniare che, nonostante la palese contrarietà di parte del mio partito e del mio schieramento politico, se fossi stato eletto, avrei garantito la realizzazione dell’opera.
A giugno 2006, eletto sindaco, mi trovai subito di fronte ad un problema tecnico di difficile, ma non impossibile soluzione: la realizzazione dell’opera avrebbe comportato la chiusura di una corsia della SS 18 per una durata minima di due anni. Consumato alle vicende amministrative e consapevole di quello che ci si poteva aspettare, temetti che l’arteria stradale più trafficata e più inquinante della città, sarebbe restata chiusa ben oltre che per due anni, con le conseguenze facilmente immaginabili.
Chiesi perciò al Rup dell’opera, ing. Luca Caselli, se fosse stato possibile prevedere una variante in corso d’opera finalizzata a risolvere il problema, purché senza costi aggiuntivi per l’Ente. L’ingegnere sollecitò i progettisti, i quali il 26 luglio, con prot. n. 38790, ci inoltrarono alcune ipotesi di soluzione.
Le feci analizzare dai nostri tecnici. Completata l’analisi, convocai una Conferenza dei Servizi, alla quale parteciparono, oltre a me stesso, i dirigenti del Comune, l’impresa costruttrice e l’assessore al ramo, Napoleone Cioffi. La riunione si tenne il 10/10/2006 (il suo verbale è agli atti del Comune, oltre che nelle mie carte). Vi fu ribadito lo scenario di cui sopra. Il comandante della Polizia Municipale aggiunse che la circolazione a senso unico alternato sulla SS 18 per due anni sarebbe risultata “ingestibile per la manifesta carenza di percorsi alternativi”. I tecnici, per parte loro, illustrarono la variante elaborata, garantendo la soluzione del problema a parità di costi per l’Ente e nel rispetto della compatibilità ambientale. La piccola difformità rispetto al progetto originario avrebbe infatti conservato la quota della rampa al di sotto di via Caliri e dintorni. Prendemmo infine le decisioni consequenziali ed andammo avanti.
Quando però l’opera incominciò a prendere consistenza, con la realizzazione dei pilastri delle rampe della Tengana, gli oppositori dell’opera e del sottoscritto, forti di eccellenti rapporti personali con alcuni funzionari della Soprintendenza, i quali a loro volta ne avevano di pessimi nei miei confronti, ottennero l’intervento della stessa, che, con ord. N. 14963/08, ci intimò l’immediata sospensione dei lavori.
Come si usa in uno stato di diritto, ritenendo illegittima quell’ordinanza per abuso di potere, facemmo ricorso al TAR, che accolse il nostro ricorso e sospese l’efficacia dell’ordine della Soprintendenza (Ord. N. 625/08 del 26 giugno 2006): potevamo proseguire con i lavori. Cosa che facemmo. Realizzammo così le rampe nel pieno rispetto delle leggi e previa esplicita autorizzazione a procedere del Tar. Altro che abuso!
A questo punto l’associazione “Italia Nostra” – “Italia … vostra” mi verrebbe da chiosare, non riconoscendomi io nell’Italia del “non fare e non far fare”, delle ripicche e dell’uso strumentale delle istituzioni per fini di parte – già costituitasi davanti al TAR in affiancamento alla Sovrintendenza nel giudizio sopra citato, fece ricorso al Consiglio di Stato. A me ne fu data notizia solo l’otto di agosto, quando l’Avvocatura Comunale mi informò che il CdS aveva fissato l’udienza per il 18 dello stesso mese! Dovevamo costituirci, ma era la settimana di ferragosto e l’avvocato che ci aveva difeso davanti al TAR era in ferie all’estero. Né era facile trovare nei giorni ferragostani un importante amministrativista disposto a tutelarci in sede di Consiglio di Stato. E poi, codesto eventuale professionista come avrebbe potuto approfondire tutti gli atti in una settimana? Mi ricordai allora dell’anziano prof. Angelo Clarizia, cavese e quindi per lo meno conoscitore dei luoghi e della problematica generale. Egli risiedeva a Roma, dove aveva anche lo studio legale. Lo chiamai, mi rassicurò che per ferragosto non si sarebbe allontanato dalla capitale ed accettò l’incarico. Noi, con tutta urgenza, gli inoltrammo l’incartamento. I nostri funzionari, però, nel consegliarglielo, non gli chiarirono che l’opera contestata era ormai conclusa, per cui, quando il CdS sentenziò (Ord. 4705/08) che, emergendo “comunque un quantum di difformità tra l’opera a suo tempo progettata e quella concretamente in corso di realizzazione, in considerazione dell’estremo rilievo degli interessi coinvolti” sarebbe stato opportuno sospendere i lavori per far sì che il giudice di primo grado potesse esprimersi nel merito “re adhuc integra”, restammo basiti. Le rampe non erano in corso di realizzazione e la res già non era più integra! La palla comunque ritornava al TAR, che avrebbe dovuto pronunziarsi nel merito. Nelle more noi non avremmo potuto utilizzare le rampe edificate, a meno di un previo accordo con la Sovrintendenza che rendesse superflua ogni ulteriore pronuncia giurisprudenziale.
Iniziò così un lungo, defatigante confronto, in cui a momenti ci parve essere vicini ad un’intesa con la Sovrintendenza, salvo essere smentiti il giorno dopo dalla stessa, tribolata da repentini cambiamenti di umore e di opinione. Cito, a mo’ di esempio, l’atto della Sovrintendenza del 29/11/08, acquisito al prot. del Comune col n. 68435 di pari data, in cui in riferimento alle “opere abusivamente eseguite” si attestava che esse “rientrano nei limiti fissati dal D.Lgs 42/04, art. 167, c. 4 e risultano compatibili con le esigenze di tutela dell’area vincolata”, atteso che “l’aver arretrato le rampe ha comportato alla realizzanda opera di decongestionamento della SS18 un concreto miglioramento della copertura della linea ferroviaria, che non sarà più solcata dal vuoto delle due rampe” e visto che non c’era stato “nessun aumento delle superfici e dei volumi autorizzati”. Con quel provvedimento la Sovrintendenza, nel rilasciare parere di compatibilità paesaggistica, si impegnava altresì a concordare con il Comune le opere di mitigazione del tratto delle rampe, “finalizzate ad un miglior inserimento paesaggistico del manufatto”.
Sembrava fatta, ma, manco a dirlo, poco dopo la stessa Sovrintendenza smentì se stessa e ricominciò a produrre ordinanze di inibizione ai lavori mentre “Italia … Vostra” inoltrava nuovi ricorsi alla giustizia amministrativa, denunziando l’opera come “abusiva” tout court. Cosa del tutto irragionevole, com’è evidente. Ci furono ulteriori scaramucce giudiziarie che attraversarono tutto il 2009, sulle quali devo qui necessariamente sorvolare.
Il 31 dicembre di quell’anno mi dimisi da sindaco. Il 28 marzo 2010 si votò ed io, sconfitto, passai il testimone al subentrante, Marco Galdi. Trascorsero quattro anni prima che il mio successore si persuadesse che l’unico modo di arrivare ad una conclusione del contenzioso sarebbe stato un nuovo ricorso alla giustizia amministrativa. Il Comune di Cava quindi, e certamente non per mia responsabilità, adì nuovamente la giustizia amministrativa solo il 31 maggio del 2014. Sorvolo sulle successive sentenze del TAR e sui reiterati ricorsi al Cds dell’abbinata “Italia … Vostra–Sovrintendenza” ed arrivo all’ultima, definitiva sentenza del CdS, la n. 806/2015, quella che secondo i bugiardi avrebbe definito il manufatto abusivo, ma non suscettibile di abbattimento in nome di un superiore interesse pubblico.
In realtà, nella sentenza non si trova la parola “abuso” neanche a cercarla col lanternino. Viceversa si parla di opera realizzata per “una piccola porzione” in difformità rispetto al progetto originariamente assentito dalla Soprintendenza, che è la pura verità. E si aggiunge: “… il parere della Soprintendenza risulta viziato per difetto di motivazione e contraddittorietà”; “… la Soprintendenza … ha espresso parere negativo, così ponendosi, senza alcuna specifica motivazione sul punto, in contraddizione con il precedente provvedimento del 2008 …”; “In tale contesto fa emergere allora elementi di irragionevolezza la circostanza che il parere impugnato, escludendo radicalmente la compatibilità paesaggistica di una piccola porzione dell’intervento complessivo, senza indicare alcuna alternativa, impedisca al Comune la realizzazione di un progetto di così importante rilievo pubblicistico”.
Nel respingere quindi i ricorsi congiunti della Soprintendenza e di “Italia Nostra onlus”, il Consiglio di Stato le condannava entrambe in solido al pagamento delle spese processuali, che liquidava in complessivi € 2.500,00, oltre agli accessori di legge, a favore del Comune di Cava de’ Tirreni.
Questi i fatti. Ora, quietamente, vorrei consigliare a quanti vanno cercando il reo da additare ai Cavesi come responsabile di un ritardo di dieci anni per l’apertura della rampa e di un presunto danno erariale, di rivolgersi altrove. Ed anche, per cortesia, di evitare di mettere in giro notizie false volte a danneggiare la mia reputazione.
prof. Luigi Gravagnuolo
già Sindaco di Cava de’ Tirreni