Oggi tutti vogliono farsi sentire, incuranti spesso di ciò che dicono e confortati probabilmente dal fatto che alle sciocchezze non c’è mai un limite
Si sa che in tempo di crisi I’uomo aguzza per così dire I’ingegno tentando sempre nuovi approdi per potersi costruire un percorso di vita.
E questo è uno di quei momenti in cui il lavoro diventa merce rara, ovvero spesso un’aspirazione illusoria o fallimentare per cui è giocoforza inventarsi nuove prospettive. La crisi sempre più profonda che vive il mondo dell’informazione ha prodotto poi una nuova figura professsionale che impazza in rete, quella del blogger, una figura difficile da definire, diremmo a metà strada tra il giornalista, lo scrittore, il diarista, il”gossipparo”, e quant’altro.
La difficoltà di definizione del ruolo nasce proprio dalle origini; infatti non sapremmo come tradurre la parola che tanto affascina chi si occupa di scrittura. II termine stesso è un misto che si richiama al web e al log, che sarebbe poi una specie di diario di bordo applicato alla rete telematica. Ma naturalmente anche così appare ridutttivo. Quello che invece è tutt’altro che riduttivo è il numero sempre crescente degli amanti del genere ovvero di coloro che si cimentano con questo nuovo filone.
Nella fattispecie il caso più eclatante rimane quello della ‘giovincella’ Chiara Ferragni, che diventa lo spunto per una riflessione più ampia, che esula dal caso specifico e mette in luce gli aspetti positivi ma anche quelli negativi della comunicazione mediatica odierna, illustrando la retorica del mito contemporaneo. Indubbiamente blogger e influencer rappresentano un fenomeno che produce attrazione e repulsione.
Ai milioni di fan si contrappongono altrettanti haters. Critici militanti con lo sguardo sdegnato che non vogliono scendere a patti con il demonio per paura di bruciarsi.
Tuttavia, se tali fenomeni dicono molto dei follower millennials che li seguono e idolatrano, la stessa fenomenologia potrebbe essere applicata a chi con tanta foga ribadisce quotidianamente il suo odio e disprezzo nei confronti di questi protagonisti dei social, magari commentando con insulti irripetibili i loro post. Inoltre, neanche i commenti moraleggianti sulla decadenza dei costumi sono una novità.
Sui social si compatta il gruppo degli odiatori: dimmi chi odi e ti dirò chi sei. Siamo definiti (e per questo apprezzati) da ciò che denigriamo, forse più che da ciò che apprezziamo.
Si ripropone la dicotomia analizzata sempre da Umberto Eco nel proverbiale testo che ha segnato il nostro approccio alla cultura di massa: “Apocalittici e integrati”. Eco stigmatizza l’atteggiamento del critico apocalittico che individua nella cultura di massa una mera ‘anticultura’, cioè “il segno di una caduta irrecuperabile di fronte alla quale l’uomo di cultura non può che dare una estrema testimonianza in termini di Apocalisse”.
L’indignato professionista ha il demerito, secondo Eco, di non tentare mai uno studio concreto dei prodotti e dei modi in cui vengono consumati. Forse per non tradire la sua ambivalenza emotiva oscillante tra amore e odio per l’oggetto del suo studio, l’apocalittico non vuole far nascere “il sospetto che la prima e più illustre vittima del prodotto di massa sia proprio il critico virtuoso”. Comunque un censimento dei “praticanti” del genere è impossibile, in quanto ne nascono a migliaia ogni giorno e nel mondo sono diversi milioni.
È tutta gente che ritiene di avere qualcosa da dire, vuole farlo sapere agli altri, e che aspira anzi a comunicare a getto continuo. Insensibili a quello che uno studio anglosassone già tempo fa mostrò in merito alla “decadenza” della comunicazione, nel senso che ciascuno non è in grado di metabolizzare che un certo numero di parole (circa 9.000), cifra al di là della quale tutto va in fumo. Ma probabilmente proprio perché si fa tanto fumo e poco o nessun arrosto che oggi tutti vogliono farsi sentire, incuranti spesso di ciò che dicono e confortati probabilmente dal fatto che alle sciocchezze non c’è mai un limite.