scritto da Angela Senatore - 21 Giugno 2025 17:08

Intervista a Tom Hofland, autore di “Il cannibale” vincitore del Premio Salerno Libro d’Europa

“Il cannibale” è un romanzo – denuncia del mondo del lavoro contemporaneo retto su un’etica distorta fatta di leggi spietate e crudeli. L’accettazione passiva di tale meccanismo ha la disumanizzazione dei rapporti come la logica conseguenza

“Allora trentadue esuberi, giusto?”
“Esuberi?”
“Anime. Lavoratori. Addetti”
“Ah, sì, esatto” risponde Lute “trentadue persone che non ho il motivo valido per mandare
via, se non fosse una triste necessità.”

“Il cannibale” è un romanzo – denuncia del mondo del lavoro contemporaneo retto su un’etica distorta fatta di leggi spietate e crudeli. L’accettazione passiva di tale meccanismo ha la disumanizzazione dei rapporti come la logica conseguenza.

La trama ha per protagonista Lute, il responsabile del settore vendite dell’Aletta, una società prospera, in utile, dove tutto sembra scorrere placidamente, almeno fino al giorno in cui Klara, il capo, decide di vendere per una cifra da capogiro. Per la cessione, tuttavia, l’acquirente ha posto una condizione: licenziare tutti i dipendenti del settore vendite o, ancora meglio, convincerli a dimettersi. L’ingrato compito spetta proprio a Lute, il quale, alla notizia “comincia ad avvertire un prurito alla fronte. Gli si secca la gola. Apre lentamente la finestra.” Da quel momento, la vita di Lute diventa improvvisamente pesante finché decide di delegare la propria responsabilità a una coppia di soggetti strani che sembra incontrare casualmente, Lombard e Reiner, che si riveleranno due spietati tagliatori di teste. Il racconto vira rapidamente nei toni del surreale, per non dire horror, all’Aletta iniziano a succedere cose mostruose ed indicibili, crimini efferati, sotto gli occhi di Lute e di tutti i dipendenti che, tuttavia, continuano le loro esistenze, senza sfuggire al destino di sopraffazione e morte che sembra attenderli.

Tom Hofland, autore de Il cannibale, già vincitore del BNG Bank Literature Prize 2022 e tra i vincitori del Premio Salerno Libro d’Europa, ha dichiarato di essersi ispirato, per la sua narrazione, ad una storia vera, quella della France Telecom ed, in effetti, incontrandolo, sento emergere l’urgenza di parlare di certi temi, di una riflessione sulla società e sul mondo del lavoro.

Se nel romanzo gotico ottocentesco, il mostruoso scaturiva dalla paura nei confronti del progresso che, rendendo l’uomo creatore, può diventare un’arma terribile che si ritorce contro l’uomo stesso dando vita a personaggi come la creatura di Frankestein o Mr Hyde, nel tuo romanzo sembra che tu voglia dire che ai giorni nostri il mostruoso o disumano dipende dalla costante ricerca del profitto e in definitiva siamo noi stessi i mostri. È questo il senso della narrazione? Definiresti Il cannibale un romanzo gotico contemporaneo?

Sì, hai colto nel segno, è esattamente quello che penso. In realtà, quando ho iniziato a scrivere, non ho pensato che stessi scrivendo un romanzo gotico, volevo solo scrivere una storia che fosse un “office-drama”, un racconto ambientato in un ufficio, che virasse ad un certo punto verso l’horror. D’altra parte, io sono sicuramente un lettore del romanzo gotico, ho amato i romanzi che hai citato tu ma anche Dracula, ad esempio, e così ho voluto inserire delle influenze culturali di quel genere nel mio romanzo. Ciò che volevo però era mescolare vari generi, non volevo essere identificato con un genere specifico perché lo percepivo come una limitazione.

Il protagonista di questo romanzo, Lute, è il responsabile del settore vendite di questa azienda che deve essere incorporata e a lui spetta il compito di licenziare o, meglio, spingere alle dimissioni i suoi colleghi sottoposti. Lute è schiacciato da questa responsabilità e decide di delegare ad un “tagliatore di teste” di professione, Lombard, un
po’ come un moderno Ponzio Pilato. Sembra che tu voglia sottolineare quanta responsabilità ci sia anche nel “non fare” e forse questa ignavia risulta ancora più ingiustificabile.

Io penso che questo tema della responsabilità personale sia molto interessante. Attualmente il mondo è pieno di tragedie. Tragedie di cui noi veniamo a sapere perché ci sono i media che ce le mostrano ma rispetto alle quali non facciamo nulla. Dunque, penso che questa sia una domanda veramente importante sulla quale tutti dovremmo riflettere. Più specificamente, riguardo Lute, lui ha il problema di essere una persona che vuole essere buona, carina, con tutti, vuole essere amato da tutti, dai suoi colleghi come dai suoi superiori. È completamente incapace e spaventato dal prendere decisioni perché la sua filosofia di vita è quella di non voler ferire mai nessuno.
Questa caratteristica è in realtà molto autobiografica: quando ero più giovane io cercavo in tutti i modi di compiacere chiunque, crescendo mi sono accorto che si tratta di un atteggiamento sbagliato e che è necessario avere il coraggio di prendere decisioni e affrontare gli altri.

Al tempo stesso, mentre succedono i più efferati misfatti, sembra che tutti i dipendenti restino completamente indifferenti, accettando la loro sorte quale che sia. I dipendenti non sono in grado di comprendere davvero quello che sta accadendo, credono di avere dei diritti ma non sono sufficientemente uniti e informati. “Il guaio è che ci facciamo prendere in giro” dice. “Mentre loro” indice con un cenno in direzione della porta, “Hanno un problema. Non possono semplicemente licenziarci, anche se volessero. Abbiamo contratti solidi, siamo tutelati. Aspetta che facciano una proposta, e poi ci pensi con calma”. C’è una colpa anche da parte della classe dipendente nella incapacità di analisi e di protesta?

Questa domanda mi piace molto e avrei molte cose da dire. Io penso che le responsabilità maggiori le abbia la classe dirigente nel senso che più si va in alto più si ha potere contrattuale a forza di intervenire ma purtroppo questa condizione è inversamente proporzionale al contatto coi problemi reali della classe lavoratrice. Un esempio molto significativo che posso fare è quello che vivo nei Paesi Bassi e riguarda la nostra società ferroviaria che era pubblica ed è stata privatizzata. I mezzi pubblici in Olanda sono molto utilizzati e proprio per questo i treni sono molto
affollati. La società ha deciso di aumentare i prezzi dei biglietti nell’ora di punta per dissuadere dall’uso del treno in quella fascia oraria, ciononostante le persone non hanno cambiato abitudini perché accettano di pagare di più il biglietto pur di non provare a cambiare orario di lavoro. Al tempo stesso, proprio nel settore ferroviario, i sindacati fanno quotidianamente proteste per i salari troppo bassi nella categoria. Fanno un ottimo e importante lavoro e devo purtroppo ammettere che non vedo lo stesso in settore importanti come la scuola o la sanità.
Dunque, c’è sicuramente una responsabilità a livello della classe dipendente ma questa responsabilità a livello del singolo risiede più che altro nella necessità di unirsi in associazioni, in sindacati, di fare squadra per denunciare e protestare perché a livello individuale non c’è possibilità di ottenere nulla, si è troppo deboli. È necessario far valere i propri diritti come classe, non come singoli. Al contrario, io noto una scomparsa della forza associativa dei sindacati e questo è grave. Ci sono tanti settori nei quali le persone sono sottopagate ma al tempo stesso hanno grandi responsabilità, responsabilità che sentono su se stessi, come ad esempio verso i malati, verso i bambini, e quindi non vogliono protestare perché si preoccupano delle conseguenze nei confronti di coloro che assistono.
In definitiva, penso che le proteste vadano fatte a livelli più alti, non dai singoli.

C’è una frase che torna spesso nel romanzo “non è niente di personale, è solo una questione professionale” , frase chiarita da Lombard che dice: “c’è un mondo personale nel quale siamo carini e gentili e c’è un mondo professionale nel quale prendiamo le decisioni giuste”. C’è questo tema etico del giusto che, nella filosofia di Lombard, si distorce. Dunque: cosa significa giusto?

Per Lombard, giusto e sbagliato sono valori considerati in una prospettiva capitalistica. Per lui “giusto” è prendere decisioni dure, anche crudeli. Nei Paesi Bassi, quasi tutti prendono decisioni in questa maniera: essere rigidi al lavoro è il modo giusto di comportarsi, c’è un culto, una religione del lavoro, del business. Non lavoriamo per vivere ma viviamo per lavorare. Abbiamo vissuto in questa società capitalista così a lungo che non ci sembra ci sia una alternativa. Anche per me è difficile immaginare una alternativa. Tutti vogliono fare carriera, tutti vogliono ottenere posizioni apicali, guadagnare il più possibile, così è difficile che ci sia una persona che non sia interessata a tutto questo. L’intero sistema è settato in questo modo. È un sistema nel quale non ci vediamo gli uni gli altri come persone ma gli impiegati si vedono come concorrenti, potenziali minacce, nemici, i managers vedono gli impiegati come numeri. Ovviamente ci sono anche situazioni diverse ma abbiamo talmente tanto introiettato questo culto del lavoro che ci sembra giusto che vengano prese decisioni crudeli e accettiamo questa differenza tra mondo personale e mondo professionale che in realtà è pura finzione. Ecco io penso che per cambiare le cose dovremmo innanzitutto
ammettere che non esiste una vita personale e una vita professionale: sono la stessa cosa.

Mi ha particolarmente impressionato, dandomi un senso di soffocamento, la casa di Lute in cui ci sono queste finestre che non si possono aprire che danno un senso di prigionia. Lui però ha scelto di vivere in questa prigione. Ma lui è davvero libero di scegliere come vuole vivere?

Effettivamente, noi non abbiamo tutta la libertà che immaginiamo perché abbiamo un bagaglio culturale talmente grande che ci condiziona rendendo le nostre decisioni non veramente libere. Così, ad esempio, Lute, sin dall’inizio del romanzo, desidererebbe andare a fare una passeggiata nel bosco, stare più a contatto con la natura, vivere una vita diversa, ma poi di fatto non lo fa perché è troppo forte in lui il desiderio di essere un uomo d’affari e ciò implica che deve essere efficiente sempre, senza perdite di tempo. Efficienza qui è un termine fondamentale. La casa di Lute è il paradigma di questa efficienza. Non è un posto bello nel quale stare ma è efficiente. Anche questo è autobiografico: cercavo casa a Rotterdam dove è abbastanza difficile trovare un alloggio e trovai questa casa nuova, non troppo costosa, con soffitti alti sei metri che mi sembrava bellissima, lussuosa. Ma in questa casa non si potevano aprire le finestre. Quando chiamai il proprietario, lui mi disse proprio quello che scrivo nel libro, ossia che c’era un sistema di areazione per cui non era possibile aprire le finestre. Questa situazione mi è apparsa subito
alquanto kafkiana, nella realtà non c’era alcun sistema di areazione. Poi scoprii che non c’era neanche internet e anche in quel caso il proprietario mi rispose che dovevo controllare e, non credendomi. disse che avrebbe mandato una persona a controllare. Dopo quindici giorni, ho lasciato quella casa. A cosa serve una casa efficiente se poi non ci puoi vivere?

Il libro inizia e finisce con una storia completamente diversa rispetto a quella principale del romanzo. Il primo capitolo racconta di un tentato omicidio da parte di una ragazza nei confronti di un uomo che, tuttavia, pur ferito e colpito a morte, sopravvive come se fosse immortale. Alla fine, c’è Lombard in un altro paese a fare esattamente le stesse orribili cose di cui si è reso responsabile nel corso del romanzo. Cosa racconta questa storia nella storia?

L’uomo nel primo capitolo che sopravvive al tentativo di suicidio è Lombard. Lombard per me è un simbolo, il simbolo di un sistema che non è possibile uccidere perché ogni volta che ci provi, in qualche modo, risorge. Cambia modalità, cambia forma, ma la sostanza è sempre la stessa. È un simbolo del sistema o dei sistemi che noi uomini creiamo per opprimerci reciprocamente. È il lato più oscuro del capitalismo. La donna che tenta di ucciderlo invece è Mea. Una delle dipendenti che aveva licenziato all’Aletta. Mea per me è un personaggio importante, l’unica che prova a cambiare le cose. Il suo è un tentativo disperato, lei è umana non efficiente ma, pur se non riesce, almeno prova, almeno non perde la speranza.

Giornalista pubblicista, collabora con Ulisse online dal 2021 occupandosi principalmente della pagina culturale e di critica letteraria. È stata curatrice della rassegna letteraria Caffè letterari metelliani organizzata da Ulisse online e IIS Della Corte Vanvitelli e ha collaborato con Telespazio in occasione del Premio Com&te. È da maggio 2023 responsabile della Comunicazione di Fabi Salerno. Abilitata all’esercizio della professione forense, lavora in una delle principali banche italiane con specializzazione nel settore del credito fondiario.

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