Il messaggio di Papa Francesco
Papa Francesco ha voluto mandare un messaggio di fede e di speranza ai cristiani, non solo italiani ma di tutto il mondo, andando a visitare, con un solitario pellegrinaggio penitenziale, la Basilica di Santa Maria Maggiore, dalla quale poi, percorrendo a piedi Via del Corso, ha raggiunto la Chiesa di San Marcello al Corso che ricorda al popolo romano le epidemie subite nei secoli.
La Chiesa di San Marcello al Corso, infatti, ospita un antico crocifisso di legno, che per i cristiani è miracoloso, un oggetto sacro che ha un grande valore anche simbolico, che diede conforto al popolo della città durante la epidemia del 1522, sotto il pontificato di Papa Adriano VI, quando fu portato in processione perché lo liberasse dalla peste; già nel 593 Papa Gregorio I, conosciuto come Gregorio Magno, l’aveva portato in processione per far cessare un’altra epidemia di peste, e nel 1837 un altro Pontefice, Papa Gregorio XVI si inginocchiò ai suoi piedi in preghiera implorando la grazia di far cessare una epidemia di colera. E anche Papa Francesco ha voluto seguire l’esempio dei suoi predecessori andando ai piedi di quel Crocifisso per implorare la grazia di liberare il mondo dal mortale virus.
Il nostro Pontefice è sempre rimasto fedele al ruolo che ha voluto attribuirsi quando, dopo la sua elezione al soglio di Pietro, volle chiamarsi Francesco: scelse il nome di un umile fraticello che si volle fare povero per liberarsi dai vincoli che ricchezze, potere e gloria pongono, rinunciò anche ai caldi e pregiati abiti che il ricco padre gli dava, per vestirsi con un sacco, e diventare così il Pastore che va a piedi ad accudire il suo gregge, a parlare con le sue pecorelle, a confortarle nei momenti del bisogno e della sofferenza, un pastore che si fa sentire ad esse vicino e sempre pronto ad aiutarle.
Queste manifestazioni di umiltà Papa Francesco le ha sempre dimostrate fin dalla sua elezione, già durante il saluto che rivolse alla folla riunita in Piazza San Pietro, salutandola inizialmente con un “buona sera” e dalla quale si accomiatò con “non dimenticate di pregare per me”; quest’ultima frase la ripete alla fine di ogni sua apparizione in pubblico, e sembra che faccia parte del suo modo di vivere e di chiedere così al suo “gregge” di intercedere per lui col Padreterno, fin da quando era solo un semplice sacerdote.
E lo ha confermato, prima della invasione del Coronavirus, quotidianamente scendendo dalla “papa-mobile” per stringere le mani ai fedeli che lo applaudono, che lo sentono vicino ma vogliono toccarlo, accarezzarlo, facendo impazzire di gioia i fedeli, meno la scorta, che ha voluto distante da lui, e che è sempre più preoccupata per la sua incolumità; se fosse stata più vicina, probabilmente l’episodio della strattonata della pellegrina asiatica, che rischiò di farlo cadere, e dalla quale Papa Francesco si svincolò con un gesto di stizza, non si sarebbe verificato.
Ma Papa Francesco è questo, si distingue per questo suo genuino modo di stare vicino alla gente; non è il solo, nel recente passato anche altri Pontefici hanno camminato tra la gente, hanno stretto mani, hanno preso in braccia bambini festanti (ho il ricordo incancellabile di mia figlia di pochi anni presa in braccio da Giovanni Paolo II), da Papa Giovanni XXIII in avanti, e questo modo di fare ha segnato il distacco dai precedenti Pontefici i quali non lasciavano mai la sedia gestatoria quando attraversavano tra la folla dei pellegrini, la quale aveva, in verità, anche la funzione di far vedere bene il Pontefice benedicente, ma lo distaccava e lo poneva su un piano più alto rispetto alla folla, anche in senso metaforico.
Altri tempi, altre abitudini, altri personaggi che comunque hanno dato lustro alla Chiesa di Dio, salvo che nei numerosi periodi bui che ha attraversato, quando i pontefici erano principalmente dei Monarchi, presi dalle incombenze di guidare un paese piuttosto che le anime.
Il solitario pellegrinaggio a piedi di Papa Francesco e il collegamento che ho fatto, tramite il suo nome, con il Fraticello di Assisi, che per il mondo intero rappresenta un faro, mi riporta alla mente una sequenza di un celebre film di Franco Zeffirelli del 1978, “Fratello Sole Sorella Luna”, precisamente quella dei frati ricevuti da Papa Innocenzo III, interpretato da Alec Guinness, seduto sul trono e abbigliato con ori e pietre preziose, con la dorata tiara in testa, circondato da uno stuolo di prelati, nobili, armigeri, incrostati di potere e di ricchezza, il quale guardava dall’alto in basso, infastidito e con diffidenza quegli sporchi, seminudi fraticelli che si prostravano timorosi e smarriti ai suoi piedi per ottenere l‘autorizzazione a seguire la regola della povertà, quei poveri pazzi che si illudevano di introdurre in quel mondo potente e dorato i concetti della povertà, della umiltà, del servizio agli altri, giustificandoli con le parole semplici di Vangelo.
Ma quella pazzia sconvolse il Pontefice, scalfì la corazza che tanti anni di regno gli avevano costruito addosso: “a volte si dimentica l’originale incoscienza”, dirà poi il Papa dopo aver accettato la regola e prima di chinarsi ai piedi di Francesco per baciarli.
Ecco i sentimenti di umiltà che Papa Francesco predica e pratica costantemente, apparendo talvolta esagerato, ma con i quali, più che con le armi, il Cristianesimo ha conquistato il mondo e le coscienze degli uomini.
I contatti umani e sociali
La battaglia contro il Coronavirus ha solo tutti aspetti negativi, tranne uno positivo in quanto, come in tutte le guerre (e questa lo è al pari di quelle combattute con bombe e carri armati) ci si ingegna a sperimentare nuove tecniche che possano aiutare i soldati a sconfiggere i nemici, anche in questa che stiamo combattendo c’è un grande impegno anche di scienziati, ricercatori e tecnici specialmente nel campo medico; da ogni guerra sono scaturiti progressi tecnici notevoli che si sono poi tramutati in progressi sociali; la rete Internet ne è l’esempio più lampante in quanto essa nacque per risolvere esigenze militari e successivamente è stata posta a disposizione del mondo intero risolvendo problemi prima irrisolvibili, tra i quali l’immediatezza della comunicazione.
Con questo virus che impazza e che ha costretto tutti i rifugiarsi in casa, e con le scuole sono chiuse, anche i bambini sono segregati; ma quelle che sono riuscite a organizzarsi, avvalendosi della moderna tecnologia, continuano a fare lezione, insegnare, discorrere con gli alunni, correggere compiti, in maniera da alleviare, da un lato, la solitudine e la mancanza forzata di socialità degli alunni, dall’altro non far loro perdere l’abitudine allo studio e all’impegno quotidiano.
Come per il lavoro da casa, anche per le scuole è possibile avvalersi dei moderni sistemi che la tecnologia mette a disposizione , compresi i bambini della scuole elementari, che proprio grazie a questi sistemi, in particolare WhatsApp, possono, come in una videoconferenza ridotta, essere in contatto con insegnanti e amichetti di scuola: esistono anche altri sistemi, ma WhatsApp è il più diffuso perché è semplice scaricare sullo Smartphone l’applicazione e utilizzarla senza difficoltà e senza il bisogno del p.c..
E in questo periodo di forzata segregazione è particolarmente utile per tutto, compreso lo scambio di auguri che, in occasione della ricorrenza del 19 marzo, festa di San Giuseppe ma anche dei papà, negli altri anni abbiamo festeggiato incontrandoci fisicamente, con abbracci, baci, strette di mano e effusioni varie, ora impedite.
Quest’anno, non potendolo fare, tutti sono ricorsi alle videochiamate e anche io grazie a questa diavoleria tecnologica ho potuto virtualmente abbracciare i miei familiari distanti, guardare i loro visi, le loro espressioni, i loro sorrisi, ascoltarli come in una diretta tv reciproca, compreso il mio nipotino in un momento libero dal suo impegno scolastico pur’esso virtuale.
Potenza della modernità … e a chi viene a dire che con questi sistemi è entrato il diavolo nelle nostra vita e nelle nostro case, basta una sola risposta: che il virus, ma senza la corona, lo colga.