scritto da Filippo Falvella - 01 Agosto 2023 08:00

Sulla dicotomia della fobia: la paura come arbitrio dell’incertezza

Fredda, seppur calda. Calma, eppure agitata. Razionale, ma completamente fuori controllo. La paura è una strada univoca che si finge bivio, poiché di fronte ad essa nessun percorso sembra reggere.Essa definisce il limite dell’agire attraverso una ben precisa indagine di quelli che sono i rischi delle nostre azioni, come una statista non richiesta, seppur necessaria.Antica quanto l’uomo stesso, gemella dell’istinto e sorella maggiore dell’audacia, pone sulla base della sua esistenza un arbitrario senso di condivisione di quella che è la nostra esistenza, attraverso una natura ben più complessa di quel comune senso che le è stato affibbiato.

 

La paura

È lapalissiano affermare che lo spettro delle umane emozioni si fonda su una fortissima corrente soggettiva, salvo qualche comune compromesso sensoriale sulla quale per sommi capi siamo tutti in accordo. Dare dunque una definizione alla paura, o a ciò che essa rappresenta, spetta quanto al lettore quanto allo scrittore. In termini di praticità conoscitiva, sapere quali sono gli effetti di una cosa su un dato soggetto equivale, se non addirittura supera, il sapere della cosa in sé. Per questo motivo quanto ci interessa descrivere in questa istanza è di quelle che sono le conseguenze del provar paura, piuttosto che di una definizione della paura stessa.Le conseguenze del provar paura sono su per giù tre, se vorrete concedermelo, e corrispondenti a: paresi, fuga e slancio.

La paresi è la più frequente e comprensibile delle tre, quella sensazione di impotenza e immobilità che pervade il nostro spirito quando intimorito da un qualcosa, privandolo momentaneamente della sua facoltà di prendere delle scelte, che per comodità tratteremo sempre come se fossero, quando si prova paura, due.

Di fronte a tale paresi l’uomo accetta le conseguenze del non prendere alcuna scelta, e si lascia assorbire da quelle che potrebbero essere le principali condizioni che l’hanno portato a provar paura in primo luogo.

La seconda conseguenza è la fuga, è quel tentativo di fare un passo indietro una volta entrati nel momento precedente alle conseguenze di una scelta. Di fronte al bivio decido di abbandonare la strada e tornare nei miei passi, abbandonando la mia posizione e rinunciando alla mia iniziale volontà di cambiar qualcosa.

La terza, in assoluto la peggiore, è lo slancio. Lo slancio è la vittoria, senza partita, della paura. Il terrore di incombere nella paura che si prova porta a lanciarsi in quest’ultima, non tentando neanche la possibilità di vincerla, facendo realizzare i propri timori pur di non temerli ancora.

Così spaventato dalle possibili conseguenze negative della mia scelta decido di farle realizzare, ritenendo che il realizzarsi della mia paura sia meno faticoso da assorbire, emotivamente, dell’ansia che la possibilità che la paura si avveri mi offre.

 

La dicotomia della fobia

Trattata adesso questa tripartizione della paura, vorrei tentare di definire della sua dicotomia realizzativa. Prima delle tre manifestazioni descritte, la paura tende a dividersi in due aspetti: la paura della cosa in sé e la paura del mio relazionarmi alla cosa in sé.Prendiamo ad esempio la paura dell’altezza.

Di fronte ad un precipizio sono intimorito dall’altezza di questo, è ovvio, ma al contempo la mia paura è anche collegata al timore di cadere, che dipende esclusivamente dal mio agire di fronte all’altezza. Ho dunque paura sia dell’altezza che del pericolo dipendente dal mio comportamento di fronte a questa, che potrebbe portarmi a cadere.

Se quindi in tale bipartizione la mia paura è dipendente sia dalla cosa che mi spaventa che dal mio modo di relazionarmi ad essa, allora è, di conseguenza, interamente dipendente da me, poiché il realizzarsi della paura dipende solo dalle conseguenze del mio agire: se mi comportassi in modo tale da non poter cadere, l’altezza non dovrebbe causare in me alcun timore.

Si potrebbe azzardare a dire, dopo queste considerazioni sulla natura della paura attraverso le sue conseguenze, che il provar paura dipende interamente da me e dal mio relazionarmi ad essa, in una sorta di aporia dove il mio aver paura consistenell’aver paura del mio agire, e dunque nell’aver paura di me.

 

Il rovesciamento della paura come sua soluzione

Slancio, paresi, fuga: sono tutte conseguenze della paura del mio relazionarmi alla paura, che in questo disegno a questo punto diventa nient’altro che tutto ciò che mi circonda, poiché se la mia paura dipende solo dal mio agire allora dipende solo da me, e la cosa che temo altro non è che la mia proiezione nel mondo.

Quando siamo spaventati, intimoriti, stiamo riversando le nostre insicurezze e il nostro sentirci inadeguati su un qualcosa, stiamo ammettendo a noi stessi di non sentirci sufficienti nel realizzare un qualcosa, e ne intravediamo già le conseguenze negative.

Quando vogliamo superare una paura, tutto quel lavoro che si orienta sul forzarci di affrontare quel qualcosa più è più volte è solo una controproducente forzatura, un farci del male decontestualizzato e non orientato ad alcun miglioramento, se non il costringerci a provare una sterile paura. L’unica vera leva sulla quale toccherebbe far forza è la nostra persona, il tentare di raggiungere ed estirpare quei motivi che ci fanno avvertire inadeguati, molto spesso talmente profondi da esser confusi con una paura “generica”.

Se dunque la paura siamo noi, è anche vero di conseguenza che potremmo esser coraggio, ribellione e accettazione, potremmo diventare la stessa mano che quando sprofondiamo nella paura cerchiamo di afferrare per risalire in cima, rendendo la cima un posto degno di poter esser chiamato “io”, accettando finalmente che essere o avere un problema non è assolutamente un problema, è anzi una ulteriore opportunità per lavorare su noi stessi, e non additare alla paura quelle responsabilità che molto spesso possono esser comode per non dover affrontare noi stessi. Crescere attraverso il mondo è bello, ma crescere attraverso se stessi è assolutamente meraviglioso.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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