Le tasse in Italia: una stangata, confronto con gli altri paesi dell’UE
In Italia le tasse salgono al 42,9% del Pil, alte rispetto al resto d’Europa, ma non è la peggiore posizione
L’OCSE è la Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico dei paesi membri e studia l’evoluzione economica dei paesi membri, confrontandola con quella dei paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato.
Qualche giorno fa l’Ocse ha reso noto lo studio sul rapporto tassazione/Pil.
Vediamo come si colloca il nostro paese rispetto al resto d’Europa.
In Italia le tasse salgono al 42,9% del Pil, alte rispetto al resto d’Europa, ma non è la peggiore posizione secondo alcuni commentatori.
Il confronto con gli altri Paesi, il rapporto statistico presentato dall’Ocse, mostra come il nostro Paese si classifichi alla quinta posizione per tassazione rispetto al “PIL – Prodotto Interno Lordo”.
Sopra di noi ci sono Francia, Norvegia e altri Paesi del Nord Europa.
Forte nel panorama europeo resta la Germania, stabile nel tempo e senza ripercussioni evidenti dopo i due anni di pandemia.
A pesare sulle tasche dei cittadini degli altri Paesi invece i due anni di aumenti durante la pandemia di Covid-19, che costituiscono lo spartiacque tra un prima e un dopo in maniera netta.
In questa quadro, vediamo l’Italia come sta andando.
Lo studio dell’Ocse rileva che le entrate fiscali negli ultimi 40 anni sono aumentate tendenzialmente allo stesso ritmo del Pil.
Le entrate derivanti dalle tasse sulle società sono state le più vivaci nel lungo periodo, si legge, perché sono crescite più rapidamente della crescita economica; al contrario le entrate derivanti dalle accise sono state le meno vivaci, aumentando a un ritmo più lento del Pil.
In Italia, nello specifico: le imposte sul reddito delle persone fisiche hanno generato un gettito pari al 25,9% del Pil (26,8% nel rapporto 2022); le imposte sul reddito delle società hanno prodotto un gettito pari al 4,4% del Pil (da 4,8%).
Le entrate derivanti dalle tasse sulle società sono state le più vivaci nel lungo periodo, si legge, perché sono crescite più rapidamente della crescita economica; al contrario, le entrate derivanti dalle accise sono state le meno vivaci, aumentando a un ritmo più lento del Pil.
In Italia, nello specifico: le imposte sul reddito delle persone fisiche generano un gettito pari al 25,9% del Pil (26,8% nel rapporto 2022); quelle sul sul reddito delle società producono un gettito pari al 4,4% del Pil (da 4,8%).
I contributi previdenziali sono pari al 31,2% del Pil (da 31,8%); il gettito delle tasse sulla proprietà è pari al 5,8% del Pil (da 5,7%); l’Iva è pari al 15,7% del Pil (da 14,1%).
Nei 36 Paesi censiti, l’Ocse ha riscontrato un generale calo delle entrate fiscali.
Nel 2022 infatti le entrate fiscali complessive sono diminuite in 21 dei 36 Paesi censiti, mentre sono aumentate in 14 Paesi e rimaste dello stesso livello solo in Germania.
Nello studio leggiamo che il rapporto medio tasse/Pil nell’area Ocse riferito al 2022 (ultimo dato disponibile) è stato in media del 34% (+0,15 punti), con gli estremi bassi del Messico in assoluto (16,9%), dell’Irlanda per l’Europa (20,9 %, in salita di 0,2%) mentre la Turchia -ponte tra l’economia europea e quella asiatica- è al 20,8%, in calo del 2% rispetto al 2021.
I dati relativi agli Usa mostrano un rapporto tassazione/Pil con l’indice che ha guadagnato l’1,2% salendo al 26,7%, anche se resta lontano dagli standard europei, dove la Gran Bretagna, per esempio, si assesta al 35,3% (+0,9).
In Europa l’Italia si classifica alla quinta posizione, con il 42,9% di tassazione sul Pil.
La classifica prevede:
Francia (46,1%, in crescita di 0,9%)
Norvegia con il 44,3% (+1,9%)
Austria con il 43,1% (in calo di 0,2%)
Finlandia con il 43% (in calo di 0,2%).
Da segnalare la performance della Danimarca, che riduce l’indice tasse/Pil di 5,5 punti (41,4 % da 47,9%), e della Svezia che con il 41,3 % perde 1,4 punti percentuali (42,7). Infine stabile e forte la Germania, con il 39,3%.
Vediamo ora le valutazioni (i rating) fatte dalle Agenzie a ciò preposte.
Anche in queste l’Italia sembra superare il test.
Ovviamente occorrerebbe tener conto delle valutazioni da parte di più Agenzie, frattanto l’Agenzia Scope esprime fiducia nell’Italia e lascia il debito tre gradini sopra la spazzatura.
Finora, dunque, il Paese è stato promosso; ma è davvero lontano il livello junk (spazzatura)?
Al momento l’Italia sembra aver preso la rivincita dei rating, secondo il giudizio dell’Agenzia Scope Ratings, che si è pronunciata senza alcun declassamento per il debito del Paese.
Ma è davvero così?
Restiamo in attesa di altre valutazioni, tra le quali quella di
Moody’s, che è quella maggiormente temuta, che non ha ancora ufficializzato la sua valutazione.
Moody’s è rimasta fedele al suo punteggio BBB+ e tale grado non corre il pericolo imminente di essere abbassato, secondo la dichiarazione ufficiale.
Il nostro Paese, comunque, rimane osservato speciale soprattutto dopo aver annunciato una manovra con un deficit superiore al previsto e perché il suo debito resta elevato.
Finora, quindi, le principali agenzie di rating, molto seguite dagli investitori e rilevanti per la costruzione del sentimento di fiducia nel sistema Paese, hanno sventato il pericolo di un clamoroso scivolamento nel livello spazzatura. Che, però, non è così lontano.
Nell’ultimo anno il giudizio è rimasto stabile per tutte le società, con la linea blu di Moody’s minacciosamente a un solo gradino dallo junk (spazzatura).
Questa agenzia, che è la più rigorosa, ha riproposto un declassamento nel 2018 e da allora non ha ancora effettuato alcun aggiornamento.
Sebbene l’Italia consideri tali giudizi come delle vittorie, considerando anche il contesto fragile europeo e mondiale, la stagnazione economica è una minaccia per il Paese; i tassi di interesse elevati e la bassa crescita sono un binomio poco rassicurante.
Secondo gli ultimi dati dell’istituto nazionale di statistica, comunque, l’economia italiana è cresciuta ma solo dello 0,1% nel terzo trimestre. Il risultato è stato un miglioramento rispetto alla precedente previsione di crescita zero; quest’anno l’Italia dovrebbe espandersi complessivamente dello 0,7%.
Attenzione, però, al deficit che dovrebbe arrivare sotto il 3% del Pil fissato dall’Ue fino al 2026, un anno dopo rispetto a quanto originariamente previsto.
Un po’ di aiuto potrebbe arrivare dai fondi del Recovery Fund, con il governo destinato a ricevere l’ultima rata da 16,5 miliardi di euro entro la fine dell’anno.
Ciò porterà il totale delle risorse distribuite all’Italia per aiutare a rilanciare la sua economia a circa 102 miliardi di euro, ovvero più della metà della dotazione totale.
La combinazione di circostanze che favoriscono un rilancio italiano può franare da un momento all’altro.
Per questo, anche la Commissione Ue, pur non bocciando la manovra, ha chiesto un maggiore sforzo sulle prospettive di crescita.
La conclusione di questo articolato discorso è che il livello spazzatura del nostro debito è a un solo passo.
Questa è la triste realtà!