scritto da Nino Maiorino - 25 Marzo 2023 06:50

La riforma fiscale targata Meloni

Molta, forse troppa, la carne messa al fuoco dal governo targato Meloni: riforma della Carta costituzionale, presidenzialismo, riforma del Fisco, riforma della Giustizia, autonomia differenziata, costruzione del ponte sullo Stretto di Messina; una rivoluzione da far tremare le vene e i polsi di chiunque; sulla riforma del Fisco pure il Direttore Petrillo, in un suo quotidiano “Cornetto & caffè” si è intrattenuto qualche giorno fa (vedi link: https://www.ulisseonline.it/cornetto-caffe/riforma-del-fisco-coraggiosa-o-temeraria/).

E considerando il livello medio dei molti personaggi che lo compongono, nonché i vincoli procedurali per attuare le riforme, se questo governo dovesse attuare solo un quarto di ciò che ha detto di voler fare, due sono le ipotesi: o avrebbe un Santo in Paradiso molto potente, o noi non avremmo capito niente.

Su questo evitiamo di scommettere.

Qualche giorno fa, un vero esperto di conti pubblici, il Prof. Carlo Cottarelli, ha fatto le pulci alla prima bozza di riforma fiscale, basta andare a rileggere ciò che ha scritto (vedi link: https://www.repubblica.it/commenti/2023/03/16/news/riforma_fisco_governo_meloni_carlo_cottarelli-392415598/); lettura interessante.

Noi però vogliamo esaminare, per quanto possibile, cosa accadrebbe con la riforma fiscale ipotizzata dalla Meloni, basandoci su calcoli fatti da esperti in fisco e finanza pubblica.

Giacché, rimanendo immutate le entrate fiscali (che il governo intende comunque ampliare) è conseguenziale che se una determinata categoria di contribuenti beneficia della riforma perché va a risparmiare, ce ne saranno altre che sopperiranno con maggiori imposizioni; insomma ci sarà chi pagherà di meno, e chi pagherà di più.

Vediamo come e perché.

Come ha annunciato il viceministro all’Economia Maurizio Leo, a riforma fiscale, prevede: Irpef a 3 aliquote in base al reddito, modifiche Ires, Irap, Iva e detrazioni per chi guadagna meno.

La riduzione a tre aliquote dell’Irpef avverrebbe con la revisione delle detrazioni e le deduzioni fiscali, con l’obiettivo diridurre l’imposizione fiscale, come ha dichiarato infatti il titolare del dicastero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti; le due cose sembrano alquanto controverse.

Le aliquote Irpef sono quelle che interessano la maggioranza dei contribuenti, e per tale motivo ci riferiamo principalmente ad esse.

Le attuali aliquote Irpef, approvate con la Legge di bilancio 12/2022 sono le seguenti:

  • fino a 15.000 euro 23%;
  • da 15.001 a 28.000 euro 25%;
  • da 28.001 a 50.000 euro 28%;
  • oltre 50.000 euro 43%.

L’ipotesi più probabile è che la riforma IRPEF riguardi soprattutto i redditi che vanno dai 15.000 ai 50.000 euro.

Il passaggio a 3 aliquote Irpef prevede due ipotesi: la prima prevede 3 aliquote del 23%, del 27% e del 43% con un costo allo Stato di 10 miliardi di euro; la seconda prevede 3 aliquote Irpef del 23%, del 33% e del 43% con un costo di 6 miliardi di euro.

In particolare, la prima ipotesi prevede tre aliquote:

  • primo scaglione invariato a15.000 euro con un’aliquota al 23%.
  • secondo scaglioneda 15.001 a 000 euro con aliquota al 27%;
  • non cambierebbe niente per il terzo scaglione, ovvero per i redditi superiori a 50.000 euro, con aliquota al 43%.

I vantaggi, in questo caso, ci sarebbero solo per chi guadagna oltre 35.mila euro.

 

Con laseconda ipotesi gli scaglioni sarebbero ugualmente tre:

  • la prima fasciadi reddito arriverebbe fino a 28.000 euro con aliquota al 23%;
  • il secondo scaglione arriverebbe a 50.000euro con un’aliquota al 33%;
  • per i redditi sopra 50.000 euro l’aliquota resterebbe al 43%.

 Chi ci guadagnerà?

Giuseppe Buscema, Presidente del Collegio dei Revisori della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, ha riportato sul Corriere della Sera alcune possibili ipotesi. Qualora approdasse la prima ipotesi ci sarebbe un aumento dell’imposta lorda per i redditi fino a 34.000 euro. Nella seconda ipotesi si realizzerebbe un risparmio per tutte le fasce di reddito.

Abbiamo detto che il governo, per trovare le risorse necessarie per la riforma, prevede un taglio delle detrazioni e delle deduzioni fiscali, una giungla con oltre 620 voci che costano allo Stato ogni anno circa 150-160 miliardi di euro.

L’obiettivo è arrivare a una sorta di forfetizzazione degli sconti fiscali che terranno conto del reddito familiare e delle spese sostenute per la cura dei figli. Gli sconti si ridurranno all’aumentare del reddito fino ad azzerarsi attorno a 120.mila euro. Non saranno toccate le detrazioni per la casa, la sanità e la scuola.

Qualche accenno alle altre imposte.

Il primo gennaio del 2024 entrerà in vigore la Global minimum tax, l’imposta globale per le multinazionali con aliquota al 15%.

Cambia l’Ires, l’imposta sui redditi delle società. L’aliquota, oggi al 24%, potrebbe essere ridotta al 15%, ma a condizione che le imprese impieghino una parte o tutto il reddito in investimenti e assunzioni. Gli utili non dovranno essere distribuiti o destinati “a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa”. Il principio è: chi più assume meno paga.

Previsto anche uno stop graduale all’Irap, Imposta Regionale sulle Attività Produttive.

Imposta sui consumi: il paniere dell’Iva.

Sarebbe in arrivo un’aliquota Iva zero per alcuni beni di prima necessità come il pane, la pasta e il latte.

Si parla di razionalizzazione del sistema delle aliquote allineate a criteri Ue, con l’obiettivo di rendere omogenee le aliquote oggi applicate a beni e servizi similari a rilevanza sociale.

La cedolare secca. Nei programmi del governo c’è anche l’applicazione della cedolare secca agli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo; il regime agevolato -un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali, per la parte che deriva dal reddito dell’immobile- sarà esteso anche agli immobili a uso commerciale, mentre attualmente la cedolare secca è riservata solo ai proprietari che affittano un immobile a titolo privato.

I redditi finanziari. Sono quelli derivanti da investimenti effettuati con il ricorso al mercato azionario o obbligazionario o ad altre forme analoghe. E’ prevista la creazione di un’unica categoria di reddito nella quale confluiranno tutti i redditi finanziari. La base imponibile sarebbe quindi costituita dalla somma dei proventi e delle plusvalenze o minusvalenze nel periodo di imposta. Previste forme di incentivazione fiscale per la previdenza integrativa.

Cosa avviene in Europa?

In Francia “l’Impot sur le revenu – Imposta sul reddito” presenta cinque scaglioni (analogamente al sistema italiano dal 2007 fino al 2021), e prevede una no tax area fino a circa 6mila euro di reddito annuale, con aliquote che vanno dal 5,5% al 41%. A differenza dell’Irpef, l’imposta francese è modulata sul nucleo fiscale e non a livello individuale: dipende quindi da quant’è numerosa la famiglia del contribuente.

In Germania “l’Einkommensteuer – idem” ha una struttura simile alla nostra con quattro scaglioni, con aliquote che vanno dal 14% al 45% e una no tax area fino a 9.mila euro di reddito annuale.

Secondo quanto spiega l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, nel caso in cui in Germania una coppia legalmente sposata presenti dichiarazione dei redditi congiunta, gli estremi degli scaglioni di reddito sono raddoppiati.

In Spagna la situazione è diversa principalmente a causa della presenza delle Comunità Autonome, le quali godono di ampi poteri in materia tributaria. In ogni caso, il cittadino spagnolo non è tenuto a pagare alcuna imposta se il proprio reddito annuale non raggiunge i 5.mila euro, poi la percentuale dovuta allo Stato cresce gradualmente fino al 47% per i redditi superiori a 300.000 euro.

La curva dell’aliquota media dell’Italia, sempre secondo l’Osservatorio Cpi che fa riferimento alla situazione nel 2020, era molto simile a quella di Germania e Spagna.

Altri Paesi con sistemi progressivi sono, ad esempio, Belgio, Danimarca, Norvegia, Svezia, Regno Unito, Finlandia; ma anche l’Austria, dove l’ultima aliquota arriva fino a 55%, per i redditi superiori a 1 milione di euro.

La Flat-Tax. L’Italia ha intrapreso la strada verso la flat-tax, la cosiddetta tassa-piatta, strutturata secondo un’aliquota unica uguale per tutti, che si attesterebbe al 15%.

Una decisione che sembra andare contro corrente, dato che la maggior parte dei Paesi europei opta per una tassazione progressiva. Il sistema ad aliquota unica risulta (o forse risultava) particolarmente attraente ai Paesi reduci del comunismo, tant’è vero che i soli Stati che utilizzano ancora questo modello sono tutti dell’Est.

Un criterio che ha molti aspetti di incostituzionalità in quanto cancella la progressività dell’imposizione fiscale prevista dalla nostra Carta costituzionale.

Una decisione che sembra andare contro corrente, dato che la maggior parte dei Paesi europei opta per una tassazione progressiva.

Ecco come è strutturata la tassazione oggi in Europa e quali sono le tendenze internazionali.

Il gruppo della Flat-tax in Europa si stringe sempre di più.

La maggioranza dei Paesi europei, infatti, fonda il proprio sistema di tassazione sul principio di progressività. Nei Paesi dove vige questa norma maggiore è il livello di reddito, maggiore è la percentuale di imposta da pagare sulla base imponibile.

In base ai dati Ocse e Pwc, la ‘tassa piatta’ all’inizio degli anni 2000 si usava ancora in una quindicina di Paesi, tutti dell’ex blocco sovietico o ex membri della Jugoslavia.

Nel corso degli anni, con l’abbandono progressivo di questo sistema, il numero dei Paesi utilizzatori si è quasi dimezzato, e oggi sono solo 8Estonia (20%), Russia (13%), Ucraina (18%), Romania (10%), Bulgaria (10%), Bosnia ed Erzegovina (10%), Bielorussia (13%), e Ungheria (15%).

Secondo un’analisi condotta dall’Osservatorio Cpi, l’ultimo Paese a fare marcia indietro è stato laMacedonia, che dopo l’introduzione dellaFlat-tax nel 2007, il 1 gennaio 2023 è passata a un sistema a due aliquote.

Hanno fatto percorsi analoghi la Slovacchia e la Repubblica Ceca nel 2013, l’Albania nel 2014, e la Lituania nel 2019. L’unico Paese a introdurre subito tre aliquote è stato la Serbia nel 2013.

Se il nostro paese introducesse la Flat-tax andrebbe controcorrente, sarebbe il 9° in Europa.

Gli argomenti chiave a favore dell’introduzione dell’aliquota unica, secondo quanto spiega l’Osservatorio Cpi, sono tre. Il primo è la semplicità, caratteristica che dovrebbe aumentare la trasparenza e ridurre i costi amministrativi. In secondo luogo, poi, la Flat-tax dovrebbe migliorare l’efficienza economica tramite la riduzione delle distorsioni fiscali. Infine, dovrebbe contribuire a una maggiore crescita del Pil.

Rispetto al quale nell’anno 2022, il gettito IRPEF è stato di circa 205 miliardi di euro, comprese le addizionali regionali e. Secondo quanto riportato, coprirebbe oltre il 10% del PIL, tuttavia non è sufficiente a compensare nemmeno la spesa assistenziale e sanitaria, del valore di 288 miliardi.

Tuttavia, la maggioranza degli studi empirici, sostiene l’Osservatorio, forniscono risultati poco incoraggianti sull’impatto della tassa piatta sulla crescita economica.

In conclusione, la semplicità non va sempre a braccetto con l’equità, comunque sembra che in queste ipotesi di interventi le categorie di contribuenti che vengono penalizzate sono quelle con redditi medi, quelle con bassi redditi continueranno a pagare come prima, i più fortunati sembrano proprio quelli con redditi elevati, che non verranno toccati.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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