scritto da Tina Contaldo - 01 Febbraio 2025 07:33

Iliade. Il gioco degli dei. Il sacro profano

Cantami o Diva l’ira funesta del Pelìde Achille. Sì ma cantami pure della perdita, del vuoto, e del non detto. Soprattutto del non detto

Con dialoghi di Francesco Niccolini e liberamente ispirato ad Omero, Iliade. Il gioco degli dei è in scena dal 30 gennaio al 2 febbraio  con co-regia di Alessio Boni al fianco di Alberto Aldorasi e Marcello Prayer, al Teatro Verdi di Salerno.

Dunque non c’è speranza per lo spettatore, che va ad osservare la sua condizione umana dispiegata e contradetta senza troppi ragguagli. Con una struttura ciclica e stroncante, Omero è stato rivisto e rimaneggiato partendo dal mito di Prometeo. Si rivedono infatti in una delle prime scene gli attori attorno ad un fuoco e inizia a farsi palese l’omaggio ad una grecità persa a valori consunti e caratteristiche che si ritrovano nel tessuto sociale odierno.

È una perdita di identità continua e perenne quella che palesiamo oggi. Lo stesso senso di identità che si scoprì di possedere, come ha detto lo stesso Boni in un’intervista, nel momento in cui fu scritta l’Iliade. È l’identità che tutti noi abbiamo perso sia come entità sociale sia come individui. Ci arroghiamo il diritto di conoscere sempre più degli altri ma fino a che punto conosciamo noi stessi?

Lo stesso Omero è un autore senza identità visto come il non vedente o colui che raggruppa sotto il suo nome tante figure.

Ma sembra che l’elemento dionisiaco abbia la meglio in questo riadattamento

Cantami o Diva l’ira funesta del Pelìde Achille. Sì ma cantami pure della perdita, del vuoto, e del non detto. Soprattutto del non detto.

E come il taciuto si fa strada nelle nostre vite e così come l’adattare la vita più che adattarsi alla vita è diventato fondamento di ogni coscienza, così come l’arrangiarsi è diventato la copia dell’onestà, così anche gli dei di Boni, ci ricordano che forse il taciuto è diventato ormai la norma e dunque abbiamo bisogno di eroi per manifestare il dissenso che tacciamo ogni giorno perché assorbiti dal nulla catartico delle vere tragedie.

Sapere che altri stanno peggio forse ci fa sentire più leggeri perché tutto sommato noi non vogliamo e non sappiamo barattare la nostra felicità così fallace con il bene comune.

Neanche gli dei stessi sanno recuperare questa condizione di felicità primordiale pre-prometeica e si vedono loro stessi agghindati di maschere per rappresentare l’ignominia della guerra. Ma le maschere si sa una volta indossate rendono l’essere umano più distante dal senso di umanità.

Un appello a voi lettori: che calino le maschere. Ma anche un augurio: che riusciamo finalmente a lasciare il giudizio alle spalle e che finalmente ci occupiamo di ciò che vuol dire essere umano.

Aspetto con ansia altre rappresentazioni.

Una risposta a “Iliade. Il gioco degli dei. Il sacro profano”

  1. Quanti errori grammaticali in un breve testo.
    Per iniziare: sì (affermazione) deve essere scritta con l’ accento. Arrogare va scritto con la g. A “Pelide” andrebbe messo un accento. Il punto (.) alla fine di una frase.

    Andiamo sempre di fretta ma chi fa delle parole il suo mestiere dovrebbe almeno rileggere ogni suo scritto.
    Cle

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