Ma si può fermare l’aria?
Riconfesso (l’ho già fatto altre volte) di non avere un buon rapporto con la TV, da vari anni mi annoia.
Certamente per colpa mia o per mia manchevolezza.
Mi sono fatto persuaso (per dirlo alla Camilleri) che questo disturbo è iniziato qualche decennio addietro, ne ho fissato la data di nascita facendola coincidere con il piuttosto celebre “editto bulgaro” di Silvio Berlusconi (era a Sofia), vale a dire il diktat dell’ex Cavaliere (o Caimano, come lo definì Nanni Moretti) che, nel 2002, caccio dalle TV di Stato Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, rei di parlare di politica e sparlare del Berlusca che, all’epoca, sembrava l’Olimpo sceso in terra per salvare i poveri esseri appena-appena pensanti e, quindi, peccatori perché non lo sopportavano.
Poi gli eventi mi hanno dato ragione, ma oramai il patatrac era avvenuto, l’antipatia verso quel nume non è mai venuta meno, salvo ad attenuarsi quando altri numi lo hanno sostituito: basta guardare gli attuali politici che imperversano sul palcoscenico della quotidianità e che tanto spesso fanno pensare che si stava meglio quando si stava peggio.
Questo iniziale sfogo è per giustificare il cattivo rapporto con le reti televisive del servizio pubblico le quali, ad eccezione di quando trasmette le serie ispirate agli scritti di Camilleri o di Di Giovanni e in poche altre occasioni, mi fanno venire l’orticaria.
Si è salvata, almeno finora, solo Rai3 che considero la sola rete pubblica che si può seguire, perché istituzionalmente dedicata anche alla cronaca regionale, ma anche per i programmi di approfondimento, le inchieste, e le interviste a livello locale.
Ora anche Rai3 è nel mirino della critica di parte per il caso della “espulsione” di Fabio Fazio, il quale, dopo oltre un quarantennio, sembra venga sacrificato per le ingerenze della politica nella gestione della Rai, e mi meraviglia che ci sia chi si meraviglia, quasi fosse una novità: probabilmente c’è chi si meraviglia perché oggi comanda la destra, non lo faceva quando a comandare era la sinistra, ma così vanno le cose, segno dei tempi e della mancanza di memoria dei teledipendenti.
Chi mi conosce sa che una delle cause della mia orticaria è proprio questa destra, con tutti i suoi pupazzi, giullari e saltimbanchi, ma non mi importa un fico secco se a Fabio Fazio non verrà rinnovato il contratto, anche perché Fazio, che può risultare antipatico ma che certamente non è uno stupido, probabilmente si aspettava questo evento, e lo ha utilizzato a suo vantaggio per traslocare su una rete privata con un contratto milionario: d’altra parte i contratti sono fatti per essere anche non rinnovati, per cui è da stupidi meravigliarsene.
Però, visto che la Rai3 televisiva è l’unica rete che, di tanto in tanto, mi degno di guardare, l’ho fatto anche venerdì 19 maggio scorso perché in prima serata ha trasmesso il film “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo con due attori partenopei che considero insuperabili, Toni Servillo e Orazio Orlando, ai quali sono legatissimo e cerco di non perdermi alcun loro film.
Mi ero perso “Ariaferma” perché è stato proiettato nelle sale nell’ottobre 2021, periodo di piena pandemia che ci fece rintanare in casa consentendoci di uscire solo per acquistare beni irrinunciabili: siamo stati peggio di quelli che Noè salvò dal Diluvio ospitandoli nell’Arca, ma siamo sopravvissuti e tanto basta.
Ed è proprio di questo film trasmesso su Rai 3 il 19 maggio scorso che voglio parlare perché, sebbene lento e cupo e talvolta buio (nel senso della mancanza di luce), evidenzia tante sfaccettature della vita, incastrate nell’aria ferma di un microcosmo costituito da un vecchio carcere che ospita solo 12 detenuti i quali, in attesa di essere trasferiti in una struttura più nuova e accogliente (ma una struttura carceraria potrà mai essere accogliente?) sono costretti a convivere alla man peggio, sorvegliati da cinque Guardie carcerarie (quelle che ora Nordio chiama Secondini) che cercano di mantenere le distanze dai sorvegliati; alla fine non ci riescono perché gli stessi, sebbene carcerati, sanno esprimere risvolti umani non poco coinvolgenti.
E lo stesso detenuto Carmine La Gioia, considerato un pericoloso camorrista, si dimostra un mite e collaborativo personaggio che media tra la rigidità delle regole e le giustificate pretese dei carcerati: la data del trasferimento, un cibo migliore, una migliore socialità.
Il Capoguardia Gaetano Gargiulo, interpretato da Servillo, nel ruolo di un inespressivo Direttore di fatto, cerca di mantenere il distacco dai detenuti, di dimostrare l’Aria ferma, ma alla fine sarà costretto a cedere alla umanità dei detenuti alimentata inconsapevolmente dallo stesso camorrista La Gioia, il quale spinge la sua collaborazione fino ad assumere il ruolo di cuoco forte della sua esperienza esterna, per esaudire il desiderio di un cibo migliore, sotto la rigida sorveglianza del Gargiulo.
Ma quando una sera, complice il cattivo tempo e il mancato funzionamento del generatore di elettricità, il carcere rimane al buio proprio al momento della cena, Gargiulo autorizza a portare i tavoli all’esterno delle celle, illuminati da tre lampade a gas trovate in deposito, e a disporre i tavoli in maniera da fare una tavolata alla quale siedono pure i sorveglianti, e nella inconsueta circostanza autorizza anche a fare un brindisi con una bottiglia di vino (ma com’è entrata? chiede Gargiulo al quale risponde il sorriso dei carcerati), brindisi al quale i sorveglianti non parteciperanno perché in servizio è vietato assumere alcolici.
Una specie di festa minimale che il ritorno della luce sembra premiare.
Quell’aria ferma che qualcuno vorrebbe mantenere nel carcere svanisce alla luce della solidarietà di quella inconsueta comunità nella quale le Guardie carcerarie, pure con le personali peculiarità, non si sottraggono e della umanità che i carcerati non hanno perduto.
Lascia riflettere la storia del giovanissimo scippatore responsabile della morte dell’anziano derubato, colto da malore dopo lo scippo; lo scippatore è molto turbato da quelle morte che egli ha provocato, che lo ha prostrato al punto da fargli tentare il suicidio che Gargiulo sventa.
Una luce in fondo al buio tunnel, la luce della speranza alla fine del buio della quotidiana esistenza.