I sintomi della malattia si manifestano già vent’anni prima
Molti hanno dimestichezza con questa invalidante malattia perché, con l’allungarsi della vita, hanno incontrato almeno un parente o un amico da essa colpito.
L’immagine che apre questo articolo evidenzia, più di tante parole, la drammaticità della stessa in quanto essa si presenta spesso con sintomi incostanti, anche nella stessa persona, nel senso che vi sono momenti di totale mancanza di memoria, a volte seguiti da altri durante i quali l’ammalato ricorda di più, diventa più presente, più partecipe.
E’ come se il cervello dell’ammalato fosse diviso in tanti tasselli che continuamente si collegano e si scollegano, ma senza una logica e senza un criterio, componenti di un puzzle che continuamente si modifica.
E’ comprensibile la pena e il disagio di un familiare che si trova ad assistere un ammalato colpito dall’Alzheimer il quale continuamente cambia il modo di fare.
Ma ora la scienza e la ricerca ci vengono incontro per tentare di anticipare la conoscenza della malattia e di prevenirla fino a vent’anni prima che essa si manifesti in maniera irreversibile.
L’Alzheimer, che un tempo era denominato comunemente “demenza senile” è una malattia causata da mutamenti del cervello, una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo,
una perdita progressiva della funzione mentale, caratterizzata dalla degenerazione del tessuto cerebrale, con perdita di cellule.
E’ noto che le cellule cerebrali sono le poche che il corpo umano non riesce a rigenerare, motivo per il quale, con l’avanzare degli anni, esse si riducono e il cervello cambia sia fisicamente sia nelle funzioni cognitive.
Fino a qualche tempo fa questo processo degenerativo veniva scoperto quando si presentava, ora sembra che la sua scoperta possa avvenire con anni di anticipo.
Un test del sangue può prevedere l’Alzheimer 20 anni prima della comparsa dei sintomi; basta un semplice test del sangue che può aiutare soprattutto il progresso degli studi sui farmaci.
A parlarne sono gli scienziati dell’università di Washington a Saint Louis, nel Missouri, sulla rivista “Neurology: un semplice test del sangue può essere in grado di diagnosticare l’Alzheimer 20 anni prima della comparsa dei sintomi; questa può essere l’ultima e potenzialmente rivoluzionaria scoperta nel trattamento di questa malattia.
Questo test è stato messo a punto proprio dagli scienziati della scuola di medicina della Washington University di St. Louis, in Missouri.
Gli esperti che hanno condotto lo studio, hanno spiegato che l’analisi può essere in grado di identificare i cambiamenti del cervello del 94%: questo è un sistema più semplice ed economico rispetto a una Pet, un esame non invasivo, che non comporta alcun rischio per il paziente e si svolge per mezzo di un radio-farmaco, somministrato per via endovenosa nell’avambraccio, che mappa il processo patologico attraverso un atomo che emette positroni a breve emivita, più costoso.
Uno degli autori dello studio e professore di neurologia, Randall Bateman, ha spiegato: “Al momento gli screening prevedono esami di diagnostica per immagini costosi e lunghi. Impieghiamo anni per cercare volontari e analizzarli. Ma con un prelievo del sangue, potremmo esaminare migliaia di persone ogni mese. Ciò vuol dire che riusciremmo a trovare volontari più velocemente, e ad arrivare presto a individuare cure più specifiche, risparmiando soldi e sofferenze a chi è affetto dal morbo”.
I ricercatori sono riusciti a trovare un modo per misurare i livelli nel sangue della proteina Beta-amiloide che è un indicatore chiave del morbo di Alzheimer. La concentrazione della proteina è un campanello di allarme del suo accumulo nel cervello. Sono stati misurati i livelli della proteina nel sangue di 158 adulti con un’età superiore ai 50 anni per confrontare i risultati con quelli della Pet.
Inizialmente, il valore non è stato preciso, ma gli esperti hanno combinato queste informazioni con altri due fattori di rischio della malattia, ovvero l’età superiore ai 65 anni e la presenza di una variante genetica chiamata Apoe4 che aumenta di tre volte il rischio di Alzheimer. L’accuratezza delle analisi, dall’88% è arrivata al 94% combinando appunto i due fattori di rischio.
Gli autori dello studio hanno spiegato: “Tutto questo ci aiuterà in particolare ad arruolare i partecipanti agli studi clinici in modo più efficiente, il che ci consentirà di trovare i trattamenti più rapidamente, con un impatto importante, speriamo, sul costo della malattia e sulla sofferenza umana che ne deriva”.
Per i ricercatori, i grumi di proteine iniziano a formarsi nel cervello circa 20 anni prima della comparsa dei primi sintomi dell’Alzheimer, come la perdita di memoria e questi test potrebbero essere utilizzati per diagnosticare in anticipo questa malattia neurodegenerativa.
Ovviamente, bisogna sottolineare che la diagnosi precoce non aiuta a fermare la malattia, in quanto ad oggi purtroppo non esistono ancora trattamenti in grado di farlo.
Poiché, proprio per effetto dell’allungarsi della vita, sono sempre più numerosi i soggetti che potrebbero essere colpiti dalla invalidante malattia, speriamo che queste ricerche ci siano di valido aiuto.
Immagine del cervello colpito dalla malattia