LIBRI & LIBRI Le violenze delle guerre, mai finite
La storia è stata ambientata nell'Emilia Romagna, in particolare la provincia di Cesena e Forlì. Gli eventi, che travolgono i singoli personaggi, non sono una novità per noi
Chiudo il libro ma resto dentro quelle immagini di morte e distruzione. Tutte le volte, mi chiedo perché gli esseri umani non conservano memoria delle conseguenze di ogni azione violenta? Prima fra tutte le violenze delle guerre, mai finite?
Poi mi dico che forse è anche questo un modo per rifuggire il dolore, più soffriamo più rimuoviamo.
I giorni di vetro di Nicoletta Verna – Einaudi 2024 racconta una storia ambientata nel periodo fascista, il momento la grande diffusione e condivisione degli italiani (più o meno obbligata), la sua caduta e, naturalmente, la guerra con l’arrivo degli alleati.
La storia è stata ambientata nell’Emilia Romagna, in particolare la provincia di Cesena e Forlì. Gli eventi, che travolgono i singoli personaggi, non sono una novità per noi.Purtroppo somigliano a molte altre storie di quel periodo,avvenute in altre Regioni d’Italia. Dolore, morte, fame, tradimenti e distruzione, tanta, nel mezzo uomini che si arrampicano dentro spiegazioni banali, che non conosceranno mai il vero motivo di quella violenza senza scampo e di quelle scelte politiche che non s’interrogano sui costi umani prodotti.
Ho letto questo libro tutto di un fiato, come un articolo giornalistico di cronaca bellica. Lo stile di scrittura è avvicinabile alla narrazione del giornalismo di larga diffusione. Una scrittura resa sopportabile da un linguaggio piacevole, che avvolge con tante trovate (forse troppe) narrative.Avvince il lettore e lo trascina in un’atmosfera che si ripete in tutte le guerre e in tutti gli scontri che si pretende di risolvere soltanto con la violenza.
Insomma, alla fine, quando ho chiuso questo libro, mi è rimasto un dolore struggente, disperato, perché associato anche alla situazione mondiale attuale. È così, quelle immagini si ripetono si riuniscono sempre uguale, piene di uomini che hanno cancellato dalla loro mente ogni ombra di pietas.Guerre di cui non afferriamo il senso, geograficamente più vicine, la Palestina è dietro casa, l’Ucraina, poco più in là, al centro dell’Europa. Per allontanare il dolore ci diciamo, come fecero le popolazioni durante la Grande Guerra e la seconda guerra mondiale, che qui non arriverà mai, come racconta ancora una volta questo libro,non succederà a noi.
E anche questo è una difesa. Scacciare il demone che ci pizzica e sogghigna: “Ci risiamo!”, dice. Insomma questo romanzo ci ricorda per l’ennesima volta che il nostro territorio non è stato immune dalla violenza della guerra, ma il vero delitto che stiamo perpetrando è quello di non ricordarcene.
“Salgo sulla corriera, la figura minuta e mascolina di Vittoria si fa sempre più piccola, al loro posto lo sguardo sulle colline. Sono dolci, pulite; ad ammirare un paesaggio del genere sembra che la guerra non ci sia mai stata. Eppure pochi passi c’è il Monte Colombo, ci sono ancora i cadaveri di chi ho ammazzato”. I giorni di vetro di Nicoletta Verna – Einaudi 2024 p. 432
Le microstorie, raccontate in questo romanzo,sono risucchiate dalla grande storia umana e politica. È vero. Eppure, non smetterò mai di pensare, che abbiamo una scelta, anzi due: giustificare la violenza palese, evidente o decide di combatterla, ogni giorno, dentro e fuori di noi.
“Vicino al canterano trovai una scatola di cartone sigillata con tre giri di spago. Sciolsi i nodi, sollevai il coperchio senza pensarci e guardai dentro. Mi scappò un urlo e la richiusi svelta, tremando come una canna. C’era una testa punto una testa di donna”(op.cit. p. 199).
A conclusione vorrei aggiungere qualche digressioni, stimolata dalla mia lettura di questo romanzo e di un altro letto in contemporanea (L’incantatrice dei numeri – Jennifer Chiaverini – Editore. Neri Pozza 2019).
Una riflessione sugli stili letterari contemporanei, in particolare sulle pubblicazioni delle grandi case editrici (macchine commerciali basate in primis sulle vendite). Queste ultime per la selezione degli scritti da pubblicare si affidano ad agenti letterari, che hanno in testa sempre lo stesso schema di narrazione, con sempre gli stessi effetti speciali. Cosicché, molte volte, si ha l’impressione di leggere sempre lo stesso autore. Alla base c’è l’idea di “leggerezza” che non ha niente a che fare con quello che, a mio parere, diceva Calvino.
Nelle Lezioni americane di Italo Calvino “leggero” è il linguaggio che in una sola immagine muove lo spirito e ci anestetizza entrandonell’anima di chi legge, lasciando un’impronta indelebile, che torna nella nostra mente nei momenti più inaspettati. Tutto questo purtroppo raramente succede con i romanzi contemporanei.
Come si raggiunge questo risultato?
Sono anni che m’interrogo, ma una cosa è certa, si raggiunge rompendo gli schemi, rincorrendo quella che una volta, prima della letteratura seriale, si chiamava “la propria voce”. Preciso che non sto criticando la pubblicazione di scritti come questi. Infatti, li leggo. Critico le finalità editoriale delle grandi aziende, che hanno risorse sufficienti e potrebbero ritagliare uno spicchiodi spazio alla ricerca nel campo letterario.
Pensiamo a Olivetti e al suo gruppo di “pazzi”, assunto senza finalità economiche che arrivarono all’ideazione del primo calcolatore. Pensiamo allo stupore degli americani al momento della presentazione negli Stati Uniti. Pensiamo al futuro che era già dentro quella macchina che occupava una stanza intera.
Insomma gli editori dovrebbero avere, come una volta al loro interno, lettori capaci di riconoscere la qualità, sacrificando ogni tanto la quantità programmata di vendite.