L’ARCHRITICO Un britannico a Napoli (nel ’44)
Non esiste miglior modo per comprendere cosa fosse la città di Napoli, ma in senso generale in che stato la guerra avesse ridotto le città italiane, che leggere “Napoli ’44”, il memoriale dello scrittore Norman Lewis che rimase nel capoluogo campano per un anno tra la fine del 1943 e il 1944
Il 18 aprile del 1944, esattamente 80 anni fa, l’ufficiale britannico Norman Lewis del Field Security Office, aggregato alla Quinta armata americana, di stanza a Napoli, così annotava sul suo diario: “Il mercato nero è florido come non mai. Secondo il bollettino della Psychological Warfare Bureau, il sessantacinque per cento del reddito pro capite dei napoletani deriva da traffici in forniture alleate rubate, e un terzo del vettovagliamento e dell’equipaggiamento che importiamo continua a venire inghiottito dal mercato nero. Ogni singolo articolo dell’equipaggiamento alleato viene messo in bella mostra al mercato di via Forcella, eccezion fatta per pistole e munizioni, che dicono si vendano sottobanco. E’ stato notato che all’apertura del San Carlo tutte le signore della media e alta borghesia indossavano cappotti fatti con coperte militari”.
Non esiste miglior modo per comprendere cosa fosse la città di Napoli, ma in senso generale in che stato la guerra avesse ridotto le città italiane, che leggere “Napoli ’44”, il memoriale dello scrittore Norman Lewis, allora 36enne, che sbarcato a Salerno nel corso dell’operazione Avalanches il 9 settembre 1943 e trasferito a Napoli il 6 ottobre dopo un ricovero per Malaria a Paestum, rimase nel capoluogo campano fino al 24 ottobre giorno del suo spostamento a Port Said.
Lewis, che successivamente si distinse per altri memoriali di viaggio fino ad essere considerato uno dei maggiori scrittori inglesi del XX secolo, osserva con gli occhi dello straniero disincantato e, a tratti, impassibile, la devastazione materiale e la miseria umana di quella che era stata la capitale del Regno borbonico “delle Due Sicilie”. Una Napoli appena liberata dai tedeschi, dopo le quattro giornate (27/30 settembre 1943), illusasi di tornare rapidamente alla normalità e, nel frattempo, impegnata a sopravvivere nonostante la mancanza di acqua e cibo. Una Napoli sventrata, umiliata ma mai piegata, che si arrangia, combatte, resiste. Coraggiosamente.
Così la descrive Lewis al suo arrivo in città: “Napoli odora di legno bruciato. Ovunque macerie, che in alcuni casi ostruiscono completamente le strade, crateri di bombe e tram abbandonati. Il problema principale è l’acqua (…) le squadre di guastatori tedeschi sono andate in giro a far saltare in aria tutto quanto di utile alla città ancora funzionasse. La grande sete collettiva di questi ultimi giorni è stata tale che, ci hanno detto, la gente ha provato a cucinare con l’acqua di mare…”.
Ma la Napoli di Lewis è soprattutto quella della borsa nera, la “Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo (“adda passà a nuttata”), delle bambine che le madri aiutavano a prostituirsi e dei bombardamenti alleati quando, attestatisi sulla linea Gustav i tedeschi ancora utilizzavano la città come retrovia. In questo clima di incertezza, Lewis sa diventare abbastanza napoletano per riuscire a cavarsela tra informatori prezzolati e la mala giustizia dei primi tribunali improvvisati. Nel suo soggiorno ha persino la ventura di assistere all’ultima eruzione del Vesuvio. Il 19 marzo scrive: “E’ lo spettacolo più maestoso e terribile che abbia mai visto, e credo che una cosa del genere non la vedrò mai più (…) Durante la notte lingue di lava hanno cominciato a scendere lungo i fianchi della montagna. Di giorno era uno spettacolo quieto, ma adesso l’eruzione mostrava una vivacità terribile…”.
Lewis è sufficientemente neutrale da riconoscere le barbarie anche degli alleati. Bombardamenti a parte, narra dell’inerzia delle truppe canadesi e della prepotenza degli americani, ma soprattutto delle incursioni dei Goumier, i marocchini assoldati dall’esercito francese, che dopo aver sfondato a Cassino scesero in città commettendo violenze e stuprando le donne napoletane. Da qui il verso più noto della Tammurriata Nera, scritta proprio nel 1944:
“E signurine ‘e Capodichino, fanno ammore ch”e marrucchine, ‘e marrucchine se vottano ‘e lanze, e ‘e signurine ch”e panze annanze”.
Prima di essere trasferito Lewis si occupa dei matrimoni combinati. A lui il compito di scoprire quanti degli sposalizi fossero tra coppie effettivamente formatisi e quanti solo per corrispondenza, per accordi economici (la paga di un soldato alleato era superiore a quella del migliore funzionario italiano). Accoglie la notizia di lasciare la città con mestizia. Il giorno della partenza scrive: “L’intuito mi dice che la mia permanenza a Napoli è giunta al termine (…) Non ci sarà il tempo per un’ultima tazzina di surrogato al Gran Caffè in Galleria, per dire addio e buona fortuna alle molte ragazze che in pratica fanno parte dell’arredamento, e non me ne vogliono perché non sono stato capace di aiutarle a sposare militari alleati…”.
“Napoli ’44” è la più fedele, sincera e accorata testimonianza (al pari de “La pelle” di Malaparte) della Napoli occupata e liberata. Un manuale per la memoria, un libro di storia, un testo fondamentale per capire la guerra e noi.
(Da “Napoli ’44” è stato tratto un film-documentario con la regia di Francesco Patierno, con uno straordinario lavoro di ricerca di immagini e foto d’archivio. E’ visibile in chiaro su RaiPlay. QUI).
FOLLOW ME ON INSTAGRAM: @chrideiuliis75 – TWITTER: @chrideiuliis – search me on LINKEDIN
Dalla rubrica l’Archritico, a proposito di libri, leggi anche: Ciò che non furono
Avere tutto senza possedere nulla