Credo sia arrivato il momento di riproporre, con maggiore convinzione, un provvedimento che ho già avuto modo di esporre circa dieci anni fa, ovvero il Reddito di Assenza (RdA).
Il Reddito di Assenza parte da un presupposto inequivocabile: in Italia ci sono troppi lavativi assunti dallo Stato ed enti pubblici. Nullafacenti, incapaci, importuni. Abbiamo bisogno di questi impiegati? Certamente no. Li possiamo licenziare? Purtroppo no.
I numeri dicono che in Italia ci sono più di tre milioni di dipendenti pubblici. 500.000 solo nei Comuni, quasi 80.000 nelle Regioni. Lo Stato elargisce 7,4 buste paga ogni mille abitanti, oltre due punti in più rispetto alla media europea. L’assenteismo, record, non influisce sugli stipendi. Nella classifica degli assentisti vincono (dati 2017) i vigili urbani (60 giorni all’anno) seguono gli uffici della Presidenza del Consiglio (55) le agenzie fiscali (51) i ministeri (50) la scuola (48) e via a seguire.
Nonostante le mancanze, gli enti che generosamente ospitano questi dipendenti impuniti, continuano a funzionare più o meno regolarmente. L’organico lavorativo valido, adeguandosi al numero dei presenti, dimostra così di essere ciononostante sufficiente.
Infatti, il problema dei dipendenti pubblici incompetenti, non è la loro assenza dal posto di lavoro, bensì la loro presenza.
Nella maggior parte dei casi, infatti, i dipendenti pubblici esuberanti non sono soltanto inutili, bensì deleteri per il funzionamento dello stato. La loro ignoranza ed imperizia, unito all’ambizione di avere comunque un ruolo nella macchina amministrativa, è motivo di disagio per i colleghi ma soprattutto crea disagi ai cittadini, costretti a fronteggiare imprevista e superflua burocrazia, dimostrare la correttezza delle loro istanze, subire lungaggini, patteggiare soluzioni improduttive.
In alcuni casi, per paradosso, proprio per giustificare lo stipendio agli eccedenti, vengono creati nuovi adempimenti ad hoc, ai quali vengono posizionati a sentinella.
Per questo motivo, per accelerare i procedimenti, generare ricchezza, risparmiare denaro pubblico e infine creare nuovi posti di lavoro qualificato, va assolutamente introdotto il Reddito di Assenza.
Proporre cioè ai dipendenti pubblici uno stipendio del 60% in cambio della loro assenza continuativa e definitiva dal posto di lavoro. Misura che scatterebbe in automatico superata una soglia di assenze annue.
Tenere lontano dal lavoro gli incapaci avrebbe l’immediata conseguenza di migliorare il funzionamento di tutti gli uffici, nonché una serie di altri benefici consequenziali.
Poniamo che nel primo anno accettino di passare al Reddito di Assenza solo il 10% dei dipendenti pubblici. Lo stato risparmierebbe subito almeno 150 milioni di euro. Senza contare il risparmio in termini energetici (meno consumi elettrici, meno ambienti da riscaldare) e di inquinamento (meno traffico nelle città e mezzi pubblici meno affollati). Ne gioverebbe immediatamente, recuperando tempo, l’iniziativa privata , la fiducia dei cittadini nello stato aumenterebbe, la stessa produttività degli uffici crescerebbe.
Qualcuno obietterà che potrebbero aderire al Reddito di Assenza anche impiegati più abili, ma si tratta di un rischio calcolato.
Con i milioni di euro risparmiati dallo stato ogni anno, si potrebbero assumere giovani qualificati motivandoli con uno stipendio più alto. Basterebbe assumerne uno per ogni cinque percettori del Reddito di Assenza. Un “nativo digitale”, efficiente, poliglotta e con brillanti capacità di apprendimento, fa facilmente il lavoro di cinque incapaci, anche in metà del tempo. I nuovi esperti andrebbero a coprire posti dove c’è effettiva carenza di personale oppure occupare posizioni strategiche.
Con l’attivazione del Reddito di Assenza, nel lungo periodo si risanerebbero settori disastrati del nostro sistema pubblico: sanità, scuola, trasporti… Altri, dell’imprenditoria privata, rifiorirebbero.
Credo che non ci siano dubbi, c’è solo un provvedimento che può rilanciare questo paese: il Reddito di Assenza.
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