L’ARCHRITICO Camus lo straniero
Albert Camus, nato in Algeria da genitori coloni francesi, straniero si sentiva per davvero. Troppo europeo per il nord Africa, troppo
“Oggi è morta mia mamma. O forse ieri, non so”.
Potrebbe bastare il suo incipit, memorabile, tra i più celebri della letteratura, per descrivere senza possibilità di errore “Lo straniero”, di Camus, quello che secondo Le Monde sarebbe il miglior romanzo del XX secolo.
Al di là dello sciovinismo transalpino, “Lo straniero” (L’etrangèr) è uno dei primi libri che andrebbe letto nelle scuole di scrittura, come prototipo di un modo straniante ed innovativo di raccontare una storia peraltro piuttosto semplice e breve (circa 100 pagine). Il libro, pubblicato nel 1942 da Gallimard, consegnò all’autore immediata notorietà.
Albert Camus, nato in Algeria da genitori coloni francesi, straniero si sentiva per davvero. Troppo europeo per il nord Africa, troppo algerino per i francesi. Ma in realtà non è di quello spaesamento che si occupa il romanzo. E’ la storia dell’operaio Meursault, impassibile spettatore della sua insignificante vita, che, quasi per caso, finirà per commettere un delitto ed essere processato da un tribunale al quale non interessa il destino dell’imputato ma solamente giudicare la sua vita.
Camus esplicita il pensiero del protagonista, io narrante, cucendogli addosso, come un vestito sartoriale, un linguaggio asciutto fatto di pensieri essenziali e verbi all’imperfetto.
Ad ogni virgolettato sembra sentire la sua voce.
Scaraventato sul palcoscenico, Meursault assiste alla commedia tragica della sua vita senza ostacolarne il flusso. Inemozionale e incapace di dare un senso nemmeno al singolo gesto, lo straniero di Camus è vittima di un mondo assurdo e incomprensibile nel quale non individua nessun motivo di felicità se non il godimento, passeggero, del singolo momento.
Per il lettore, ben presto disorientato, è quasi impossibile nutrire nei suoi confronti qualsiasi forma di empatia.
Così, prigioniero ed in attesa di essere decapitato, Meursault assapora il fascino dei tramonti e dei profumi dell’estate algerina, senza cercare redenzione né perdono.
Un’anima senza valori e senza Dio che in realtà non appartenne mai al Camus uomo che all’impegno politico dedicò gran parte della sua vita e che filtrerà, sotto forma di solidarietà tra gli uomini, in suoi libri successivi come “La peste” o “La caduta”.
“Lo straniero” ha le stimmate del classico per la capacità di rimanere sempre attuale. Oggi Meursault torna come simbolo di una generazione sperduta e incompleta. Prigioniera senza condanna, incapace di farsi domande. Pur nella sua durezza, andrebbe letto soprattutto dai più giovani.
Piegato dalla tubercolosi, Camus ricevette nel 1957, a soli 44 anni, il premio Nobel per la letteratura, ma non fu, tre anni dopo, la malattia ad ucciderlo; bensì, ironia della sorte, proprio quello che egli riteneva il modo più assurdo per morire: un incidente stradale.
In compagnia di colui che era alla guida e che per primo aveva creduto nel suo talento di scrittore: il suo editore Michel Gallimard.
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