E’ curioso come una delle opere di architettura più iconiche del novecento italiano, non sia di un architetto (e nemmeno di un ingegnere), ma frutto dell’immaginazione di un committente acuto e indisciplinato: Curzio Malaparte.
Curzio Malaparte (nome d’arte di Curt Erich Suckert) nel corso della sua vita fu quasi tutto: scrittore (innanzitutto), regista, giornalista, sceneggiatore, saggista, poeta, attore; manca nella sua biografia il ruolo di architetto, eppure fu direttamente lui a sovvertire il progetto di Adalberto Libera e ad avere l’intuizione della grande scala che conduce alla copertura-solarium di Villa Malaparte sugli scogli di punta Masullo di fronte ai faraglioni, a Capri.
Le fonti raccontano che Malaparte comprò il terreno nel 1936 quando, in visita al medico-scrittore Axel Munthe, giunse a Capri, e che successivamente, grazie all’amicizia con Galeazzo Ciano, ottenne la necessaria licenza edilizia.
Costruita tra il 1938 ed il 1940, dopo il confino fascista di Malaparte (prima a Lipari e poi in Toscana), la villa è un blocco tinteggiato di rosso-pompeiano calato sulle rocce. Lo scrittore disse di aver voluto lui le quattro grandi finestre del soggiorno, ognuna con un panorama differente. La definiva “Casa come me”.
Vi tornò per stabilirsi nel 1943, alla caduta di Mussolini, dopo aver comandato un reggimento di alpini sul fronte greco, essere stato arrestato, rilasciato e combattuto per il regio esercito. Qui scrisse i suoi due romanzi più noti: “Kaputt” e “La pelle”.
Adalberto Libera, che pure fu uno degli architetti più noti tra i razionalisti italiani, non la includeva tra i suoi lavori. Dopo aver consegnato a Malaparte il progetto ne fu estromesso, fu il committente a dirigerne i lavori, disegnandola daccapo.
Sul testamento Malaparte la indicò come sede per dare ospitalità, studio e lavoro agli artisti cinesi a Capri. Gli eredi hanno impugnato tale volontà fino ad acquisirne la proprietà, oggi è un abitazione privata e non visitabile.
Villa Malaparte viene ritenuta un esempio di integrazione tra modernità ed ambiente naturale, ma i pareri dei critici non sono stati mai concordi.
Zevi la definì “un segno faraonico, incompatibile con il paesaggio, ma così forte da offrirne un’alternativa stupenda”.
Per Argan non vi è “nessun mimetismo, nessun naturalismo mediterraneo, né cadenza vernacolare. La migliore opera suprematista del XX secolo”.
Anni e anni di dibattiti sul genius-loci e l’inserimento paesaggistico, sull’architettura organica e sulla sostenibilità, sono, ancora oggi, spazzati via dall’incanto del fuori scala della scala esterna, in equilibrio sull’orizzonte.
Villa Malaparte rappresenta un episodio irripetibile nella vicenda architettonica italiana.
Suscita più stupore o rabbia che l’abbia concepita un intellettuale ribelle e non un architetto?
A Villa Malaparte sono ambientante alcune scene del film “Il disprezzo” (Le Mèpris, 1963) di Jean_Luc Godard con Brigitte Bardot tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia (scena visibile al link: www.youtube.com/watch?v=zs4T6SbjLhY)
Recentemente Loius Vitton ha ambientato in Villa Malaparte uno spot per un profumo, la protagonista è Emma Stone (visibile al link: www.youtube.com/watch?v=fFv5smPPuZo).
Foto tratte da: domusweb.it – elledecor.com – isola-di-capri.it – pinterest.com