Oggi ricorre l’anniversario di una delle più disastrose sconfitte subite dall’Italia, tanto da essere entrata nel nostro vocabolario: la disfatta di Caporetto. Cento anni fa, il 24 ottobre 1917, l’esercito austro-tedesco inflisse alle nostre armate una devastante disfatta che rischiò seriamente di far perdere la guerra al giovane Stato italiano.
In quella località che oggi è in Slovenia e si chiama Kobarid, si consumò uno degli episodi più drammatici della nostra storia, dove il valore dei singoli fu offuscato dal tracollo collettivo a partire dalla catena di comando.
Era il terzo anno di quella che è passata alla storia come la I Guerra Mondiale, la Grande Guerra, alla quale l’Italia prese parte dopo un lungo dibattito interno tra neutralisti ed interventisti. Alla fine prevalsero questi ultimi e il nostro paese si schierò contro quelli che erano in origine i nostri alleati della Triplice Alleanza, Germania e Austria.
L’esercito italiano scese in guerra nel maggio del 1915 assolutamente impreparato: militarmente e moralmente. Entrammo in guerra con un armamento preistorico. Le bombe a mano erano sconosciute, gli ufficiali parteciparono ai primi combattimenti con la sciabola e vestiti in modo da essere subito colpiti, l’aviazione non funzionava. Fra l’artiglieria e le fanterie nessun serio collegamento, nessun segnale: l’artiglieria nostra finiva per sparare sui nostri fanti. Si pretendeva tagliare i reticolati con le pinze a mano e con i tubi di gelatina. In questo impossibile compito furono sacrificati i migliori elementi della fanteria. I superiori mandavano al macello, contro reticolati intatti, masse di uomini.
Erano queste le condizioni in cui versava l’esercito regio in quella fatale alba. Alle 2 del mattino iniziò la battaglia con un intenso fuoco delle artiglierie austriache e tedesche. I comandi italiani, che avevano ordinato alle truppe di adottare un assetto difensivo, non avevano dato ascolto alle “intelligence” che avevano raccolto le confessioni di alcuni disertori rumeni. Una comunicazione tedesca intercettata fissava anche l’ora dell’attacco: le 2 del mattino. E l’attacco puntualmente partì, devastante, con il lancio di gas e colpi di cannone. Alle 15,30 le divisioni nemiche, dopo aver raggiunto Caporetto, dilagarono attuando nuove tattiche di una guerra non solo di posizione, ma anche di movimento. A fine giornata la conta delle perdite italiane fu altissima. Le trincee italiane furono travolte e, dopo due giorni di battaglia, il generale Cadorna ordinò di ritirarsi dietro il Piave, 200 km a sud-ovest rispetto alle posizioni iniziali.
La battaglia di Caporetto durò fino al 12 novembre e costò la vita a 12mila soldati italiani, altri 30mila furono feriti e 265mila fatti prigionieri. Cadorna fu rimosso e sostituito dal generale Diaz. Migliorò il trattamento dei soldati e si presero misure importanti per sollevarne il morale. La linea del Piave resse e fu da lì, il 24 ottobre dell’anno successivo, che partì l’offensiva finale che il 4 novembre 1918 a Vittorio Veneto pose fine vittoriosamente alla I Guerra Mondiale