Può angosciare ma non sorprendere la notizia dell’arresto nella porta accanto di un presunto terrorista. Il virus del fanatismo cambia ceppo nel tempo, ma continua a fermentare nelle periferie sociali e culturali della società, laddove il disagio, in mancanza di risposte adeguate, assume connotazioni di tipo ideologico o religioso.
La mistica della “lotta armata” non è estranea alla cronaca di fatti che hanno accompagnato lo sviluppo degli assetti politici e sociali dell’Europa occidentale: si è manifestata con le Br in Italia e la Raf in Germania ed ha alimentato l’indipendentismo basco in Spagna con l’Eta e dell’Irlanda con l’Ira nel Regno Unito.
Diversa è la fonte di ispirazione del fanatismo jihadista che sta alimentando una nuova ondata di terrorismo in Europa e fa proseliti anche nelle sue stesse città. Si tratta di un fenomeno che non trova paradigmi nella storia recente delle relazioni tra il mondo cristiano e quello islamico, né è configurabile negli schemi convenzionali della conflittualità che ha avuto come radici la diversità di culture o la conquista o il dominio di spazi economici.
Di certo è fuorviante confondere il terrorismo con l’Islam: cancelleremmo 14 secoli di cultura musulmana di cui le città europee portano i segni nelle architetture, anche in luoghi di culto cristiano, e nella stessa lingua della conoscenza scientifica e delle scienze umane.
Sul piano politico e dei costumi permangono stridenti contrasti. Ma, la diversità non giustifica coperture fondamentaliste in difesa di integrità che, da un lato, rasentano la xenofobia e, dall’altro, legittimano la decapitazione dei cosiddetti infedeli.
Si è rotto nel teatro dei paesi del Mediterraneo un equilibrio consolidato su assetti geopolitici costruiti attraverso poteri di influenza militare o di dominio economico. Ora, come una sorta di legge del contrappasso, si rincorrono le responsabilità di chi ha fatto le guerre, e vuole continuarle, per esportare la democrazia dove è un disvalore rispetto alle culture locali e di chi esporta attentati e terrore nelle città e nei luoghi ritenuti devianti per la fede musulmana e contestati come sedi di dominio economico e culturale.
In questo scontro asimmetrico delle forze in campo non meraviglia tanto il reclutamento jihadista attuato nel “territorio nemico” quanto l’imprevidenza dei governi europei per la manifesta incapacità, finora dimostrata, nel contrastare il terrorismo sia sul piano militare che dei risentimenti che ne esaltano la mistica.
L’integrazione non è una semplice operazione di ordine pubblico, funziona se serve alla salvaguardia di convivenze fondate su diritti di cittadinanza riconosciuti ed esercitabili. Le alternative, nell’intento di individuare o catturare il terrorista di turno nel mare magnum dell’immigrazione di massa, sono o la caccia alle streghe, come preludio allo stato di polizia, o lasciare il controllo delle periferie sociali alla criminalità organizzata.
Come dire che si può fare anche a meno dello stato di diritto e della democrazia che ne è la precondizione, a prescindere che sia esportabile o no come valore e praticabile come cultura di scambio.