Il 2 giugno non ricorre soltanto il settantennio della Repubblica, ma anche quello dell’Assemblea Costituente, la cui elezione rappresentò il ritorno alla democrazia parlamentare dopo 22 anni di buio.
L’Assemblea celebrò nell’aula di Montecitorio la sua prima seduta (cui fecero seguito altre 346) che si tenne il 25 giugno del 1946. L’ultima il 31 gennaio del 1948. L’attività strettamente legata all’elaborazione della Carta impegnò 272 giornate lavorative. Questa imponente mole di lavoro, che aveva visto una importante preparazione nell’attività della Consulta Nazionale e nell’impegno istituzionale del Ministero della Costituente e della Commissione per la Costituzione, venne svolta da 556 deputati in rappresentanza di 16 liste.
Cerco di non lasciarmi vincere dalla tentazione celebrativistica, peraltro particolarmente florida nel nostro paese, ma credo che potrebbe apparire appropriato ricordare questa importante ricorrenza di quella storica assemblea in un passaggio, come quello che stiamo vivendo, in cui il popolo verrà interpellato per un referendum costituzionale che investe aspetti di non lievi rispetto all’impianto originale della Carta, mettendo mano a più di un terzo degli articoli della Costituzione.
I fiumi di retorica “preventiva” che si stanno versando in questa lunga attesa dell’avvio della interminabile campagna referendaria (tecnicamente non ancora partita, perché non è stata ancora definita la data di celebrazione), sparsi equamente tra il no e il sì, non hanno proprio nulla a che vedere con il dibattito pubblico che si animò nelle riviste e nei quotidiani nazionali nel biennio costituente, dibattito che fu oggetto di una fondamentale ricerca del compianto Roberto Ruffilli nel 1978.
Ieri, i tre grandi filoni della cultura politica italiana, il cattolico-democratico, il social-comunista e il laico-liberale si incontravano per concepire il disegno di un grande “compromesso costituzionale”, capace di realizzare non solo una rottura di continuità con la lunga stagione del fascismo, ma anche di aprire il paese ad una democrazia pluralista capace di una grande sensibilità sociale.
Oggi, si celebrano baruffe ideologiche senza, però, avere il beneficio di un’ideologia, consumate sottoforma di brutti spot televisivi: conflitti “a prescindere”, in cui il merito è sconosciuto.
Mi domando se fino ad ottobre (o a quando sarà) la pubblica opinione riuscirà a mantenere un livello di consapevolezza o resterà sopraffatta dal rumore di fondo che accompagna ogni giorno la cronaca politica, decidendo che no, non è proprio il caso di andare a votare.
E’ un rischio serio se il dibattito continuerà a svolgersi con i toni dell’invettiva e della contrapposizione violenta, senza sfiorare veramente un solo tema. Per questo tornare a riflettere sul lavoro dei Padri costituenti, senza retorica, ma con curiosità storica, può essere un esercizio per l’igiene mentale.