scritto da Pino Pisicchio - 26 Luglio 2016 10:37

I nuovi mostri

Prima abbiamo dovuto imparare in fretta parole come foreign fighters, letteralmente “combattenti stranieri”, cittadini d’Europa, figli di quarte e terze generazioni di immigrati musulmani, soldati di quella sciagurata legione straniera reclutata dall’ISIS,  dapprima apparsi con il loro carico letale di violenza e di morte in Francia ed Inghilterra e poi, via via presenti un po’ dappertutto nel continente.

Ci abbiamo messo del tempo a venir fuori dai nostri tabù culturali, quelli su cui abbiamo costruito la nostra umanità e che trovano, alla resa dei conti, sempre il limite estremo della vita, almeno di quella nostra: si può essere anche un efferato assassino, certamente, ma non di se stesso. Non da noi, se non si è insani di mente.

La figura del kamikaze non è catalogata nei comportamenti della civiltà europea: non certamente nella religione,non nella cultura e neanche  nella mitologia, se non in qualche residuale episodio guerresco. Abbiamo imparato a conoscere anche questo orrore, che comunque appartiene ad un catalogo di orrori  che si collega ad un centro d’imputazione, l’Isis, appunto, che ha le sue efferate centrali ed è persino tracciabile, in qualche modo, nelle sue perversioni: follow the money, dicono gli americani, segui la scia del denaro e arrivi dove devi. Ma oggi abbiamo qualcosa di più: abbiamo gli assassini “copycat”, gli emolatori frustrati, con il super-io a pezzi, completamente scollegati da tutto, centrali del terrore comprese, che usano lo stragismo come lenimento al proprio male di vivere.

E poi, dopo aver ammazzato un bel po’ di gente, s’ammazzano pure loro, magari dopo aver postato un selfie in qualche social network o nello smartphone della mamma.

Se l’assassino seriale di Nizza, che sicuramente risponde al profilo psicolabile di chi ha l’autostima sotto le suole delle scarpe, può aver avuto contatti con gli assassini  professionisti dell’Isis, quello di Monaco sembrerebbe l’epifania di una nuova formula omicida, più simile a quella dei  giovani stragisti nei campus, nei cinema o nei centri commerciali  americani. Uccidere per odio infinito, certo, ma anche  per il quarto d’ora di notorietà, per dirla alla Wharol.

Un ruolo decisivo viene svolto dagli onanismi pericolosi dei nuovi media, con cui si tende a soddisfare, in mancanza di vita vera, l’esigenza di riprodurre la realtà, di sintetizzare la concretezza del quotidiano, che non si è capaci di elaborate nella vita off-line. Si chiama “Psicotecnologia” ed indica gli strumenti capaci di emulare e ampliare il potere della psiche. In un illuminante libro di vent’anni fa, due ricercatori americani Pratkanis e Aronson, spiegavano come gente tipo il reverendo Jim Jones nel 1978 potesse indurre al suicidio collettivo e consapevole 914 membri della setta religiosa da lui fondata, “il Tempio del popolo di Jones”. Menti fragili e in grave difficoltà che trovavano nella promessa di un aldilà, migliore della miseranda vita portata avanti con fatica, il desiderabile ristoro.

Morale della favola: qualcuno ricorderà che qualche anno fa quelli che apparivano come  normalissimi ragazzi italiani si trasformarono in pericolosi assassini gettando pietre dal parapetto delle autostrade eccitandosi per l’effetto che faceva nei media la notizia. Poi misero le reti ai parapetti e la cosa finì.

Che una certa attenzione ai nostri simili, nelle nostre comunità, piuttosto che la chiusura ermetica nel particulare della nostra vita possa aiutarci un poco?

Chissà. Varrebbe la pena provarci, però.

Pino Pisicchio

Presidente del gruppo Misto alla Camera

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