Giochi d’artificio in vista del referendum sulla giustizia
Nessuna compagine governativa dell’era repubblicana può dirsi tanto inquisita da Procure e giudicata in sedi giurisdizionali quanto quella attuale
Nei rumorosi botti finali dei giochi d’artificio si può intravedere la metafora del clamore suscitato dalle decisioni assunte dal Tribunale dei Ministri sul caso di scarcerazione e rimpatrio del Generale libico Osama Najeem Almasri accusato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) di torture, stupri e delitti contro l’umanità.
Pur riconoscendo di “avere agito per tutelare l’interesse nazionale”, il Tribunale ha ravvisato passaggi illegali nei comportamenti dei Ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del Sottosegretario Alfredo Mantovano e perciò ne ha disposto la richiesta al Parlamento di autorizzazione a procedere, mentre ha formulato l’archiviazione delle indagini per la Premier Giorgia Meloni.
Secondo la premier si tratta di una determinazione “surreale”, perché le decisioni che attengono al governo non si assumono a sua insaputa. E rivendicando sullo specifico caso Almasri la propria responsabilità politica ha aperto, da quando si è insediata a Palazzo Chigi, una nuova finestra di contestazioni sia politicanti che togate su atti del suo Governo.
Rituali le prime nella dialettica parlamentare, inconsuete le seconde in un contesto istituzionale di rapporti ed esercizio di poteri tra organi dello Stato.
Nessuna compagine governativa dell’era repubblicana può dirsi tanto inquisita da Procure e giudicata in sedi giurisdizionali quanto quella attuale. La relativa materia di attenzione non è paragonabile al fenomeno di Tangentopoli, che ha segnato il dissolvimento della cosiddetta prima Repubblica, non solo dal punto di vista storico ma soprattutto ontologico. Perché, allora riguardava patti corruttivi di sistema tra partitocrazia, imprenditoria, mafia e devianze di apparati di sicurezza e della pubblica Amministrazione, diversamente dalla dialettica sulla legittimazione, pretestuosa o meno, di atti legislativi rispetto alla Costituzione, Carte di diritti o Corti di Giustizia.
Sul punto ci sono più conti aperti, tra il primato della politica o della giurisdizione nella identificazione della sicurezza dei paesi di provenienza degli immigrati irregolari e del loro trattamento e trattenimento nel territorio nazionale o extra (caso Albania), e tra le stesse interpretazioni delle stragi di mafia da cui affiorano depistaggi investigativi togati e di quella di Bologna, cristallizzata sugli esecutori, identificati in sentenze definitive, ma poco illuminata sull’ordito eversivo sul quale incombono ombre già denunziate da Francesco Cossiga, nella qualità di Presidente della Repubblica, rendendo “scusa al MSI” da accuse infamanti, ora riproposte nel mainstream mediatico antimeloniano.
In questa sorta di assedio, la Premier intravede “un disegno politico dei magistrati che starebbero mettendo in atto contro la maggioranza” in risposta “alla riforma della giustizia che procede a passi spediti”: affermazione contestata dall’ANM, definita “eversiva” da Elly Schlein (PD) ed in bocca a “dilettanti allo sbaraglio” secondo Matteo Renzi. In questo bailamme da campagna elettorale anche il duo Fratoianni e Bonelli (Avs) vuole la sua parte denunciando il Governo alla Corte Penale Internazionale per “genocidio in atto a Gaza”, a “caccia di golpe giudiziario” ribatte Giorgia Meloni. E non è da sottovalutare una riapertura delle indagini su possibili responsabilità della Premier nel caso Almasri ipotizzate dall’avvocato Francesco Romeo, legale di Lam Magok Rial Puei vittima del generale libico.
A prescindere dagli iter delle autorizzazioni a procedere, già incardinate in Parlamento, non si intravede un raffreddamento del linguaggio, né una ragionata riflessione sulla scarsa partecipazione del corpo elettorale al voto. Più che una partita a scacchi, da una parte e dall’altra, la campagna referendaria sarà un “ring” come atto dovuto.
Ciascuna per coerenza o esistenza, resistenza o sopravvivenza!







