La felicità in una spatola e in un pennello
L’arte dovrebbe essere una forma sincopata e sintetica di ammissione di incompletezza
L’arte contemporanea è disillusa, ammaestrata, soggiogante e completa.
Parlando con diversi amici sono giunta alla conclusione che l’arte per essere considerata tale dovrebbe avere qualcosa di incompleto, di percettibile ai sensi e che dia nuova linfa al nostro spirito. È vero dunque che l’arte dovrebbe far riflettere?
Dopo il dadaismo e la distruzione delle nostre certezze iniziata con il cubismo, la crisi dei valori arcani non solo di bellezza e gli stereotipi, si andò creando piano piano una nuova arte, l’arte della percezione. La percezione dell’io individuale, la percezione dell’io intimo. Ed è per questo che adoro artisti come Hopper che hanno una marcia in più rispetto al tuttavia non semplicissimo ritratto iperrealista. Dell’iperrealismo lui riprende il principio ma con uno sguardo molto più introspettivo, donando al fruitore un’esperienza quasi indecifrabile ed anche incompleta. Tutto sommato il mondo ha ancora da completarsi e chi siamo noi per dare completezza a ciò che facciamo? Ecco anche la bellezza degli incompiuti del bruto, dello schizzo, della perfezione nell’imperfezione che diventa monito ad evolversi e autorealizzarsi. E se l’arte fosse semplicemente un’idea? Che tipo di idea dovrebbe essere? Le correnti artistiche sono l’esempio palese di questa voglia di riconoscersi.
Quindi vorrei far riflettere su un punto: perché l’essere umano ha smesso di mettere insieme idee per rivedersi nell’arte altrui? Ha vinto forse la perfezione ed il perfezionamento a discapito della libera espressione?
Io sono un’artista, autodidatta e anche molto solitaria. Mi considero un’artista naive-fauvista se dovessi descrivermi con delle categorie del passato. So che la mia arte sarà diversa da quelle di ogni singolo artista presente sul globo terrestre! Ma perché? Vi prego non ditemi che anche a noi artisti ci hanno messi l’uno contro l’altro per il dio denaro! (rido n.d)
Non vi nego di essere anche alquanto scoraggiata dalla compravendita di opere d’arte usa e getta che valgono più di quanto in realtà stia costando la guerra in Palestina. A questo punto mi verrebbe spontaneo fare una critica ai tempi che corrono con molto disfattismo.
C’è chi fa arte per il piacere, chi lo fa per noia chi per professione (cit. De Andrè). Ed anche noi siamo diventati così. Platone attraverso Trasimaco parlava di giustizia come utile del più forte! E noi da che parte stiamo?
Lungi da me la ribellione, la passione. Torniamo per un attimo alla dignità dell’arte, alla dignità delle nostre vite. Art for art’s sake. Life for life’s sake. Qual è il senso della nostra vita? E se l’dea a cui ricorrere per fare arte fosse la bellezza della vita stessa? La bellezza dei luoghi? La purezza dei suoni? La coordinazione dei movimenti? La danza di Matisse segna ad esempio una pietra miliare sia nella vita artistica dello stesso sia nel mondo dell’arte.
L’arte dovrebbe essere una forma sincopata e sintetica di ammissione di incompletezza.
E secondo voi, se il mondo di oggi dovesse finire in un oggetto o mestiere, non finirebbe anche per voi nell’arte, piuttosto che far finire le nostre vite e la nostra arte in un cassonetto?
Allora ricicliamo e barattiamo ma sappiamo fermarci, riflettere, ipotizzare e avanzare più sicuri di essere incompleti? Possiamo smettere di distruggere e creare ponti? Possiamo smettere di essere indifferenti e ignoranti e amare noi stessi senza categorizzarci come pro o contro una data idea o un dato sistema di idee?
La felicità è nell’amore e l’amore lo si dimostra creando il mondo di amore in modo felice.
Dedicato alla ricerca della felicità in un mondo infelice.