scritto da Angela Senatore - 23 Luglio 2023 08:02

Barbie lotta al patriarcato?

Barbie The Movie è finalmente fuori.

Uscito in Italia il 20 luglio scorso, l’attesissimo film prodotto da Warner Bros registra 2.178.000 euro di incassi solo nel primo giorno di uscita, guadagnandosi il podio della miglior apertura al box office del 2023 il che, per un film che esce nelle sale in piena estate e in piena crisi del cinema, sa già di miracolo. Facendo un semplicistico calcolo, solo nel primo giorno oltre 200mila persone sono andate al cinema a vedere il film: incredibile.

Confesso che io stessa non frequentavo il cinema da un po’ di tempo, dunque evidentemente non starò qui a parlarvi da critica cinematografica della interpretazione mirabile di Margot Robbie o di quella di Ryan Gosling (per la quale già si parla di Oscar) né dei tantissimi omaggi a film che hanno fatto la storia come 2001 Odissea nello spazio, solo per citarne uno.

Posso dirvi però che Barbie è un film da vedere perché vi farà discutere e, in qualche caso, riflettere.

Partiamo dall’inizio.

L’incipit del film vale già la sua visione per la potenza evocativa che promana. La prima Barbie approda sulla Terra: costume a righe bianco e nero, occhiali da sole, fisico statuario, curve da brividi, sandali con tacco. Le bambine, fino a quel momento abituate a giocare a fare le mammine e le casalinghe, restano folgorate: si strappano i grembiuli, distruggono (o ammazzano) i propri bambini giocattolo, fanno in pezzi le stoviglie. Grazie a Barbie si liberano dalla loro gabbia. È la rivoluzione. Le bambine possono giocare ad essere quello che vogliono e loro ora vogliono essere lei, quel prototipo di splendore. Ricordiamoci che siamo negli USA alla fine degli anni Cinquanta. Dopo la Grande Guerra, il Paese, al netto delle contraddizioni che lo distingueranno sempre, sta rinascendo, il mondo del cinema va a gonfie vele e nascono icone come Marilyn Monroe, Ava Gardner, Audrey Hepburn, Jackie Kennedy.

Il principio è già la fine: da discusso prodotto del patriarcato quale Barbie è stata considerata negli ultimi anni, Barbie diventa paladina del femminismo, strumento di liberazione, icona dell’empowerment femminile.

Alla Mattel sono geniali, nulla da dire. È un fatto che negli ultimi anni la Barbie, con il suo corpo perfetto, sia stata al centro di molte critiche e il fatto che la Mattel abbia prodotto anche Barbie dalla pelle nera, Barbie disabile e insomma Barbie nelle quali potessero davvero riconoscersi tutte non era stata una operazione probabilmente sufficiente a riabilitare la bambola.

Riflettendoci è un po’ quello che succede a star reali come Emily Ratajkowski o Chiara Ferragni. Entrambe si dichiarano femministe ma entrambe col proprio corpo lavorano, entrambe lo pubblicano, si pubblicano, in pose ammiccanti e seminude. Entrambe sostengono che la loro sia una dichiarazione di proprietà di se stesse (il corpo è mio e faccio ciò che voglio) , i detrattori sostengono che con le loro vite e pose non facciano altro che alimentare capitalismo e consumismo che sul patriarcato trovano il loro fondamento.

Dove sta la verità? Come sempre forse nel mezzo. Corto circuiti ce ne sono ma, come di recente ha detto Michela Murgia, non bisogna mai cadere nel tranello di farsi la guerra per il fondamentalismo femminista. Ognuna porta in campo la battaglia nel modo che le sembra più efficace, guai a giudicare.

Il fatto di essere belle, ai limiti della perfezione, e di avere tutto, non può diventare, come per gli haters, la colpa, il peccato originale, per cui queste donne non possono farsi portatrici di valore e soprattutto non potrebbero/dovrebbero avere fragilità. My body, il libro bestseller della Ratajkowski, lo spiega molto bene. In Barbie il concetto è ripreso e sviluppato. Barbie stereotipo, la perfetta Margot Robbie, si scopre fragile: la vita non è mai felicità perenne, è anche dubbi, paure, ricerca di sé. Questo non è ammissibile per una Barbie, che vive nel mondo di Barbieland che è un mondo fantastico, da sogno, ma è ammissibile per una donna, anzi, è normale, questo è il mondo reale. Barbie stereotipo è finta (infatti non ha i genitali!) e questo la differenzia da una donna in carne ed ossa, una donna reale appunto, con tutte le sfaccettature. Chi vuole essere Barbie? Dipende da lei e sarà la grande scelta finale.

È un inno all’accettazione di sé. Non siamo perfette e non possiamo esserlo né dobbiamo sforzarci di sembrarlo. Siamo così, dolcemente complicate. Perché voler sembrare ciò che non siamo?

Al tempo stesso, Barbie si fa portatrice del messaggio che possiamo essere tutto ciò che vogliamo. Barbie è Presidente dell’America, è una fisica, una astronauta, una dottoressa. Ma allora una donna per valere deve essere per forza straordinaria? No. È America Ferrera, nel ruolo di Gloria (un nome un significato), la donna umana che stavolta ci insegna: una donna per essere tale può anche “semplicemente” essere ordinaria. Può voler essere una mamma, o una mamma Presidente, o una Presidente non mamma. Questo significa davvero essere tutto ciò che si vuole, realizzare se stesse.

E Ken? E gli uomini? Se gli uomini nel mondo reale comandano, i Ken in Barbieland sono relegati a mere appendici di Barbie, soggetti senza carattere. Non è neanche questo il mondo ideale ovviamente. La novità è che anche loro hanno da liberarsi, anche loro hanno da imparare. Femminismo  non è patriarcato alla rovescia dove le donne comandano e gli uomini soccombono. Femminismo è un mondo nel quale gli stereotipi di genere sono finalmente abbattuti: una realtà nella quale l’uomo può piangere, se ne sente il bisogno, può svestirsi del ruolo di leader e giocare a farsi il solletico con i compagni anziché vestire un doppiopetto e prendere decisioni serie tutto il tempo. Anche gli uomini non devono sempre e per forza dimostrare di essere qualcuno per affermarsi, essere se stessi è già abbastanza..

In definitiva, siamo di fronte ad una grande operazione di marketing per riabilitare una bambola tacciata di essere la personificazione del male del mondo o Barbie è davvero una icona femminista nella lotta al patriarcato? Ai posteri l’ardua sentenza. Per quanto riguarda, Barbie non è mai stata il prototipo di ragazza bella e stupida o il modello di apparenza irraggiungibile ma sempre una compagna di giochi meravigliosa che mi ha fatto sognare per anni e pensare che “yes, we can”.

Giornalista pubblicista, collabora con Ulisse online dal 2021 occupandosi principalmente della pagina culturale e di critica letteraria. È stata curatrice della rassegna letteraria Caffè letterari metelliani organizzata da Ulisse online e IIS Della Corte Vanvitelli e ha collaborato con Telespazio in occasione del Premio Com&te. È da maggio 2023 responsabile della Comunicazione di Fabi Salerno. Abilitata all’esercizio della professione forense, lavora in una delle principali banche italiane con specializzazione nel settore del credito fondiario.

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