Qualche giorno fa ho scritto che questo non è un paese per bambini, probabilmente non lo è nemmeno per adolescenti, forse questo è un paese per nessuno.
Torna periodicamente a galla la drammatica vicenda di Yara Gambirasio, la tredicenne trovata ammazzata in un campo alla periferia della cittadina di Brembate di Sopra in provincia di Bergamo, in località Chignolo d’Isola, il 26 novembre 2010.
Per quell’omicidio, dopo lunghe e laboriose indagini, venne individuato il probabile assassino, Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore che si era invaghito della ragazzina e che la rapì per abusarla e, alle reazioni di lei, l’ammazzò; la ragazzina non morì subito, e ciò aggravò lo strazio per quel delitto.
Bossetti aveva fatto le cose con “oculatezza” tant’è che fu difficile individuarlo: originariamente la Magistratura lo designò come “Ignoto 1”.
Le indagini furono davvero laboriose, sembra anche per il contesto ambientale nel quale era avvenuto il delitto, e a capo della vicenda si giunse solo grazie a numerosissimi accertamenti sul dna trovato sul corpo della povera Yara, che venne confrontato con quello di migliaia di persone e che, alla fine, portarono alla individuazione di una donna, risultata poi essere la madre naturale del Bossetti, frutto di un amore adulterino.
Il Bossetti, dopo tre gradi di giudizio, venne definitivamente condannato all’ergastolo anche dalla Corte di Cassazione, la cui prima sezione penale, in data 23 novembre 2018, ha emesso la sentenza n. 52872 riconoscendolo colpevole oltre ogni dubbio.
La vicenda però viene periodicamente a galla perché il Bossetti continua a proclamarsi innocente e numerosi sono i suoi sostenitori i quali asseriscono che i risultati del confronto del dna sia stato falsato da una serie di circostanze negative per il Bossetti.
Pure recentemente, una esperta del settore, la criminologa Anna Vagli, che dal 2011 si è occupata del caso, ha spiegato, in una lunga e dettagliata relazione, i motivi in base ai quali le pretese di innocenza del Bossetti sono infondate in quanto tutte le indagini che l’hanno incastrato, e sulla base delle quali in tutti i gradi di giudizio è stato condannato, sono ineccepibili.
Tutto ora è partito da numerosi messaggi di contenuto erotico che il detenuto Bossetti avrebbe indirizzato ad una detenuta dello stesso carcere, quello di Bergamo, dai quali riemergerebbe la personalità del Bossetti che probabilmente lo indusse a compiere l’atroce delitto di Yara.
“Di fronte al faro dell’indagine – spiega Anna Vagli – alla prova diretta e all’inconfutabile firma del Bossetti sugli slip di Yara, la difesa, affiancata da una sfilza di ultras innocentisti ha urlato allo scandalo, sostenendo la creazione in laboratorio di un DNA artificioso. Insomma, di un codice genetico sintetico malauguratamente appartenente al Sig. Bossetti. Non ad un pescatore siciliano o a un pastore sardo ma ad un muratore della bassa bergamasca”.
“Giusto per conoscenza -prosegue la criminologa- due pillole di genetica. A seguito di un’indagine faticosa, è stato isolato il DNA di “Ignoto 1”, ricondotto dopo innumerevoli campionamenti proprio a Bossetti. Il DNA si classifica in nucleare e mitocondriale. Il primo rappresenta il marchio di fabbrica di ciascuno di noi, contenendo i geni di entrambi i genitori, mentre il secondo indica esclusivamente la linea materna. E, tanto per dire, in genetica forense non si indaga mai il DNA mitocondriale in quanto, trasmettendosi solo da madre in figlio, non può reputarsi identificativo di un soggetto. Dunque, combaciando il nucleare isolato sugli slip con quello dell’assassino, non pare un atto di fede ma una certezza affermare che Yara è stata portata in quel campo dal Bossetti. Il DNA, anche se per alcuni può risultare difficile crederlo, non vola. Il resto sono favole”.
La criminologa prosegue con un dettagliato approfondimento relativo alle donne di casa Bossetti, la prima delle quali, la madre Ester Arzuffi, ha sempre dichiarato di non aver avuto nessun rapporto sessuale con quell’autista di Gorno, e, ciliegina sulla favola, ha sostenuto che il ginecologo l’avrebbe inseminata artificialmente a sua insaputa; una adultera che, invece di mimetizzarsi, ha voluto strafare e si è beccata anche una querela dai familiari del ginecologo defunto.
La vicenda della madre è sintomatica della credibilità di Bossetti, ma se questa non bastasse, v’è quella della sorella gemella Laura, la quale avrebbe denunciato quattro volte all’autorità giudiziaria di essere stata percossa per aver difeso il fratello, cosa risultata falsa; insomma una specie di circo equestre a difesa di un assassino oramai conclamato.
Ma non finisce qui; non è chiaro, infatti, il perché centinaia di persone abbiano intrapreso una specie di crociata in favore del Bossetti, basata sul presupposto che le indagini sul DNA siano false: perché avrebbero dovuto esserlo? a vantaggio di chi la falsificazione? Tutto nebuloso e campato in aria, evidentemente orchestrate da una sapiente regia facilmente individuabile.
Probabilmente dietro tutto questo baraccone, questa specie di Circo Barnum, nel quale tutto poteva accadere, ci sono interessi economici che potrebbero favorire la famiglia Bossetti la quale, montando quell’impalcatura, alimenta la curiosità della gente lucrando su pubblicazioni i cui diritti di autore andrebbero a vantaggio proprio dell’omicida.
E’ la stessa criminologa che esamina questa circostanza allorquando riferisce di un colloquio in carcere tra il Bossetti e la moglie Margherita: “La nostra quota è sempre sui 25, 25.000 euro a Matrix. Mi conoscono in tutta Italia eh. Il mio è il caso più pagato fuori dalla Elena Ceste”. Secondo la Vagli, infatti “Bossetti non è certo apparso come un uomo disperato ed impossibilitato nel far valere la propria innocenza, ma piuttosto come un avido e disumano speculatore”.
In conclusione, “tutti i salmi finiscono in gloria” purtroppo: Bossetti ha ammazzato la povera ragazza, è stato individuato, scoperto e condannato, e ha pensato bene di sfruttare la situazione per introitare diritti di autore su pubblicazioni, nonché compensi da emittenti televisive a caccia di scoop.
E alla fine l’unica vittima, ancora una volta, rimane la povera Yara.
Vittima di un assassino, ma non di uno stupido.
Si chiama Massimo Giuseppe Bossetti, non Michele…
3.09.2019 – By Nino Maiorino . Vero, Massimo Giuseppe Bossetti. Scusate per il refuso.
Non DNA, ma mezzo DNA, molto anomalo e controverso, del quale la difesa ha sempre chiesto, vanamente, la controperizia. L’altra metà del DNA porta ad una identità che non si è voluto mai cercare. In genetica forense non si attribuisce mai piena attendibilità ad una traccia biologica frammista di più persone. Il processo a Bossetti è anche una palese violazione dei diritti costituzionalmente garantiti dell’imputato. Una barbarie indegna di un paese civile. Bossetti è un innocente vittima di una vera barbarie di Stato.