Cene di addio e veleno, così la “vedova nera” ammazzava i suoi amanti
Stiamo parlando di Vera Renczi, una tra le più famose serial killer della Romania, la quale uccise almeno 33 uomini, ma il bilancio potrebbe essere decisamente più corposo.
E’ stata una delle prime serial killer donne della storia.
Trovare informazioni affidabili sul suo conto è spesso un’impresa – tant’è che per qualcuno si tratta semplicemente di una leggenda – e in rete non si trovano sue immagini: le uniche due che circolano potrebbero essere false.
Ma la Renczi è esistita e ha commesso almeno 33 delitti, anche se mai come in questo caso il bilancio è ufficioso: e le vittime della furia della vedova nera romena potrebbero essere molte di più.
Vera Renczi nasce a Bucarest nel 1903 da padre ungherese e madre romena. La famiglia è piuttosto ricca e riceve una buona educazione.
All’età di 13 anni perde improvvisamente la madre e si trasferisce con il padre a Nagybecskerek (oggi Zrenjanin, Serbia), dove frequenta un collegio, e poi a Berkerekul.
In questa fase inizia ad assumere comportamenti difficili da gestire per i suoi cari.
Il primo rapporto sessuale lo ha all’età di quindici anni, seguito da numerosi altri incontri con ragazzi diversi.
Una notte viene pizzicata nel dormitorio di un collegio maschile nel pieno della notte.
E’ ribelle, ma anche gelosa e possessiva: segnali d’allarme che nessuno riesce a cogliere.
Neanche ventenne, Vera Renczi conosce l’austriaco Karl Schick, uomo d’affari molto più anziano di lei: è un vero colpo di fulmine, seguito dal matrimonio.
Un anno dopo le nozze, nasce il figlio Lorenzo.
Ma proprio pochi mesi dopo il lieto evento, la donna inizia a sospettare del coniuge.
Ossessionata dalla presunta infedeltà, organizza la prima “cena d’addio”: una serata speciale in cui versa dell’arsenico nel vino e lo uccide.
Si tratta del primo di una lunga serie di delitti; per giustificare la scomparsa del coniuge, racconterà di una tragica morte in un incidente stradale.
Vera Renczi inizia a frequentare i locali notturni di nascosto e dopo un anno di “lutto” decide di risposarsi, questa volte con un uomo della sua età.
Una relazione molto tumultuosa, un’altra delusione per la romena, che scopre subito dopo le nozze l’infedeltà del marito.
Come successo con Schick, decide di eliminarlo: veleno nel vino e corpo nascosto in una bara di zinco conservata nella sua tenuta, precisamente in una panchina.
Dopo il secondo matrimonio fallito, decide di non sposarsi mai più e si dà alla pazza gioia, sia in amore, che nella seconda vita da serial killer.
Vera Renczi colleziona storie d’amore tra relazioni clandestine con uomini sposati e rapporti fugaci con amanti conosciuti nei locali.
L’esito di questi legami è sempre lo stesso: per la gelosia ossessiva, avvelena gli amanti con l’arsenico e ne nasconde i corpi.
La romena è alla ricerca di un “uomo perfetto”, un’idea romantica mai tramutata in qualcosa di concreto: o semplicemente una scusa per continuare a uccidere e trovare nuove vittime.
Vera Renczi continua a fare il bello e il cattivo tempo per diversi anni, fino a quando le autorità non uniscono i punti sull’aumento esponenziale di uomini scomparsi nell’area.
L’ultima vittima delle “cene d’addio” della vedova nera è un funzionario di banca di nome Milorad, anche lui avvelenato dopo notti di passione.
L’arresto e la fine della vedova nera.
Le autorità scoprono la vera fine dei mariti di Vera Renczi e la arrestano nel 1930.
Ma non è l’unica scoperta: la donna aveva infatti ucciso anche il figlio Lorenzo, reo di averla minacciata di denunciarla.
Le vittime accertate sono 32, quelle sospettate 35.
Durante il processo, la donna inizia a mostrare i primi segni di demenza, patologia peggiorata progressivamente in carcere.
La Renczi viene condannata all’ergastolo: era stata appena abolita la pena di morte per le donne.
Muore trent’anni dopo, a Zrenjanin, in Serbia nel 1960.
Si dice che la sua storia può avere ispirato Joseph Kesselring per la pièce teatrale Arsenico e vecchi merletti, del 1939.