scritto da Nino Maiorino - 26 Aprile 2022 12:34

Storiacce, il delitto dell’ermellino

Una storia di fragilità, incomprensioni e tradimenti nella ricca borghesia italiana a cavallo della Seconda Guerra Mondiale

La storia che andiamo a raccontare è accaduta il 15 settembre 1948 nel Grand Hotel Villa Este di Cernobbio.

Era, quella, una notte ventosa, e due ore dopo la mezzanotte gli invitati ancora affollavano il salone da ballo.

L’orchestra stava ancora suonando quando all’improvviso uno sparo, e un uomo a terra fulminato da un unico colpo diretto al cuore e di fronte la sua assassina.

In pochi istanti si consumò l’omicidio che passò alle cronache come “il delitto dell’ermellino”.

La protagonista di questa vicenda è Pia Caroselli la più piccola dei sei figli di Romeo Caroselli, noto costruttore edile, e Nazarena Jannamorelli.

Pia Caroselli era nata il 29 Gennaio 1916 a Sulmona nel cuore dell’Abruzzo a ridosso del Parco nazionale della Maiella, cittadina rinomata nel mondo per la produzione dei tradizionali confetti.

Pia era una ragazzina particolarmente sensibile, ombrosa ed incapace di sopportare la sofferenza, che aveva dato non poche preoccupazioni ai genitori durante l’adolescenza.

Aveva frequentato un collegio di suore a Roma sviluppando una religiosità profonda che la portò ad una continua alternanza tra il desiderio di rispondere alla chiamata di Dio, dedicandosi a una vita monastica, e di trovare il grande amore.

Ancora ragazzina subì, insieme ai genitori, il dolore per la perdita in tenera età di tre dei fratelli e, nonostante papà Romeo e mamma Nazarena avessero cercato di colmare questo vuoto, la gioventù di Pia fu sempre scandita da una profonda tristezza perché riteneva di non essere amata alla pari dei fratelli, condizione che la spinse a tentare più volte il suicidio.

La vita reale la spaventava, tuttavia a vent’anni riuscì ad invaghirsi di un avvocato di Sulmona ma i genitori la dissuasero a proseguire la relazione senza dare troppe spiegazioni.

Il carattere remissivo di Pia e la sua fragilità emotiva non l’aiutarono a contrastare questo divieto accettando senza discutere l’imposizione della famiglia, lasciando scivolare l’amore nell’oblio e chiudendosi ancora di più in sé stessa.

Galeotta fu una vacanza con la madre due anni più tardi a Cortina d’Ampezzo. Una bella ragazza come Pia attirava gli sguardi di ammirazione di numerosi uomini durante le passeggiate che però suscitavano in lei imbarazzo e fastidio.

Le soste nei ristoranti erano una pena da cui Pia cercava di sottrarsi consumando velocemente il pasto e procedendo ad occhi bassi verso l’uscita, immersa in voluminosi cappotti per meglio nascondersi da tali sguardi.

L’ultima sera prima della partenza, durante una cena all’Hotel Cristallino, fu notata dal Conte Lamberto Bellentani che fece di tutto per farsela presentare da amici comuni.

Il Conte rimase folgorato e tentò inutilmente di trattenerla il più a lungo possibile per conoscere meglio quella ragazza bruna dagli occhi blu: terminata la cena, Pia si ritirò frettolosamente in camera per preparare le valige in vista della partenza della mattina successiva. Il conte Bellentani quella sera riuscì a malapena a strappare alla bella ragazza il nome di battesimo e la città di provenienza, informazioni che gli parvero insufficienti per sperare di rivederla.

Ma il caso volle che uno dei funzionari della banca dove il Conte era cliente fosse originario di Sulmona e addirittura scoprì che la ragazza era sua nipote, e così fu facile organizzare un nuovo incontro.

Lamberto Bellentani era uno scapolo quarantenne proprietario di un’importante azienda di insaccati nell’Emilia, ma sicuramente meno bello e interessante degli innumerevoli corteggiatori di Pia.

Aveva perso il padre a vent’anni e, più recentemente, la madre alla quale era molto legato e stava cercando di colmare questo vuoto con una presenza femminile.

Il Conte, con determinazione e delicatezza, fece in modo che il proprio fascino maturo, unito alla sua posizione sociale, che trasmetteva sicurezza, convincesse Pia ad accettarlo.

Questa volta i genitori di Pia non si opposero al fidanzamento della figlia e, a metà luglio del 1938, Pia convolò a nozze e diventò la contessa Bellentani.

Gli sposi vissero un paio d’anni tra Reggio Emilia e Bologna per permettere al Conte di seguire più da vicino l’azienda di insaccati, introducendo Pia in una animata vita mondana a cui non era abituata e che non sempre gradiva.

Pochi anni più tardi nacquero Flavia e Stefania che permisero a Pia di staccarsi da quella vita, così lontana dalle sue abitudini, con la scusa di dover trascorrere il tempo in casa per occuparsi delle figlie.

Nell’estate del 1940 i coniugi Bellentani parteciparono ad una festa in un lussuoso hotel veneziano durante la quale Pia conobbe Carlo Sacchi senza che questo incontro suscitasse in nessuno dei due particolari emozioni.

Carlo Sacchi, orfano, aveva abbandonato la scuola molto presto per dedicarsi al lavoro e dopo una lunga esperienza in Germania era tornato in Italia per dedicarsi all’industria tessile della seta con la quale aveva accumulato una discreta fortuna.

Si era sposato nel 1934 con una ex ballerina viennese con la quale aveva avuto tre figlie.

Dopo il matrimonio si era dedicato alle figlie, agli studi letterari e a un nutrito stuolo di amanti che cambiava con una certa regolarità. La moglie faceva finta di nulla e assecondava pazientemente questa “debolezza” del marito.

Nel 1941, nel pieno del secondo conflitto Mondiale, la famiglia Bellentani si trasferì a Cernobbio, elegante località sul Lario, e fu lì che Pia strinse amicizia con Ada Mantero Sacchi, sorella di quel Carlo che aveva conosciuto di sfuggita l’anno precedente a Venezia.

Quello stesso anno un grave lutto colpì la famiglia Sacchi: Silvia, la figlia maggiore di Carlo perse la vita gettando l’uomo nello sconforto più totale. Fu proprio questo evento che fece avvicinare a Carlo Pia nel tentativo, da parte di quest’ultima, di consolarlo per questa grave perdita.

La guerra stava tenendo lontano da casa il conte Bellentani, occupato a tempo pieno in Emilia per portare avanti il lavoro nella fabbrica in tempi difficili, favorendo tra Pia e Carlo un’atmosfera sempre più intima.

Pia trovava in Carlo l’amore represso in gioventù e il calore che non aveva avuto nel matrimonio con il Conte Bellentani, mentre Carlo in questo rapporto trovava riscatto e attenzioni per la difficile adolescenza passata e sollievo per la tragica morte della figlia.

Alla fine della guerra i Bellentani si trasferirono definitivamente a Cernobbio riprendendo le occasioni mondane dei tempi passati e consolidando l’amicizia e la vicinanza con la famiglia Sacchi.

Pia scriveva al suo amato Carlo languide lettere d’amore nelle quali esprimeva non solo i suoi sentimenti ma anche lo stato d’animo e il benessere che la relazione le stava portando.

Carlo era invece piuttosto indifferente alla cosa e la ripresa di una vita dopo la guerra lo fece uscire dalla depressione spostando i suoi interessi verso la mondanità e le amanti.

I due intrecciarono una relazione sentimentale clandestina: Pia soffriva di gelosia per le scappatelle di Carlo, ma allo stesso tempo cercava di non dare troppo peso alla situazione in quanto di solito erano relazioni di brevissima durata.

Nel 1946, poco più di un anno dopo l’inizio di questa relazione fatta di alti e bassi Carlo, come spesso succedeva con altre concubine, si stancò di Pia ma non si assunse la responsabilità di interrompere il rapporto, pensò di lasciarlo andare alla deriva semplicemente ignorandolo.

Per Pia fu una realtà troppo difficile da accettare, pertanto ogni volta si illudeva che presto tutto sarebbe passato e ritornato alla normalità.

Nel 1947 Carlo Sacchi incontrò Sandra Guidi – detta Mimì – ex moglie di un industriale svizzero con la quale il dongiovanni stabilì una relazione stabile e alla luce del sole.

Mimì era più anziana e meno bella di Pia ma anche meno ossessiva e più predisposta a seguire il suo amante nella vita dissoluta che così tanto piaceva a Carlo.

Pia non resse il colpo e un giorno, in sella a una motoretta, cercò la morte lanciandosi contro la macchina in corsa di Carlo, che solo per poco riuscì ad evitare l’impatto lasciando a terra Pia dolorante ma viva; ma, invece di soccorrerla, con spietato cinismo le si avventò contro insultandola per aver ammaccato la sua auto sportiva.

Questo grave fatto avrebbe dovuto aiutare Pia ad aprire gli occhi per farle comprendere definitivamente che non c’era più spazio per lei; invece la spinse a lottare ancora con più forza per cercare di ravvivare la relazione.

Da quel momento Carlo non perse occasione per umiliarla e schernirla in pubblico etichettandola come “una sciocca e romantica sognatrice”, provocando in Pia sempre più dolore e portandola a trascurare figlie e marito, il quale nulla ancora sospettava di questo amore clandestino.

Pia provò anche a sfogarsi con un’amica inviandole una serie di lettere ma nessuna consolazione le fu d’aiuto per lenire le ferite della sua anima martoriata.

I giorni passarono ma le cose rimasero immutate, anzi diventarono sempre peggio per Pia.

Il 15 Settembre del 1948 il conte Bellentani venne invitato con la moglie a una sfilata al Grand Hotel Villa d’Este. Pia racconterà di aver avuto tutto il giorno un’emicrania che l’aveva costretta a letto per la maggior parte del pomeriggio e che più volte le fece pensare se partecipare o meno al ricevimento.

Nelle sue memorie avrebbe poi spiegato che, nel pomeriggio, si era sentita persino con Lilian Willinger, la moglie di Carlo, la quale si preoccupò per il suo stato di salute suggerendole di assumere qualche calmante. Nonostante in serata il malessere fosse passato Pia rimase comunque incerta se prender parte alla festa: le ci volle un po’ di tempo prima che riuscisse ad alzarsi e convincersi a presentarsi al défilé.

Per un crudele gioco del destino i coniugi Bellentani e Sacchi furono assegnati allo stesso tavolo con Mimì seduta poco lontano.

Quando Carlo Sacchi a un certo momento della serata si recò al bancone del bar per prendere da bere, fu raggiunto da Pia desiderosa di un chiarimento relativamente alla loro relazione.

Carlo la considerò con sufficienza, fu allora che Pia estrasse una pistola dalla candida pelliccia d’ermellino che indossava.

L’uomo con spavalderia e indifferenza non si scompose affatto anzi, sorrise e schernì per l’ultima volta la sua ex fiamma.

All’improvviso uno sparo: Carlo Sacchi era a terra fulminato da un unico colpo diretto al cuore e di fronte Pia disperata per non essere riuscita lei stessa a togliersi la vita per andare via per sempre con il suo unico vero amore, sembra che la òpistola si sia inceppata.

In pochi istanti si consumò l’omicidio che passò alle cronache come “il delitto dell’ermellino”.

Il processo a Pia Bellentani monopolizzò le cronache dell’epoca e si concluse con una condanna a dieci anni di reclusione di cui tre condonati e altrettanti in una casa di cura, una pena lieve.

Il marito le fu vicino durante la detenzione e non le fece mancare la sua assistenza.

Il 23 dicembre 1955, la contessa fu graziata dal Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.

Poco dopo la sua scarcerazione il marito Lamberto Bellentani morì, Pia si trasferì con le figlie prima a Sulmona e successivamente a Roma dove visse una vita molto ritirata sino alla sua morte nel 1980.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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