L’arte del fare affrontata dall’arte del pensare
“La prima virtù per un dipinto è di essere una gioia per gli occhi.” – Eugène Delacroix
Tra le varie capacità intellettive e creative che rendono l’uomo tale, spicca tra tutte l’arte, ma cos’è effettivamente? Rispondere a questo tipo di domanda è quanto più vicino al concetto di diritto per un giurista, la risposta non può che essere vaga e spesso fuorviante.
Nell’antichità il concetto di arte era strettamente correlato con la pratica e la fattualità: l’arte, o techné, per i greci è un’insieme di regole e principi che dirigono un’attività umana, finalizzata a una realizzazione pratica. Tommaso d’Aquino, fondandosi sul nono libro della Metafisica di Aristotele, chiarisce la differenza tra il facere dell’ars, che compie un’azione transitiva, con conseguenze esterne al soggetto, e l’agere dell’azione morale, quale azione che rimane nell’intimo del soggetto che agisce. Il termine ars continua a indicare non solo le arti liberali, ma anche i mestieri che noi oggi definiamo “artigianali”. Kant introduce nella Critica del giudizio la differenza fra arte bella, il cui scopo è un piacere disinteressato, e arte piacevole, che mira al solo godimento. In tempi più attuali però, si è consolidato il riferimento dell’arte alla bellezza, riservando i termini di artigianato, mestiere, tecnica per gli altri significati. Volendo dunque, affrontando il discorso con forte spirito esegetico, definire l’arte, essa altro non è che intima produzione del bello, uno slancio creativo che tende a manifestare le proprie sensazioni, le proprie interpretazioni, attraverso la produzione di opere, che siano essi quadri sculture o altro, mirato alla condivisione di tale “sentire”. Non per ogni illustre pensatore però l’arte trova buon uso all’interno della società umana, Platone ad esempio definiva ogni forma d’arte come mimesis mimeseos, dal punto di vista metafisico-gnoseologico: l’arte, essendo “imitazione di un’imitazione” è di “3 gradi lontana dal vero”, dunque altro non è che il tentativo di riprodurre una riproduzione, sterile ai fini del pensatore greco.
Ancora più interessante però è la visione di Hegel a riguardo, nella “Filosofia dello Spirito assoluto” egli afferma che l’arte è il momento più basso in cui l’uomo tenta di rappresentare sè e la sua cultura, nonchè l’Assoluto, il quale per sua natura sfugge alla sensibilità e alle sue forme. Ma a data impossibilità di manifestazione pratica dell’Io e dell’essere Magritte tentò di rispondere tramite il surrealismo.
Magritte, percezione distorta del reale
Le opere di Magritte si configurano come una profonda riflessione sulle problematiche inerenti al vedere e alla nostra percezione del mondo. Le riproduzioni, i cui accostamenti sono apparentemente illogici, inducono a porsi domande sulla percezione che abbiamo di quello che ci circonda, egli stesso definiva la pittura come “arte della somiglianza”.
« Un oggetto non è mai tanto legato al suo nome che non se ne possa trovare un altro che gli si adatti meglio. »
La conoscenza dell’oggetto si presenta come un processo, in quanto nuovi elementi continuano a presentarsi al pensiero nel corso del tempo. L’apparizione di una nuova relazione implica una riflessione sulle relazioni presenti, che continuano ad arricchirsi, modificarsi o semplicemente celarsi in tale processo. L’oggetto dunque non può mai essere conosciuto nella sua totalità. Il tentativo di definirlo presenterà sempre delle imperfezioni, vista la difficoltà di abbracciare la totalità e l’impossibilità di conoscere tutte le relazioni che si presenteranno. In questo modo le opere di Magritte si configurano come una profonda riflessione sulle problematiche inerenti al vedere e alla nostra percezione del mondo. Le riproduzioni, i cui accostamenti sono apparentemente illogici, inducono a porsi domande sulla percezione che abbiamo di quello che ci circonda. I pensieri di Hegel e Platone trovano dunque riscontro nella produzione artistica del pittore surrealista per eccellenza, ma non è una produzione artistica, considerata impossibile dal punto di vista rappresentativo, antinomia dell’arte stessa?
Lo sarebbe, se l’arte non fosse un mezzo produttivo che trova senso nella rappresentazione della reale condizione umana vissuta nel suo contesto.
L’arte come rappresentazione dell’Io attraverso i suoi tempi
Attraverso l’Arte, lo spirito vive in modo immediato e intuitivo la fusione tra soggetto e oggetto che si manifesta nelle forme. Secondo Hegel riesce a fare emergere la grandezza dello spirito più di quanto potesse fare la natura, la materia diventa veicolo di un significato universale e dovrà cogliere l’universale cioè il razionale nel particolare cioè l’apparenza sensibile. Ed è a questo punto che l’essere mimesis mimeseos perde la sua accezione negativa, e diventa essa stessa caratterizzante della produzione artistica, l’arte, qualunque sia la sua forma, non è più il mezzo che la produce, ma il prodotto stesso, la lucida trasposizione dell’essenza nell’essere, la trascendentale capacità, decisamente umana, di saper trascrivere quanto si è e quanto si sta vivendo senza esprimersi, come un tacito urlo che non si può udire, ma che per assurdo si può vedere, sentire, vivere.
Tramite l’arte come mezzo dell’uomo, egli diventa mezzo dell’arte, e trova in essa la capacità di manifestarsi dove la realtà non arriva, come sovrasensibile nel sensibile, e di spiegarsi in essa, in modo unico quanto banale, comprensibile per pochi ed intuibile per tutti, rivelando l’essenza prima del suo autore: l’uomo.