scritto da Nino Maiorino - 08 Marzo 2023 07:09

L’inchiesta di Bergamo: i fatti

In questo nostro splendido ma sfortunato paese non finiremo mai di stupirci per le follie che dobbiamo sopportare; a molte delle quali ci siamo ormai assuefatti.

L’ultima è il rinvio a giudizio di una ventina tra politici e alti dirigenti, centrali e locali, da parte della Procura della Repubblica di Bergamo, dopo tre anni di indagini.

All’inizio di febbraio 2020, quando scoppiò la pandemia da Covid-19, la regione italiana più colpita fu la Lombardia, che registrò il più alto numero di contagiati e di morti, in spedali e in RSA.

La Magistratura di Bergamo, che fu una delle città più colpite, valutando lo squilibrio esistente con le altre zone d’Italia, ritenne di avviare, tre anni fa, una indagine che si è conclusa alla fine di febbraio di quest’anno.

Ci chiediamo perché le indagini furono affidate alla Guardia di Finanza che è un Corpo militare specializzato in indagini finanziarie, tant’è che dipende direttamente dal M.E.F. – Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Finite le indagini, durate tre anni, la Procura della Repubblica risultano indagati l’ex Premier Giuseppe Conte, l’ex Ministro della Salute Roberto Speranza, l’ex e attuale Governatore della Lombardia Attilio Fontana, e altri parlamentari regionali.

I reati ipotizzati sono di “epidemia colposa aggravata”, “omicidio colposo plurimo” e “rifiuto di atti di ufficio” per i venti indagati.

Ai tre principali inquisiti, Conte, Speranza e Fontana si aggiungono anche esperti in campo sanitario, che all’inizio del 2020, allorquando scoppiò la pandemia da Covid-19, supportarono le nostre autorità di governo nella gestione delle operazioni di contrasto alla diffusione del virus.

A Fontana si aggiunge Giulio Gallera, ex assessore al Welfare, e numerosi altri indagati (in tutto venti) fra i quali alcuni alti dirigenti del Ministero, come Silvio Brusaferro, Presidente dell’Istituto superiore di Sanità; Franco Locatelli, Presidente del Consiglio superiore di Sanità; Agostino Miozzo, allora coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico; Angelo Borrelli, all’epoca capo del Dipartimento della Protezione civile.

Sono tre i filoni dell’indagine: la repentina chiusura e riapertura dell’ospedale di Alzano, la mancata proclamazione della “zona rossa” in Val Seriana e l’assenza di un piano pandemico aggiornato per contrastare il rischio pandemia lanciato dall’Oms.

Tra fine febbraio e aprile 2020, l’eccesso di mortalità nella Bergamasca fu di 6.200 persone rispetto alla media dello stesso periodo degli anni precedenti; il Procuratore Chiappani ha detto che l’inchiesta ha «accertato gravi omissioni da parte delle autorità sanitarie, nella valutazione dei rischi epidemici e nella gestione della prima fase della pandemia».

Sulla vicenda verrà nominata adesso anche una Commissione parlamentare d’inchiesta voluta dal governo.

Per quanto riguarda l’ospedale di Alzano Lombardo, l’inchiesta punta a capire perché il 23 febbraio il Pronto soccorso dell’ospedale non venne chiuso, ma ci fu un balletto di chiusure e riaperture.

Il Direttore Generale e il Direttore Sanitario dell’Asst Bergamo Est, avrebbero dichiarato il falso nel caso dell’anomala chiusura e riapertura il 23 febbraio in poche ore di quel Pronto soccorso: non sarebbe vero che fossero state adottate tutte le misure previste, compresa la sanificazione del P.s. e dei reparti del Presidio.

Già sulla base delle prime ricostruzioni risalenti al 2020, il Pronto soccorso fu inizialmente chiuso, ma la Asst competente, sentito il parere dei vertici della Regione Lombardia, avrebbe optato per la riapertura, contribuendo così all’aggravarsi della pandemia.

Tra il 27/2 al 3/3/2020 i contagiati e i morti in Val Seriana   -principalmente da Alzano e Nembro- stavano salendo esponenzialmente, più che in altre province.

Nei primi giorni di marzo 2020 la diffusione del virus era oramai “incontrollabile” a causa di una serie di ritardi e omissioni dovuti alla mancata istituzione della zona rossa e alla non applicazione del piano pandemico influenzale del 2006, quello che da tre anni già non era in vigore perché mai aggiornato.

Rileviamo un commento di Giuseppe Conte: “Ora denunce per non aver chiuso a sufficienza, in precedenza invece per aver chiuso”

Il 4 marzo si registrava il seguente bollettino: 423 contagiati (il doppio rispetto al giorno prima), su 1.820 in tutta la Lombardia, con 73 decessi.

Venivano quindi inviati dall’Unità di crisi lombarda i dati all’I.S.S. con richiesta di intervento: l’Istituto Superiore della Sanità il 5 marzo confermava il problema e chiedeva di chiudere la Val Seriana.

Dal Ministero degli Interni veniva richiesto l’aiuto dei militari, e non si dimenticano le lunghe colonne di camion dell’Esercito che trasportavano i morti in altri Comuni in quanto i Cimiteri vicini erano pieni.

Il 6 marzo intanto si registravano 135 decessi, su 309 totali in Italia, e il C.T.S avvisava il premier Giuseppe Conte che la situazione stava degenerando in tutta la Lombardia.

In proposito fa riflettere una dichiarazione resa, all’epoca, dal Premier Giuseppe Conte, esplicitata ora da Crisanti, adesso Senatore del PD e consulente della Procura.

““La ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non sono state prese la fornisce il presidente Conte -si legge nella consulenza di Crisanti- quando nella riunione del 2 marzo 2020 afferma che “la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico molto elevato”. Queste considerazioni hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio””.

Poi, finalmente, il 7 marzo arrivò il noto Dpcm sulla zona arancione in Regione Lombardia, e l’11 marzo tutta Italia diventava zona rossa, per evitare le fughe di persone tra varie zone, già verificatesi nei giorni precedenti.

Quell’anno nella bergamasca la mortalità raggiunse il 600% rispetto agli anni precedenti.

E veniamo al piano pandemico del quale l’O.M.S. aveva chiesto l’aggiornamento, che, secondo la Procura, non era stato fatto.

Il punto controverso è a chi spettasse riscriverlo, e con quale modalità.

Il direttore vicario dell’Oms in Italia, Ranieri Guerra, non aveva aggiornato il piano, ritenendo che non avesse bisogno di modifiche in quanto negli ultimi anni non si erano registrati gravi episodi epidemiologici (anche se l’O.M.S. aveva chiesto di rivederlo).

L’ex funzionario dell’O.M.S., Francesco Zambon, aveva anche dichiarato di aver subito pressioni da parte di Ranieri Guerra, per postdatare un piano vecchio, facendolo quindi sembrare aggiornato al 2016.

Un evento ancora oggi misterioso del quale Massimo Giletti all’epoca si occupò in più trasmissioni su La7, senza però venire a capo di niente.

Probabilmente l’intervento della Magistratura chiarirà ora le responsabilità.

Questi, in estrema sintesi, i fatti accertati e contestati.

Toccherà ora al Tribunale dei Ministri di Brescia valutare la posizione dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza.

Allora tutto è chiaro?

Vedremo nel prossimo articolo.

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Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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