scritto da Filippo Falvella - 10 Giugno 2023 08:29

L’elusiva Afrodite: la fine dell’estetica oggettiva

Un anziano siede disagevole su di una cornice vuota, attende e impazientemente scruta attorno a sé: osserva i passanti e la natura, quella che sta nelle verdi foglie di un albero e quella che resta imperscrutabile all’interno del suo essere. Un giovane, che percorre senza saperlo gli stessi passi che portarono quell’anelante vecchio alla sua seduta, incuriosito gli chiede: “Cosa cerchi?” e lui, snervato ma al contempo orgoglioso, gli risponde: “Il bello”.

Affermare che è il bello nel suo senso lato a far muovere i nostri passi non dovrebbe far conseguire a tale affermazione un annegamento in una pozza d’acqua che riflette la nostra immagine.

Che sia il bello d’un quadro o il bello d’un componimento, il bello d’un corpo o d’una veduta, a farsi fine dei nostri mezzi è indubbiamente ciò che è bello.

Di fronte al bello, che sia incidentale o agognato, le nostre pupille si dilatano, il battito perde il suo riposato ritmo in favore di straordinarie percussioni e il nostro timbro vocale raggiunge note che non credevamo possibili.

In qualsiasi misura comparativa fondiamo ogni scelta su ciò che più ci piace, e siamo sottoposti passivamente a scelte estetiche in ogni momento della nostra vita. Ovviare tale trattazione su ulteriori esempi pratici di come il bello sia il magnete che attrae il nostro ferreo cuore sarebbe forviante, forviante almeno quanto il seguente interrogativo: “Cos’è il bello?”.

A tale quesito è possibile fornire solamente due risposte, la prima è univoca e scontata, e fa coincidere il bello con l’oggetto della personale e soggettiva attrazione. Sulla seconda invece la ricerca non è ancora terminata, o meglio, continua a rinnovarsi.

L’Estetica è quella dottrina, filosofica artistica e decisamente popolare, che pone come centro della sua indagine tutti quei parametri che volgono a definire dei canoni di bellezza, che definiremmo per l’appunto estetici.

Ogni tempo ha avuto attraverso le sue culture una definizione ben precisa di ciò che apparentemente può essere bello, basti pensare all’inno verso la proporzione greca o la condanna nella sua antitesi corrispondente, la disarmonia.

La società ha prestato la stessa attenzione concessa alla definizione di un diritto che potesse tutelarla anche ad una definizione dei suoi canoni universali per poter classificare, sotto ogni sua forma, il bello.

Ogni decennio sono saggiamente poste quelle regole alla quale attenersi per poter prolificamente tentare una produzione artistica: che si tratti di un’annata dove il must have stilistico sia rappresentato da un paio di jeans o una stagione dove il sound più orecchiabile sia un blues piuttosto che un rock.

In questa non grammaticale consecutio temporum però le regole temporali tendono a farsi sempre più frettolose e sconcordanti, se prima affinché un campo magnetico di moda smettesse d’esercitare la sua attrazione erano necessari anni adesso è ben più probabile che basti l’alternarsi di poche stagioni.

A tale fenomeno non è però nel mio interesse rispondere con una sempre più consueta critica alla velocità di una società sempre meno solida, bensì con una speranzosa constatazione della finalmente scoperta elusività di Venere. Il primo uomo che s’accorse d’essere di fronte a qualcosa di bello potette constatarlo con un sentire che non aveva prima d’allora mai provato, ma che da quel momento avrebbe costantemente ricercato: lo stupore.

Figlia conseguente e succedente al bello è la meraviglia, è da essa che può nascere arte e ricerca.

La fossilizzazione verso un solo parametro che pretende di perdurare non può essere possibile, nella sua presunta oggettività, a definire ciò che è bello, e questo proprio perché nella sua volatile grandezza il bello è un solo attimo di stupore. Se Oscar Wilde affermava che la moda è talmente brutta da aver bisogno d’esser cambiata ogni anno, potremmo dire che il bello invece è talmente straordinario da non poter essere tale se non attraverso il suo costante rinnovamento.

Il bello oggettivo è destinato a sparire, rende sicuramente possibile dei modelli dalla quale trarre delle imitazione e delle successive critiche, ma non stupisce, il vero bello si manifesta nel dettaglio, nella meraviglia e nel desueto.

A colpirci non è più quella perfetta riproduzione d’un bello stabilito come tale, ma quella straordinaria diversità che mai avevamo visto e che ci attrae verso la creazione di nuovi meravigliosi belli di cui stancarci, per poterne poi produrre di nuovi, come un vecchio che conscio ormai di come l’arte stia al di fuori di una cornice  decide di sedervisi sopra, ammirandola e ricercandola, provato certo dalla difficoltà del coglierla, ma senza mai stancarsene.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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