I casi Santanchè e La Russa
In questo periodo estremamente caldo, con umidità alle stelle, ci augureremmo che notizie negative o comunque allarmanti ci lasciassero in pace.
Purtroppo non è così, dobbiamo prenderne atto e seguire lo svolgimento degli eventi con la speranza, illusoria, che il tutto ci dia un poco di respiro.
Non facciano in tempo a leggere una notizia che sono pronte tante altre, e spesso non si sa da dove cominciare, e talvolta il cronista è portato ad arrendersi; poi passato il momento di scoramento rimettiamo i remi in acqua e andiamo a vedere cosa ci riserva il palcoscenico.
Iniziando, ovviamente, dagli avvenimenti politici e affini che, mai come in questi giorni, sono balzati quasi tutti insieme sulla scena, tanto da aver sovraccaricato la corona di spine della Meloni, partendo dalle avventure, meglio dire disavventure, di Daniela Santanchè, discussa Ministra del Turismo, con la quale la Premier peggio non poteva capitare, visto quello che dicono abbia combinato.
Società sull’orlo della bancarotta, una sorta di scatole cinesi nelle quali sembra sia entrato tutto e il contrario di tutto, la cui crisi non è delle ultime settimane, nel qual caso si sarebbe detto che quando è stata nominata era insospettabile e quindi la Meloni l’abbia designata quando era immacolata come la neve, e che i guai sono successi dopo: purtroppo non è così, da anni sembra vivesse di presunti intrallazzi, di presunti falsi, di presunti imbrogli.
Ovviamente la Ministra Santanchè ha cercato di difendersi tirando fuori gli artigli, e facendo anche non pochi autogoal, dichiarando il falso dinanzi al Parlamento, smentita quasi in diretta da alcuni dei suoi stessi dipendenti, non pagati, messi fraudolentemente in cassa integrazione senza saperne nulla, tant’è che hanno continuato a lavorare: in pratica lavoravano per la Santanchè, ma a spese dello Stato, quindi a spese nostre.
Non ha mancato di affermare, fra l’altro, che nessun avviso di garanzia ha mai ricevuto dagli inquirenti, un ulteriore autogoal che le ha fatto perdere ogni residuo di credibilità.
Daniela Santanchè, ora Ministra, risulta essere una abituale frequentatrice del “Twiga”, un locale marino a Forte dei Marmi, per il quale è riduttivo utilizzare il termine “lido o stabilimento balneare”, e del quale sembra sia comproprietaria.
Probabilmente è l’unica attività che porta utili anche alla Santanchè, la quale sembra avesse l’intenzione di darla in garanzia delle sue altre attività in perdita.
Una giornata al Twiga costa 600 euro per uno spazio di 4 x 4 mq, formato da una specie di tenda araba con sofà, due lettini da spiaggia, una sedia da regista, una cabina doccia, il tutto per 18.mila euro al mese, non proprio alla portata di tutti; e non sembra fosse frequentato solo da danarosi esponenti della costellazione politica di destra (compresa la Santanchè), in quanto sembra che habitué siano anche esponenti politici di altre costellazioni, anche se ora tutti giurano che mai sono stati in quel luogo, alcuni sostengono addirittura di non averlo fatto per taccagneria!
In verità i politici erano in compagnia di tanti altri vip di livello, dalla “influencer” Clara Ferragni allo “chansonnier” Umberto Smaila il quale ha giurato che andava al Twiga solo per esibirsi.
Una riflessione su un aspetto finanziario: a fronte di un introito lordo di oltre 4.milioni di euro annui, il Twiga sembra che paghi allo per la concessione solo 17.mila euro!
E mentre la Santanchè e i suoi amici si sollazzavano al sole del Twiga, e a spese nostre, i suoi dipendenti sono in attesa di ricevere emolumenti, contributi o TFR.
Sembra che anche la Giorgia nazionale l’abbia mollata, o stia per farlo: speriamo bene.
Poi alla Santanchè sulla scena si è affiancato Ignazio La Russa, per meglio dire la Famiglia di Ignazio La Russa ad opera del primo pargolo, Leonardo Apache La Russa, nome abbastanza variopinto specialmente se si considera che il papà, il potente Ignazio, è Presidente del Senato, quindi seconda carica dello Stato.
Il quale Ignazio, da Avvocato, si è trovato coinvolto nel presunto stupro che il figlio, il “pellerossa” Leonardo Apache, sembra abbia compiuto a Milano dove, circa due mesi or sono, ha incontrato una sua coetanea collega di studi, con la quale sembra avesse anche altre affinità (si è parlato di canne, droghe e altre cosucce analoghe), che il giovane La Russa avrebbe portato a letto e violentata unitamente ad un DJ che quella sera aveva guidato le danze e la baldoria che si era fatta nel locale, il Club privato Apophfis a qualche centinaia di metri dal Duomo.
In verità, da ciò che è venuto fuori non sembra che sia tutto vero ciò che la “santarellina” stuprata ha denunziato dopo circa due mesi, perché le sue stesse amiche sembrano averla smentita; probabilmente non ha tutti i torti il papà Ignazio a difendere il figlio Leonardo, soltanto che lo ha fatto con un tale impeto da fa dubitare che sia in grado di ricoprire il suo importante ruolo di Presidente del Senato, quindi seconda carica dello Stato, insomma colui che dovrebbe sostituire, in caso di necessità, un uomo come Sergio Mattarella rispetto al quale c’è un abisso di comportamento, stile, immagine, competenza e cultura.
Probabilmente questa chiosa farà accapponare la pelle a qualcuno, che potrebbe accusarci di difendere i protagonisti di un episodio tanto grave; ma hi lo facesse commetterebbe un grossolano errore, perché non terrebbe conto che un cronista che commenta un fatto di cronaca spinosa come questo, non può nascondersi le ambiguità di alcuni protagonisti, tra i quali la stessa vittima, che anche le sue amiche hanno evidenziato.
In sostanza, sembra che i due, Leonardo La Russa e la ragazza si conoscessero sin dai tempi del liceo, tant’è che, quando si sono incontrati nel Club Apophis, si sono subito riconosciuti e da quel momento sembra siano stati insieme fino alla fine e siano pure usciti dal locale insieme.
La ragazza ha accettato di andare a casa del giovane in auto con lui, anche se poi ha dichiarato di non ricordare nulla perché probabilmente instupidita da un cocktail che il giovane le avrebbe offerto: circostanza che sembra confermata dalle amiche che ha contattato con messaggi Waths-App dopo il fattaccio.
Indubbiamente non è uno scenario edificante quello che questi giovani offrono, sembra il ritorno di una gioventù che, più che bruciata, come quella degli anni ’60, è piuttosto bruciacchiata, autolesionista se a vent’anni passa le sue serate in locali dedicati allo sballo, alla musica assordante, per concluderle in un letto non si sa di chi e come.
E se pure è vero che il giovane La Russa abita a Milano nella stessa casa dei genitori, in Via Giuseppe Merlo, e che il fattaccio sembra sia stato consumato proprio in quella casa, e che il papà Ignazio sembra ne abbia avuto pure sentore, il giovane è maggiorenne e il padre non avrebbe potuto intervenire, se pure lo avesse voluto.
Ma certamente non è esemplare nemmeno il comportamento di un padre il quale, sapendo che il figlio è sospettato di aver usato violenza ad una ragazza, lo difende a spada tratta; perché, pure se è vero che il ragazzo è maggiorenne, c’è sempre l’ascendente paterno che deve usare la “moral suasion” per influire sul comportamento della prole: verrebbe da dire che il comportamento dei figli rispecchia quello dei genitori, che, se applicato al caso specifico, ci farebbe cadere in un abisso di delusione, visto che stiamo parlando di un personaggio all’apice delle nostre Istituzioni.
Questi due episodi potrebbero essere seguiti dai tanti altri emersi in questi giorni, ma vogliamo fermarci qui per non tediare ulteriormente i nostri lettori, già prostrati dal caldo.
Ripetendo che questi personaggi li ha scelti la Meloni, e, come suol dirsi, con questo legname solo questi sono i mobili che si possono costruire.