scritto da Nino Maiorino - 04 Agosto 2023 06:55

La verità sul sacrificio di Salvo D’Acquisto

C’è qualcuno che, evidentemente per mancanza di conoscenze, certamente non in malafede, ha tentato di mettere in discussione la storia di Salvo D’Acquisto, il giovane Carabiniere che sacrificò la sua vita, per salvare quella di decine di persone che rischiavano di essere fucilate a seguito dello scoppio involontario di una bomba che aveva provocato la morte di alcuni soldati tedeschi.

Il male informato è tale Claudio Artesi, Consulente di arte medievale presso il MiBAC – Ministero per i beni e le Attività Culturali, il che effettivamente risulta.

Il Sig. Artesi, tramite il sito californiano “Quora”, sul quale in tanti si esprimono in merito a innumerevoli argomenti, non sempre in maniera corretta e attendibile, ha pubblicato una sua ricostruzione degli avvenimenti che portarono al sacrificio di Salvo D’Acquisto, scrivendo molte inesattezze, tendenti in particolare a mettere in cattiva luce i Partigiani alcuni dei quali, a suo dire, furono i veri responsabili della morte dei militari tedeschi che, per vendicarsi, sequestrarono una ventina di civili minacciando di passarli per le armi se non avessero denunciato gli attentatori e che furono salvati proprio dal Carabiniere D’Acquisto il quale falsamente confessò di essere stato lui a far esplodere la bomba.

Il Sig. Artesi mescola fatti effettivamente verificatisi con altri del tutto infondati, in particolare il coinvolgimento dei Partigiani, che nei in quella circostanze non comparvero per nulla.

Salvo Rosario Antonio D’Acquisto nacque il 17 ottobre 1920 a Napoli, a Villa Alba, in via San Gennaro nel rione Antignano.

Era il primogenito di cinque figli in una famiglia profondamente cristiana: il padre Salvatore era nativo di Palermo, mentre la madre, Ines Marignetti, era napoletana.

Ebbe una fanciullezza serena e fino a diciotto anni coltivò gli interessi di un giovane pieno di vita, e fu uno studente modello.

Nel 1934 lasciò gli studi per frequentare il Conservatorio musicale di San Pietro a Majella, scuola di baritono.

Il 15 agosto 1939, all’età di 18 anni, si arruolò nei Carabinieri come volontario,  frequentando la Scuola allievi carabinieri di Roma, dipendente dalla 2ª Divisione “Podgora”, fino al 15 gennaio 1940.

Venne inizialmente assegnato alla Compagnia Comando della Legione Carabinieri di Roma dipendente dalla 2ª Divisione Carabinieri “Podgora”.

Dopo il giugno 1940, passò presso il Nucleo Carabinieri Fabbricazioni di Guerra del Sottosegretariato di Stato per le Fabbricazioni di Guerra (Fabbri-Guerra).

Con l’entrata in guerra dell’Italia si arruolò volontario per la Libia italiana nella Campagna del Nordafrica (1940-1943) del Teatro dell’Africa e del Medio Oriente ed il 28 ottobre 1940 venne mobilitato con la 608ª Sezione Carabinieri (polizia militare), inquadrata nella 13ª Divisione Aerea “Pegaso” di stanza a Bengasi, parte della Squadra Aerea “Aeronautica della Libia – Est” della Regia Aeronautica.

Alla fine di febbraio 1941 rimase ferito a una gamba durante uno scontro a fuoco con le truppe inglesi e venne ricoverato all’Ospedale Militare di Bengasi per una forte febbre malarica.

Rientrò in Italia per una licenza di 3 mesi e poi fu aggregato dal 13 settembre 1942 alla Scuola Centrale Carabinieri Reali di Firenze, per frequentarvi il corso accelerato per la promozione a Vicebrigadiere, grado conseguito il 15 dicembre 1942 , e il 19 dicembre fu destinato alla stazione carabinieri di Torrimpietra, all’epoca una borgata rurale a una trentina di chilometri da Roma lungo la via Aurelia, oggi frazione del Comune di Fiumicino.

Dopo il Proclama Badoglio dell’8 settembre 1943 un reparto di paracadutisti tedeschi della 2^ Fallschirmjäger-Division si era accasermato presso alcune vecchie postazioni precedentemente in uso alla Guardia di Finanza nelle vicinanze della località Torre Perla di Palidoro, che rientrava nella giurisdizione territoriale della stazione Carabinieri di Torrimpietra.

Proprio a Palidoro  nel tardo pomeriggio del 22 settembre 1943, alcuni soldati tedeschi, mentre ispezionavano casse di munizioni abbandonate, furono investiti dall’esplosione di una bomba a mano o forse dall’incauto maneggio di ordigni usati per la pesca di frodo, a suo tempo sequestrati dai finanzieri. Due paracadutisti morirono e altri due rimasero feriti.

Il Maresciallo comandante del reparto attribuì la responsabilità dell’accaduto ad anonimi attentatori locali e richiese la collaborazione dei Carabinieri della locale stazione, temporaneamente comandata dal Vicebrigadiere Salvo D’Acquisto per l’assenza del m;aresciallo comandante, minacciando una rappresaglia se entro l’alba non fossero stati trovati i colpevoli.

La mattina seguente D’Acquisto, assunte alcune informazioni, provò a ribattere che l’accaduto era da considerarsi un caso fortuito, un incidente privo di autori, ma i tedeschi insistettero sulla loro versione e confermarono l’intenzione di dare corso ad una rappresaglia ai sensi di un’ordinanza emanata dal Feldmaresciallo Albert Kesselring pochi giorni prima.

Il 23 settembre furono dunque eseguiti dei rastrellamenti e catturati 23 uomini e un ragazzino scelti a caso fra gli abitanti della zona, e 22 di loro furono portati sul luogo dell’esecuzione.

Questi i nomi:

  • Angelo Amadio (18 anni);
  • Arnaldo Attili, detto Nando, muratore, padre di Attilio;
  • Attilio Attili, muratore, figlio di Armando;
  • Ennio Baldassarri (13 anni), il più giovane del gruppo, ma fatto scendere dal camion prima di andare al luogo dell’esecuzione;
  • Gino Battaglini;
  • Vittorio Bernardi, detto “Carnera”, fabbro e muratore, fu obbligato a scavare con le mani la fossa non essendoci pale a sufficienza per tutti;
  • Tarquinio Boccaccini (31 anni), figlio del fattore dell’azienda agricola Torrimpietra, fu catturato nel cortile del castello, dove viveva con la famiglia;
  • Enrico Brioschi (36 anni), cameriere del Conte Nicolò Carandini;
  • Giuseppe Carinci (alcune fonti lo nominano Carigi, circa 70enne), spazzino, tentò la fuga e fu ucciso prima della cattura;
  • Erminio Carlini;
  • Domenico Castigliano, ferroviere;
  • Rinaldo De Marchi (30 anni), muratore;
  • Giuseppe Felter, muratore;
  • Benvenuto Gaiatto (52 anni, di Torrimpietra), padre di quattro figli e il più anziano del gruppo;
  • Natale Giannacco, muratore;
  • Oreste Mannocci, venditore ambulante di frutta di Santa Marinella;
  • Sergio Manzoni, venditore ambulante di frutta di Santa Marinella;
  • Vincenzo Meta (27 anni, di Maccarese), muratore, padre di due bimbi e da poco rientrato da Bologna dopo essere scappato dai tedeschi, ancora in uniforme militare;
  • Attilio Pitton, muratore, padre di un ragazzo;
  • Fortunato Rossin, muratore, fratello di Gedeone, padre di due bimbi;
  • Gedeone Rossin, muratore, fratello di Fortunato, scapolo;
  • Umberto Trevisiol (35 anni), muratore, padre di due bimbi;
  • Michele Vuerich (39 anni), detto “Mastro Michele”, capomastro muratore;
  • Ernesto Zuccon, fornaio.

Lo stesso D’Acquisto fu forzatamente e brutalmente prelevato dalla caserma da parte di una squadra armata e fu condotto nella piazza principale di Palidoro, dove erano stati radunati gli ostaggi.

Fu tenuto un sommario “interrogatorio” nel corso del quale tutti gli ostaggi si dichiararono ovviamente innocenti.

Nella piazza venne anche condotto un altro abitante ritenuto un carabiniere, Angelo Amadio, che sarà l’ultimo testimone del sacrificio di D’Acquisto.

Fu nuovamente richiesto a Salvo D’Acquisto di indicare i nomi dei responsabili e lo stesso ribadì che non ve ne potevano essere visto che l’esplosione era stata accidentale e che gli ostaggi e gli altri abitanti della zona erano dunque tutti quanti innocenti.

Durante l’interrogatorio dei rastrellati D’Acquisto fu tenuto separato nella piazza, sotto stretta sorveglianza da parte dei soldati tedeschi e, “quantunque malmenato e a volte anche bastonato dai suoi guardiani, serbò un contegno calmo e dignitoso“, come ebbe a riferire in seguito Wanda Baglioni, una testimone oculare.

Gli ostaggi e D’Acquisto vennero quindi trasferiti fuori dal paese, agli ostaggi furono fornite delle vanghe e furono costretti a scavare una grande fossa comune nelle vicinanze della Torre di Palidoro, davanti al mare, per la ormai prossima loro fucilazione.

Le operazioni di scavo si protrassero per alcune ore; quando furono concluse fu chiaro che i tedeschi avrebbero davvero messo in atto la loro minaccia.

La morte di Salvo D’Acquisto venne testimoniata da Angelo Amadio: «…all’ultimo momento, però, contro ogni nostra aspettativa, fummo tutti rilasciati eccetto il vicebrigadiere D’Acquisto. … Ci eravamo già rassegnati al nostro destino, quando il sottufficiale parlamentò con un ufficiale tedesco a mezzo dell’interprete. Cosa disse il D’Acquisto all’ufficiale in parola non c’è dato di conoscere. Sta di fatto che dopo poco fummo tutti rilasciati: io fui l’ultimo ad allontanarmi da detta località.»

I tedeschi, infatti, credevano che Amadio fosse un carabiniere e, pertanto, inizialmente ritennero di trattenerlo per farlo assistere alla esecuzione.

Evidentemente Salvo D’Acquisto si era accusato del presunto attentato, addossandosi la sola responsabilità dell’accaduto e richiedendo l’immediata liberazione dei rastrellati.

I 22 prigionieri furono lasciati liberi e immediatamente si diedero alla fuga, lasciando il sottufficiale italiano già condannato a morte, dinanzi al plotone d’esecuzione.

Alla fuga si unì immediatamente dopo Amadio, quando riuscì a dimostrare, presentando i suoi documenti, che in realtà era un operaio delle ferrovie e non un carabiniere.

Come raccontò nella sua testimonianza resa nel 1957, fece in tempo a sentire il grido Viva l’Italia, lanciato dal carabiniere, seguito subito dopo dalla scarica di un’arma automatica che portava a termine l’esecuzione.

Si girò e vide che fu sparato un ulteriore colpo sparato da un graduato al corpo già riverso per terra.

Vide i soldati ricoprire il corpo con il terriccio, spostandolo con i piedi. Il comportamento del militare aveva colpito gli stessi tedeschi, che il giorno dopo, secondo quanto riferito nella testimonianza della Baglioni, le riferirono: “Il vostro Brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte“.

Il corpo rimase sepolto lì per una decina di giorni, poi due donne della zona (Wanda Baglioni e Clara Cammertoni) lo disotterrarono e gli dettero degna sepoltura presso il Cimitero di Palidoro.

Nel giugno 1947, nonostante la contrarietà dei 22 scampati alla strage e della popolazione di Palidoro, la madre ottenne di far traslare le spoglie di Salvo D’Acquisto nella sua città natale, dove attualmente sono seppellite nella Basilica di Santa Chiara a Napoli.

Questa è la ricostruzione storica del sacrificio di Salvo D’Acquisto, che è stato già ritenuto “Servo di Dio” dalla Chiesa, ed è in corso la procedura per la beatificazione.

Pertanto tutto ciò che ha asserito Claudio Artesi sembra frutto solo di fantasia.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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