scritto da Nino Maiorino - 20 Marzo 2019 08:15

Inquisizione: i secoli bui

 

Recentemente, nell’articolo Umberto Eco e Il Nome della Rosa pubblicato qualche giorno addietro su questo giornale, ho citato, anche se solo marginalmente, il problema dei secoli bui della Inquisizione, che fu origine di crudeltà inimmaginabili e fece circa sessantamila vittime, in nome della supremazia di talune Verità da non porre in discussione e sulle quali non era consentito nemmeno bisbigliare.

L’ Inquisizione era l’istituzione ecclesiastica fondata dalla Chiesa cattolica per indagare, mediante un apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica (le cosiddette eresie).

La “Santa” Inquisizione venne fondata nel 1184, dal Concilio di Verona, e perfezionata poi  da vari Pontefici e rimase attiva per circa cinquecento anni. Nei secoli successivi in pratica non operò quasi più, ma rimase formalmente in vigore fino a quando, nel XIX secolo, quasi tutti gli stati soppressero i Tribunali, ad eccezione dello Stato del Vaticano nel quale la «Sacra Congregazione del santo Offizio», poi «Congregazione per la dottrina della fede», restò in vigore fino al concilio Vaticano II e al pontificato di Paolo VI.

Tutti conoscono la storia del grande scienziato pisano Galileo Galilei (Pisa15 febbraio 1564 – Arcetri8 gennaio 1642), fisico, astronomo, filosofo, matematico e accademico italiano, considerato il padre della scienza moderna, il quale diede grandi contributi alla Dinamica (ramo della Meccanica che si occupa dello studio del moto dei corpi e delle sue cause) e all’ Astronomia (scienza che si occupa della osservazione e della spiegazione degli eventi celesti, ne studia le origini e le evoluzioni, le proprietà fisiche, chimiche e temporali degli oggetti che formano l’Universo).

Proprio gli studi astronomici portarono Galileo a sovvertire la Teoria Aristotelica, basata sulla credenza che la Terra fosse immobile al centro dell’Universo e che tutti gli altri corpi celesti, fra i quali il Sole, le ruotassero intorno, come peraltro sembrava confermato anche dalla Sacre Scritture. Galileo, invece, giunse alla conclusione che fosse il Sole al centro dell’Universo, e che tutto gli ruotasse intorno, compresa la Terra.

Per questo Galileo venne sospettato di eresia, processato dal Tribunale della Inquisizione e condannato come eretico, ed ebbe salva la vita solo grazie alla sua abiura, vale a dire la pubblica rinuncia a  quella sua teoria, per la quale comunque venne confinato nella Villa di Arcetri nella quale l’8 gennaio del 1642 morì.

Ovviamente il caso della eresia di Galileo è solo uno dei tantissimi nei quali la Santa Inquisizione si interessò.

«Il fine dell’Inquisizione – disse Bernardino Gui, Giudice inquisitore citato anche nel romanzo Il Nome della Rosa di Umberto Eco, personaggio che sembra veramente esistito – consiste nella distruzione dell’eresia. Ma l’eresia non si può annientare se non distruggendo gli eretici; gli eretici non si possono sopprimere senza sopprimere con essi i difensori e i fautori dell’eresia, e ciò può avverarsi in due modi: con la loro conversione alla vera fede cattolica, oppure quando, abbandonati al braccio secolare, vengono corporalmente bruciati».

Questa lezione è citata da Walter Peruzzi, noto docente di storia e filosofia, collaboratore di varie riviste, alcune da lui dirette, autore di saggi e ricerche sociologiche, autore di varie opere dall’ultima delle quali, “Il cattolicesimo reale attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della Chiesa, dei concili – Practica officii inquisitionis hareticæ pravitatis” – Odradek, Roma, 2008 dalla quale essa è tratta.

Non si conoscono effettivamente le vittime della Inquisizione: quelle documentate sono circa dodicimila, ma si stima che effettivamente fossero state non inferiori a sessantamila.

Tante sono state le opere letterarie che hanno trattato l’argomento, una delle quali il saggio storico La storia della colonna infame del nostro Alessandro Manzoni, legata al periodo storico de I Promessi Sposi, della quale è conservata una lapide nel Castello Sforzesco di Milano nei pressi di una colonna alla quale venivano legati e giustiziati i condannati di eresia.

La vicenda narra di un processo celebratosi a Milano, durante la peste del 1630, contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze, in seguito ad un’accusa – infondata – da parte di una popolana, tale Caterina Rosa.

Il processo, svoltosi nell’estate del 1630, si concluse con la condanna alla pena capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere), che furono giustiziati con il supplizio della ruota: al barbiere venne pure distrutta abitazione e bottega, sulle macerie delle quali venne eretta la “colonna infame”, che dà il nome al saggio del Manzoni.

Si dovette giungere al 1778 perché fosse abbattuta quella Colonna Infame, divenuta una testimonianza d’infamia non più a carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un’enorme ingiustizia: nel Castello Sforzesco di Milano se ne conserva la base alla quale è stata aggiunta una lapide, che reca una descrizione, in latino seicentesco, delle pene inflitte.

Le atrocità commesse in nome della Religione, e di Dio, sono quindi abbondantemente testimoniate; non sempre lo sono alcuni aspetti secondari collegati alla Inquisizione, quali le vendette tra persone o fazioni che, grazie ai giudici inquisitori, vennero risolte in maniera cruenta.

D’altronde non si può non ricordare la storica vicenda di Giovanna D’Arco, “la pulzella d’Orléans”, oggi venerata come santa dalla Chiesa cattolica, pure bruciata come strega dalla Inquisizione nel 1431, vittima non perché professasse teorie eretiche, ma solo perché sacrificata dalla ragion di Stato. E a nulla è valso che dopo venticinque anni Papa Callisto III dichiarasse la nullità di quel processo, solo una presa d’atto che non la riportò in vita.

La conclusione di queste mie considerazioni è che in quei secoli bui c’era un ristretto gruppo di potere, composto prevalentemente da religiosi, il quale, basandosi su credenze, interpretazioni delle Sacre Scritture e diffusa ignoranza delle popolazioni, per lo più agricole, fingeva di essere in possesso della Verità riveniente da Dio, che mai il popolino ignorante, avrebbe dovuto mettere in dubbio, prima perché non all’altezza di comprenderla, ma più concretamente per evitare che, ragionando su alcune cose, potesse maturare la convinzione che il tutto era finalizzato a tenerlo sottomesso.

La locuzione latina “Divide et impera” fa comprendere che il più efficace espediente di una tirannide o di un’autorità qualsiasi per controllare e governare un popolo è dividerlo, provocando rivalità, fomentando discordie: mantenendolo nella ignoranza e minacciando castighi, l’ordine costituito non deve temere di perdere le sue prerogative e i suoi privilegi e, di fatto, imperare.

Solo l’attuale Pontefice, Papa Francesco, ha avuto il coraggio, dopo tanti secoli, di chiedere ufficialmente perdono per le sofferenze inflitte dalla Inquisizione che di santo non ha proprio nulla. (1^ parte)

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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