Il tesoretto fiscale e la presa per i fondelli
Qualche mese addietro, sul prestigioso giornale economico italiano Il Sole 24 Ore, è stato pubblicato un articolo nel quale viene approfondito il problema del debito pubblico italiano paragonato a quello degli altri paesi, e viene chiarito che esso non deve creare eccessivo disagio e preoccupazione derivanti dalla convinzione, sbagliata, che dovrà essere, un giorno, estinto.
Uno Stato che emette dei titoli per finanziare la spesa pubblica non è chiamato, nel giorno x, a rimborsare ai propri creditori tutto il debito contratto. Lo Stato non può essere paragonato a un debitore privato, è una idea sbagliata mettere sullo stesso piano pubblico e privato, e questa è una differenza di non poco conto.
Il debito pubblico, infatti, a differenza di quanto accade per i debiti privati, non deve essere estinto, ma deve essere sostenibile, come ricorda Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, nel suo libro “Lo Stato non è un’azienda”. Il debito pubblico, quindi, segue una logica totalmente diversa rispetto al debito di una famiglia o di un privato (che, invece, deve essere estinto alla scadenza).
In questo articolo è stato anche chiarito che il debito totale dello Stato italiano è di 2300.miliardi e che, dividendo questa cifra per il 60.milioni di abitanti, ciascuno di noi al momento ha un fardello di 38.mila euro a testa. Il che non è poco, ma alla luce di quanto detto innanzi, possiamo dormire sonni un tantino più tranquilli.
Anche perché ho ricordato che appena un anno prima venne reso noto un servizio dal quale risultava che esiste un “tesoretto” fiscale, una cospicua riserva di oltre 800 miliardi di euro che, se recuperati, darebbero un grande impulso alla nostra economia ed ai nostri scassatissimi conti pubblici. Una cifra di 800. miliardi, rispetto ai 2300 dell’intero debito, costituisce circa il 35.%, e allora mi sono illuso che, tutto sommato, tanti inguaiati non siamo.
E mi sono andato a rileggere la faccenda del “tesoretto”, del quale ha parlato , nell’aprile 2017, Antonio Maria Ruffini, Avvocato siciliano, all’epoca Direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, (oltre ad essere Presidente dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, Amministratore delegato di Equitalia, insomma uno tante volte ex il quale comunque di tasse se ne intende) dichiarando che il Fisco italiano avrebbe dovuto riscuotere 817.miliardi (ripeto ottocentodiciassette. miliardi) di Euro da 21 milioni di italiani: una montagna di miliardi che potrebbe ben paragonarsi a 20 corpose manovre di bilancio, forse anche di più.
Una cifra enorme della quale, se solo si incassasse il 25 %, lo Stato introiterebbe 204.miliardi, che poi non sarebbero da buttare: una previsione di incasso del 25.% nella maggioranza aziende non è azzardata, non si vede perché dovrebbe esserlo per l’Azienda Stato.
Ma l’avvocato Ruffini, subito dopo, faceva una serie di considerazioni da tenere in buona evidenza.
Attenzione, diceva Ruffini, dagli 817 miliardi debbono essere detratti 147,4 miliardi dovuti da soggetti falliti, inoltre sono da sottrarre altri 85 miliardi dovuti da persone decedute o imprese fallite, e ulteriori 95 miliardi dovuti da nullatenenti.
E va bene: vuol dire che, detraendo dagli originari 817 i primi 147, poi gli 85, e ancora i 95, rimane pur sempre un ragguardevole “tesoretto” di 490 miliardi, che certamente non sono da buttare.
Ma qui casca l’asino, per dirla come nel film “Mi manda Picone” di Nanni Loy, perché c’è qualche altro aggiustamento da fare.
Infatti, vi sono 30,4 miliardi per i quali la riscossione risulta sospesa per provvedimenti di autotutela o sentenze, il che stava a significare che un cospicuo numero di contribuenti è in attesa di sentenze definitive, se e quando sarebbero arrivate, oppure ha chiesto al fisco di riesaminare le singole posizioni per eventuali modifiche.
E va bene, pure mettendo in forse anche questi 30,4 miliardi, rimangono pur sempre circa 460 miliardi, mica bruscolini.
Ma non è così perché oltre il 75 per cento di tale importo, circa 385 miliardi, dovrebbero essere pagati da contribuenti ai quali sono già state fatte inutilmente azioni di recupero: quindi bisogna metterci una pietra sopra.
Per cui se ai 460.miliardi sottraiamo pure i 385, rimangono solo miseri 75 miliardi: miseri? parliamo comunque di miliardi ai quali mica si può rinunciare!
Ma sembra che nemmeno questo sia vero in quanto l’ineffabile Ruffini aggiunge che bisogna ancora detrarre 26,2 miliardi che dovrebbero essere pagati a rate, e poi ci sono ancora 32,7 miliardi classificati come “posizioni non lavorabili per effetto delle norme a favore dei contribuenti (sic!)”.
In conclusione, stringi-stringi, sembra che alla fine al fisco rimanga da incassare… poco o niente.
Chiedo scusa per l’ardire, ma a me sembra che ci sia sempre qualcuno che voglia continuare a prenderci per i fondelli, partendo dalla luminosa stella di un tesoro immenso, per poi portarci, ma gradatamente, goccia dopo goccia, come la tortura cinese della goccia d’acqua, in una misera stalla nella quale sembra che non ci sia nemmeno un poco di paglia per preparare un povero giaciglio.
E allora mi chiedo, e insieme a me certamente se lo chiedono in tanti, che senso abbia tutto ciò, quale utilità può trarre il contribuente onesto, quello che effettivamente le tasse le paga, da siffatta dotta esposizione di cifre, calcoli, dettagli che alla fine arrivano alla conclusione che quegli 817 miliardi sono tutto al più un miraggio, esistono solo sulla carta, e tali rimarranno, nei secoli dei secoli…
E meno male che l’avv. Ruffini si è fermato qui, perché se avesse proseguito con qualche altra dotta spiegazione, è possibile che quel famoso “tesoretto” sarebbe finito con il segno meno, e magari qualcuno avrebbe chiesto ai poveri veri tartassati contribuenti, vale a dire quelli che le tasse effettivamente le pagano, di mettere mani al portafoglio per fare la questua per costituire “ex-novo” il tanto decantato tesoretto.
E così la presa per i fondelli continua.