Nella quotidiana rubrica “Cornetto e caffè” di qualche giorno addietro il Direttore Petrillo ha parlato del delitto di Simonetta Cesaroni, la ragazza ammazzata in Via Poma, nel quartiere medio borghese Prati, a pochi passi dalla Città del Vaticano.
L’assassinio di Simonetta rappresenta un altro mistero insoluto che a distanza di circa 34 anni (Simonetta venne assassinata il 7 agosto 1990) ancora reclama una soluzione, una giustizia.
La considerazione che a tanta distanza da quel delitto ancora si brancoli nel buio, danneggia non solo i diretti protagonisti della vicenda, ma lascia sospetti sulla efficienza degli Organi inquirenti, che sembrano non in grado di giungere a una conclusione.
I protagonisti della vicenda sono tanti, e a distanza di decenni ne vengono sempre altri a galla, e certamente non lascia ben pensare che, purtroppo sempre a breve distanza dalla Città del Vaticano, anche il mistero dell’assassinio di Simonetta Cesaroni si vada ad affiancare a quello di Emanuela Orlandi, del quale già tante volte abbiamo parlato.
Il fabbricato dove fu ammazzata Simonetta
Novità sul caso di via Poma. Dopo oltre tre decenni un alibi sembra essere caduto e un nuovo/vecchio nome potrebbe essere il sospettato numero uno.
Il caso di Simonetta Cesaroni, passato alla cronaca come il “caso di via Poma”, potrebbe quindi vedere una svolta.
E’ un caso irrisolto che ha come protagonista una giovane donna di appena 21 anni, morta in circostanze strazianti.
L’omicidio di via Poma è stato una “croce” per molti.
Anche per lo stesso poliziotto che ha seguito il caso, Antonio Del Greco, che ne ha parlato in questi termini per spiegare la lunga fase di indagine e l’altrettanto lunga fase giudiziaria senza soluzione.
Le indagini, dopo tante volte in cui si sono arenate, potrebbero ora riprendere con una nuova svolta, a partire da una bugia scoperta, un alibi caduto che potrebbe riscrivere la storia del caso.
È stata una persona a raccontare ad Antonio Del Greco la caduta dell’alibi, che sembra coincidere con accertamenti mai divulgati.
Chi era Simonetta Cesaroni
Simonetta Cesaroni rimarrà immortalata per sempre nelle foto che la ritraggono, con il tipico look di una giovane degli anni ’90.
Chi era davvero non è facile da raccontare.
La sua famiglia e le sue amicizie la ricordano come una ragazza responsabile, una “brava ragazza”.
Dettagli che oggi, a oltre trent’anni dalla morte, parrebbero non necessari da ricordare, ma che in realtà sono essenziali per capire l’omicidio.
Cosa vuol dire che Simonetta era responsabile?
Questa caratteristica del suo carattere la rendeva rintracciabile.
I genitori ricevevano sempre una chiamata se faceva ritardo dal lavoro: tant’è che la sera dell’omicidio, dopo appena un’ora di ritardo, la famiglia aveva già capito che qualcosa non andava.
Ancora: l’essere responsabile le faceva seguire le regole dell’ufficio quasi alla lettera, tanto che non avrebbe mai aperto la porta a degli sconosciuti o saltato una telefonata di lavoro.
Cosa accadde a via Poma il 7 agosto 1990.
La ricostruzione degli eventi di via Poma
Quel giorno la Cesaroni si era recata nell’ufficio dove lavorava per svolgere l’ultimo giorno di lavoro prima delle ferie estive.
Alle 16:37 accende il computer del suo ufficio e chiama al telefono Luigia, una collega che poi la richiamerà alle 17:25 per comunicarle nuovi dati contabili da inserire.
L’arco di tempo successivo è quello dell’omicidio
Alle 18:30 Simonetta avrebbe dovuto chiamare il suo datore di lavoro Salvatore Volponi, ma la chiamata non avvenne.
Volponi racconterà di aver pensato si fosse semplicemente dimenticata e non ci diede peso.
Alle 21 la famiglia si allarma. Simonetta era solita rientrare verso le 20/20:30 e così la sorella inizia a percorrere la strada dalla metro verso casa a ritroso per cercarla.
Raggiunse Volponi verso le 23, accompagnata da altre persone, troverà la sorella morta in ufficio, al terzo piano della palazzina B di via Poma numero 2.
La morte di Simonetta Cesaroni: la scena del crimine e i sospettati
La parte più cruenta del racconto è quella relativa alla scena del crimine. Il corpo di Simonetta Cesaroni venne ritrovato lontano dal suo ufficio, per metà spogliato.
Si sospettò subito un tentativo di violenza sessuale, ma non vennero ritrovati molti segni a provarlo, se non un morso sul seno.
Cesaroni venne uccisa con 29 colpi sparsi sul petto, dal seno alle parti intime inferiori. Inoltre le sue scarpe erano disposte ordinatamente da un lato.
Antonio Del Greco ipotizza che Simonetta abbia tentato di prendere tempo togliendosi gli indumenti e sistemandoli con ordine.
Per l’omicidio di via Poma vennero presi in considerazione due sospettati principali.
Il primo fu il portinaio, che aveva facilmente accesso all’edificio, il secondo fu il fidanzato Busco.
Entrambi vennero scagionati per mancanza di prove.
Le nuove indagini potrebbero ripartire da loro?
Si tratta di un nome non nuovo, ma inizialmente eliminato dalla lista dei sospettati per un alibi forte.
Ma l’alibi, a distanza di anni, non sembrerebbe più valido.
Antonio Del Greco ha lasciato trapelare che le nuove informazioni ricevute portano a un nome non indagato per via dell’alibi.
La nuova pista potrebbe essere una svolta e mettere finalmente la parola fine al caso, al contrario di altri omicidi irrisolti.
Sul nome che ritorna dopo tanti anni sappiamo che è già nei documenti. L’omicida deve essere per forza una persona che conosceva il palazzo dove avvenne il delitto i e deve avere il gruppo sanguigno di tipo A.
Ora sembra esserci la svolta decisiva sul delitto di via Poma
Sarebbe stato il figlio del portiere del palazzo ad assassinare Simonetta.
L’ultima pista degli investigatori sembra oggi la più credibile da seguire, sulla base degli ultimi indizi che incriminano la famiglia Vanacore.
Secondo ciò che si legge in un’informativa consegnata ai pm di Roma, emerge che ad assassinare Simonetta Cesaroni sarebbe stato il figlio del portiere dello stabile dove la ragazza fu uccisa il 7 agosto del 1990.
Chi sarebbe il presunto assassinio di Simonetta Cesaroni
Il mese di dicembre 2023 era terminato in maniera deludente, con l’archiviazione delle indagini sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, che non aveva portato a informazioni utili.
Ma dopo pochi giorni sembra arrivare la svolta: sebbene non sia la prima volta che la famiglia Vanacore finisca sotto il mirino degli inquirenti; oggi la questione si fa più chiara.
Arriva la svolta decisiva sul delitto di via Poma: sarebbe stato il figlio del portiere del palazzo ad assassinare Simonetta.
L’ultima pista degli investigatori sembra ad oggi la più credibile da seguire per l’assassinio di Via Poma, sulla base degli ultimi indizi che incriminano la famiglia Vanacore.
Secondo ciò che si legge in un’informativa consegnata ai Pm di Roma, emerge che ad assassinare Simonetta Cesaroni sarebbe stato il figlio del portiere dello stabile dove la ragazza fu uccisa il 7 agosto del 1990.
Il presunto killer di Simonetta Cesaroni
Ma oggi arriva veramente la svolta: sebbene non sia la prima volta che la famiglia Vanacore finisca sotto il mirino degli inquirenti; oggi la questione si fa più chiara.
Ma oggi arriva veramente la svolta: sebbene non sia la prima volta che la famiglia Vanacore finisca sotto il mirino degli inquirenti: oggi la questione sembra farsi più chiara.
L’attenzione si concentra in particolare su Mario Vanacore, figlio del portiere dello stabile dove avvenne l’omicidio.
Come si legge in un’informativa dei Carabinieri, sarebbe lui il responsabile del delitto.
Tuttavia, si parla solo di “ipotesi e suggestioni” che “non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato”.
La ricostruzione dei Carabinieri del delitto di Via Poma
Il primo ad essere accusato dell’assassinio di Simonetta Cesaroni fu Pietrino Vanacore, il padre di Mario, che fu poi rilasciato e la sua posizione fu archiviata nel 1991.
Tuttavia, il sospetto di essere stato ritenuto un assassino lo tormentò a tal punto che si suicidò nel 2010.
Come riporta Repubblica, secondo le ultime ricostruzioni dei Carabinieri, il pomeriggio del 7 agosto del 1990, Mario Vanacore entrò negli uffici di via Poma, in un appartamento al terzo piano.
A quel punto, avrebbe trascinato la ragazza “nella stanza del direttore” per tentare di violentarla, ma la giovane si era divincolata e lo colpì ferendolo.
Mario Vanacore “reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra”. Così si sarebbe arrivati al momento dell’omicidio con “l’uomo che si impossessa dell’arma del delitto (un tagliacarte n.d.r.) e a cavalcioni della ragazza, supina a terra, la colpisce per 29 volte”.
A coprire il figlio del portiere sarebbero stati gli stessi genitori, Pietrino e Giuseppa De Luca, che avrebbero provato a coinvolgere invece il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi.
Fu infatti Pietrino a scoprire il cadavere della vittima “ore prima dell’ufficiale ritrovamento del corpo”.
Come dichiarano gli inquirenti, ci fu una attività “post delictum, intesa ad occultare il fatto omicidiario o quantomeno a differirne la scoperta, oppure persino ad attuare un qualche proposito di spostamento della salma dal luogo in cui fu poi rinvenuta”.
La difesa di Mario Vanacore
Mario Vanacore, il nuovo indiziato dell’assassinio, ha risposto alle accuse con fermezza, sostenendo di essere stanco di essere indicato come il responsabile del delitto di Simonetta Cesaroni.
Ha presentato un esposto per calunnia e diffamazione, ribadendo che la sua posizione era stata già esclusa tempo fa.
L’uomo ha inoltre fornito un alibi dettagliato per il giorno dell’omicidio, sostenendo di essere arrivato a Roma proprio quel giorno e di aver trascorso la giornata con suo padre e la sua matrigna.
“Siamo andati in farmacia e dal tabaccaio. La mia posizione era già stata archiviata”, riferisce, aggiungendo: “Ce l’hanno con la mia famiglia. … Magari qualcuno che abbiamo anche denunciato”.
E’ possibile, dopo queste ultime informazioni (che sembrano emergere ad orologeria), che su questo delitto si scriva la parola “fine”?
Ce lo auguriamo, specialmente per rispetto ai familiari della vittima che ancora non si danno pace.