Il delitto di Giulia Cecchettin e la spettacolarizzazione di un lutto
Ma era proprio indispensabile la pubblicizzazione del dolore?
In questa società, che definire strana è un eufemismo, tutto assume una sua dimensione in relazione ai social e ai media.
Ci riferiamo al delitto del quale è stata vittima Giulia Cecchettin, e a tutto ciò che intorno ad esso si è poi scatenato, e non tanto all’assassino Turetta, dopo pochi giorni arrestato in Germania e quasi immediatamente trasferito a Padova, dove è ospite del carcere in attesa che si concludano le indagini sul delitto per poi essere rinviato a giudizio.
Ci riferiamo proprio alla vittima ed ai suoi familiari i quali, si può dire ancora con il cadavere caldo della povera ragazza, si sono fatti coinvolgere in una parata pubblicitaria a molti apparsa incredibile.
Un delitto così crudele presuppone, a nostro avviso, da parte dei familiari prossimi, un comportamento adeguato al dolore che certamente hanno provato, ma che dai fatti successivi non è apparso tanto evidente.
I familiari, a nostro avviso, avrebbero dovuto piangere Giulia nel silenzio della loro casa, diremmo nel silenzio del loro dolore, ma tutto ciò non è avvenuto.
Concluse le procedure giudiziarie per l’accertamento dei fatti, e “liberato” dai magistrati inquirenti il cadavere per i funerali, si è assistito ad una spettacolarizzazione da tanti ritenuta eccessiva e fuori luogo, dalla quale pure le autorità ecclesiastiche si sono fatte travolgere, evidentemente condizionate non solo dai familiari della vittima.
Certamente il tutto è stato fatto in buonafede, sarebbe diabolico pensare che non sia così, ma quella spettacolarizzazione, ripetiamo, a tanti è apparsa eccessiva e fuori luogo.
Ciascuno, per evitare di commettere errori di valutazione, dovrebbe interrogarsi, chiedendo nel suo intimo: se fosse capitato a me come mi sarei comportato?
Tanti avrebbero risposto che avrebbero pianto la ragazza nella solitudine della loro dimora e del loro dolore.
Invece è avvenuto l’esatto contrario, e non c’è stata una via di mezzo tra solitudine e spettacolarizzazione, considerato come sono andate le cose, sia nell’immediatezza del rito funebre, sia nei giorni successivi.
Ci chiediamo quale sia il demone che porta a tali eccessi.
Sembra che tutto debba pubblicizzarsi sul palcoscenico del mondo e che sia scomparsa la riservatezza del privato anche in presenza di un dolore tanto profondo: se esso, come ci auguriamo, c’è stato.
Il Giornale ha risposto ad un lettore che ha ricordato come in passato il papà di Giulia, Gino, avesse scritto post sessisti sui social, mentre oggi sembra essere diventato simbolo della lotta contro il patriarcato (????), riconosciuto come un’icona dalla sinistra e dai movimenti femministi per il suo impegno.
Il quotidiano, in persona del suo direttore editoriale Vittorio Feltri, nella sua risposta ha scritto: “So di questi commenti che sarebbero stati fatti dal profilo social di Gino Cecchettin negli anni passati. Nessuno osa parlarne, in quanto ormai Gino ha quest’aura sacra. Non lo giudico per questo. È stato un atteggiamento goliardico, anche volgare, persino inopportuno, ma non definisce egli stesso come uomo”.
E prosegue nel suo tagliente commento aggiungendo che “è alquanto imbarazzante che il nuovo simbolo della sinistra nell’ambito della lotta al patriarcato (che non c’è) abbia sulla rete ciarlato di posizioni sessuali, sue performance personali tra le lenzuola, tanga, mani nelle mutande e roba simile”.
Nel corso della riflessione Il Giornale ha anche scritto che, “A prescindere da questa condotta, si pensa che Gino Cecchettin, così come sua figlia Elena, meritino comprensione e compassione per quello che stanno vivendo, ma non per questo meritano di diventare pensatori insindacabili che sentenziano sul maschio, sul patriarcato, sulla società, e così via”.
Inoltre viene criticato l’uso dell’espressione “la mia donna” da parte di Cecchettin, che potrebbe essere interpretata come pericolosa o sintomatica di una personalità possessiva mentre per lui è un’espressione di affetto: “Viviamo con il terrore di essere fraintesi, accusati, travisati. Questa paura si traduce in un congelamento dei rapporti tra uomo e donna ma gli amanti da sempre si appartengono e desiderano appartenersi, questa si chiama ‘passione’, componente essenziale dell’amore romantico”.
Francamente, a distanza di qualche settimana dalla perdita di una figlia, sembrano parole fuori luogo.
A questa presa di posizione contro Gino Cecchettin si è aggiunto anche Giuseppe Cruciani, storico conduttore de La Zanzara su Radio.24, il quale è entrato con veemenza, come suo solito, nella polemica, dichiarando “Questa associazione è una sciocchezza”.
Ma com’è possibile che un genitore, che da pochi giorni ha perduto una figlia ammazzata orrendamente, abbia la voglia di lasciarsi andare a commenti “filosofici” (si fa per dire), di tale portata?
Certamente il dolore non è eterno (ma per un genitore dovrebbe esserlo e come è accaduto tante volte: un padre o una madre, non sopportando il dolore di essere sopravvissuti a un figlio, si sono lasciati morire), ma certamente a pochi giorni dal lutto, se si “filosofeggia” in tal modo, vien da a riflettere.
Concludiamo riferendoci al discorso che Gino Cecchettin pronunciò, dinanzi alla concentrazione oceanica in occasione dei funerali, un discorso infarcito di retorica e luoghi comuni che, anche dopo settimane, lasciano perplessi.
Bell’articolo complimenti Nino…..osservazioni più che giuste.